"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pier Paolo Pasolini
«Ho cambiato idea per farla cambiare»
«II Giorno», 22 agosto 1968
Caro Chiarini,
dopo aver scritto su queste stesse colonne del «Giorno» le ragioni per cui ho deciso di mandare al tuo Festival il mio film dissentendo così con l’Anac e tutte le altre formazioni culturali e politiche che si erano allineate nel contestarlo, oggi succede un fatto nuovo e inaspettato (anche a me stesso): non mando più il mio film al Festival di Venezia così come era ufficialmente — e sia pure fortunosamente e con grande e imperterrita passione da parte tua — istituito. Che cos’è successo, che mi ha fatto prendere una diversa decisione?
E qual è questa diversa decisione?
Rispondo prima alla seconda domanda. Io mando il mio film a Venezia attraverso l’Associazione autori cinematografici (Anac) anziché attraverso la normale organizzazione da te diretta: questo significa che aderisco alla «occupazione di lavoro», decisa di comune accordo con l'Anac, della Mostra del Cinema: occupazione di lavoro durante la quale saranno proiettati i film (da te invitati) e verrà elaborato il nuovo regolamento della Mostra.
Ecco in poche parole il nuovo programma che mi sembra, oggettivamente e relativamente, il migliore, per le ragioni che ti dirò dopo.
E che cosa mi ha spinto a prendere questa nuova decisione?
È presto detto: gli autori cinematografici soci dell’Anac hanno accolto alcune mie esigenze: le esigenze per le quali ero in disaccordo con loro, e perciò, in disaccordo con loro, avevo deciso di mandare il mio film al Festival ufficiale.
Queste mie esigenze erano le seguenti:
1) proiezione del film. L’Anac e il Comitato di boicottaggio del Festival, che essa, con un insieme di forze contestatarie raccolte, troppo facilmente, e in una sorta di psicosi collettiva, aveva espresso, era invece decisa a non fare proiettare i film. Ciò mi si presentava come una contestazione puramente negativa, distruttiva e autodistruttiva: piena dunque di una violenza non vitale;
2) riduzione del problema del Festival al suo reale valore tanto più irrilevante quanto più conclamato; e accettazione dell’idea che la lotta contro il Festival è infine facile e ovvia, e che solo in ordine di tempo può essere la prima di una serie di azioni serie per il rinnovamento delle strutture del cinema italiano;
3) smettere l’ingiusta polemica contro la tua persona: polemica (non sempre da te immeritata: lo sai bene) nata in quel clima di psicosi e di linciaggio che dicevo.
Confermo dunque pubblicamente che considero opera del fascismo di sinistra il metodo di lotta e l’obiettivo psicotico (la Mostra e la tua persona intese come il male) della contestazione così come si è finora definita e svolta. E confermo anche pubblicamente, scrivendolo anzi in maiuscolo, che io considero il Comitato di boicottaggio alla Mostra una cosa velleitaria, un po’ ridicola e profondamente antipatica.
Da tutto ciò che ho detto deriva che la mia riunione con l’Anac sul problema del Festival non è affatto una adesione alla linea tenuta finora dall’Anac, e non si aggiunge quindi alla frana di adesioni che si è registrata in questi ultimi giorni; niente affatto: la mia adesione all’Anac implica un cambiamento della sua linea politica. Tanto è vero, aggiungo, che se qualcosa del vecchio spirito con cui finora l’Anac — o meglio un gruppo di soci più ingenui e aggressivi dell’Anac — ha lottato, dovesse ancora manifestarsi, io darei subito le dimissioni dall’associazione. Non temo nessuna contraddizione, nessuna marcia indietro, nessun ridicolo: sia chiaro.
Infine, per tutto quanto ho detto, sono inesatte le notizie date dai giornali per cui l’Anac vuole «impedire» il Festival di Venezia: questa era la vecchia linea. La nuova linea dell’Anac è «fare» il Festival di Venezia. E questo Festival sarà fatto con film da te selezionati (più quelli che tu abbia ufficialmente invitato ottenendone dagli autori il «no» della contestazione). Questo resterà dunque il tuo Festival. E te lo dico per darti atto del tuo lavoro di precursore del presente nuovo corso del Festival. Cosa che nessuno ti ha mai negato,
A questo proposito, voglio precisare che nessuno di coloro che oggi, in vari modi, ti criticano, avrebbe agito in questi ultimi anni diversamente o meglio di te. Voglio dire che tutti noi al tuo posto avremmo accettato, per un fair play divenuto abitudinario, lo statuto fascista, il vecchio regolamento della Mostra ecc., e avremmo tentato di dare al Festival il carattere culturale che tu gli hai dato: quindi nessuno di noi può criticarti per quello che hai fