"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pagina Architrave agosto 1942
Cultura italiana e cultura europea a Weimar
di Pier Paolo Pasolini
“Architrave”, II, 31 agosto 1942
"Il Setaccio" n. 3 gennaio 1943
"Il Setaccio" n. 3 gennaio 1943
(A scusare la forse troppo porosa e fiduciosa ingenuità di questo discorso, dirò che è stato, più che scritto, gridato, mentre, appena tornato da Weimar a Firenze, non mi ero ancora del tutto sciolto da quell'aria eccezionale e memorabile, in cui, nel sentirmi maggiormente europeo, mi sentivo maggiormente, e quasi disperatamente, italiano.)
Le condizioni di una cultura non sono misurabili nel vortice di una manifestazione che ha chiaramente un significato propagandistico, quale è stato l'incontro Weimar-Firenze. Lassù a Weimar, tuttavia, non in senso ufficiale, ma attraverso un'assidua attività privata, abbiamo potuto circuire il sistema o la barriera della cerimonia, giungendo quasi di soppiatto, alle spalle, a scandagliare nella sua probabile entità l'odierna cultura europea. E dico subito che questa è stata la prima cosa a farsi indovinare, e cioè che l'odierna cultura europea si è venuta automaticamente maturando, al di fuori di qualsiasi finalità politica, quasi a dimostrazione della libertà della creazione poetica e dell'amore alla poesia, non legata a nessuna ancora propagandistica; eppure straordinariamente viva e stretta ai contemporanei movimenti politici, sociali, economici. Voglio dunque parlare di una cultura i cui nomi, ad esempio, sono per la Spagna García Lorca, Juan Ramón, Machado ecc., per la Germania Rilke, per noi Ungaretti, Montale, Campana, e così via. L'adesione della nostra cultura italiana, e, possiamo quasi dire, europea, alla nostra nuova concezione dello Stato e della società, non avviene secondo una somiglianza formale, di colore, di intendimenti e forse nemmeno, ancora, di spirito, ma le è una forza parallela e concomitante, che agisce contemporaneamente, in un altro campo, in un altro ciclo, con una fede e con un entusiasmo, che, pur essendo distaccati da quelli propriamente politici e sociali, agiscono con la stessa forza e per lo stesso ideale di civiltà, fino ad identificarsi ed a formare una cosa sola con essi.
Questo, almeno, avviene in potenza, è, almeno, l'origine di una prossima condizione culturale, come equilibrio tra cultura e vita sociale, che, adesso, appare a noi giovani come l'incerta luce dell'alba che è tuttavia una certezza del giorno. I semi gettati in tutta Europa dalla generazione che ci ha preceduti sono stati ferocissimi; soltanto hanno dato in noi frutti diversi da quelli previsti. E vorrei insistere sul valore di questa metafora, dato che non c'è nessun giovane europeo, ora, che non proceda nella storia della poesia della sua patria, senza conoscere la poesia della generazione che l'ha immediatamente preceduto: anzi, proprio da essa, educato ed iniziato alla poesia. La tradizione non è un obbligo, una strada, e neanche un sentimento o un amore: bisogna ormai intendere questo termine in un senso antitradizionale, cioè di continua e infinita trasformazione, ossia antitradizione, scandita da una linea immutabile, che è simile alla storicità per la storia.
È del tutto antistorica, allora, quella tradizione ufficiale che, ora, in tutte le nazioni, si va esaltando da una malintesa propaganda, come unica risoluzione in arte dell'odierna condizione politica e sociale europea. Ma i giovani europei, con cui ho parlato, mi hanno privatamente assicurato che nella vecchia Europa l'intelligenza, come libertà, è ancora ben viva; così viva da non soltanto contrapporsi beffardamente e gagliardamente alla tradizione ufficiale degli organi propagandistici, ma da adeguarsi, per conto proprio, al tempo e alla storia con un atto imprevedibile, ma ormai giustificato, di parificazione o liberazione. (Parlo, s'intende, della cultura di noi giovanissimi, che noi avvertiamo, ma che è ancora soltanto probabile, ed ignota.)
Ed ecco la tradizione, tanto cara agli stessi mediocri ed agli interessati, eccola risolta nella migliore gioventù, e amata, come se fosse nata di nuovo, nuovamente vergine, intatta, interamente da scoprirsi e godersi. Una tradizione passata attraverso il filtro dell'antitradizione, una tradizione studiata sui poeti nuovi.
Così passeggiando con ansia quasi tremante, come chi senta di respirare un'aria non più regionale, ma europea, e quasi sommerso e sconfortato in essa, lungo le favolose vie di Weimar insieme con i giovani camerati spagnoli, io potevo, conversando con essi, risalire a Calderón e a Cervantes o a Velàzquez, attraverso Garcìa Lorca o Picasso; soffermarci quindi, ciò che mi stava più a cuore, sull'ultima generazione di scrittori, i cui nomi a me erano nuovi, e, con tremore, li udivo scandire dalle voci di quei camerati: e quei nomi erano Dionisio Ridruejo, Gerardo Diego, Agustìn de Foxà, Adriano del Valle (che dovrebbero corrispondere, in Spagna, ai nostri Betocchi, Gatto, Sinisgalli, Penna ecc.). E da ultimo ascoltavo non i nomi, non le opere, non i fatti, ma la presenza, densa e verdeggiante, dei giovanissimi, intorno a cui i camerati spagnoli non seppero dirmi altro se non che si nota in essi un intelligente ritorno alla tradizione.
Ma questo è bastato: è bastato a rivelarmi tutta una condizione, a ritrovare in quei giovanissimi spagnoli la mia immagine, e quella dei miei amici bolognesi o fiorentini.
Le stesse cose, seppur più vagamente, per le difficoltà pratiche del linguaggio, son pervenuto a conoscere intorno all'Ungheria e la Germania; per quest'ultima, però, il «ritorno alla tradizione» avviene in un senso che si avvicina di più a quello che noi vorremmo abolire, data forse la maggior semplicità del popolo germanico, che accoglie con animo ligio tutto ciò che gli viene seriamente suggerito e dettato; ed ora par si contenti di vivere, culturalmente, nelle acque morte della propaganda, o di un'arte realistica e di genere. (A riprova di ciò, nelle principali librerie di Weimar, la Firenze tedesca, non mi è stato possibile trovare un solo libro di poesie di autori classici o moderni; mancanza di carta? Non pare, perché molte e lussuose erano le edizioni di libri propagandistici, che, si noti, il popolo tedesco legge.)
Se, infine, si suppone come definitivo l'attuale silenzio della Francia, il retaggio del dominio culturale europeo, a chi dovrebbe spettare se non a noi? In realtà, in Italia si è venuta maturando una civiltà culturale veramente notevole, seppur ancora ristretta, e, direi, schematica. L'attività editoriale è molto superiore a quella degli altri paesi, più vasta, entusiasta, diffusa; l'interesse per le cose artistiche si può considerare nella via di prendere l'aspetto di un neoumanesimo; e poi la maggiore duttilità del nostro ingegno sarà sempre un ottimo reattivo a qualsiasi suggerimento esterno più o meno deciso o minatorio. Ed è per questo che il grande macchinario culturale italiano non farà mai marcia indietro, ma, trasparente come l'aria e liquido come l'acqua, si insinuerà e poi irromperà al di là di ogni barriera, senza travolgerla. Così, noi giovani sentiamo l'amore e la necessità di uno spirito tradizionale che venga a cementare la nostra opera, e tuttavia ce ne ridiamo del tradizionaleggiamento, che non detto, non precisato, e in fondo, insignificante, sembra gravare nella nostra coscienza di italiani giovani, come una sciagura (letteratura e vita!). Vincere gli ostacoli per forza d'amore, non abbatterli, ma scioglierli, come fa l'acqua con la terra. Così scioglieremo gli ostacoli che, all'estero, per invidioso interesse o per ignoranza, ci verranno innalzati.
Infatti, ho visto a Weimar che se i giovani studiosi delle altre nazioni erano al corrente delle odierne condizioni delle letterature patrie, erano però all'oscuro di quelle altrui, compresa quella italiana. E ciò mi ha riempito di contentezza poiché, al contrario, noi giovani colti italiani abbiamo sentita un'ansia, direi umanistica, di guardare al di là dei confini, e di tendere l'orecchio alle più forti voci di poesia che ne giungessero. Mi pare allora risulti chiara la nostra relativa superiorità sugli stranieri, se si pensa come, trovandomi con i miei amici, a discutere con i giovani spagnoli, noi potemmo discorrere abbastanza agevolmente di Machado, García Lorca ecc., mentre essi non conoscevano nemmeno di nome Ungaretti, e come conversando con studenti di lettere tedeschi noi potessimo parlare con essi di Nietzsche ovvero di Kokoschka ed essi non conoscessero nemmeno il nome di Papini ovvero di Carrà. Dalla coscienza di questa teorica superiorità all'imposizione di essa, il passo è breve. Insomma la cultura europea, tolta la vecchia Francia, è tutta in un punto analogo, in una medesima svolta; ma possiamo ottimisticamente notare che quella italiana soverchia le altre; e, per ragione di un antico amore che lega l'Europa alla civiltà italiana, noi possiamo sperare di essere gli unici, in un prossimo futuro, ad avere tra le mani la cultura, ossia la spiritualità europea; il che sarebbe assai importante, anche politicamente.
Biblioteca Universitaria di Bologna, collocazione 2118/PER. 10220.
Progetto a cura di Maurizio Avanzolini (Biblioteca dell'Archiginnasio).
I documenti digitalizzati appartengono alle raccolte di:
Biblioteca dell'Archiginnasio
Biblioteca Universitaria di Bologna
Centro studi-archivio Pier Paolo Pasolini - Bologna
Archivio storico dell'Università di Bologna
Biblioteca Cantonale di Lugano
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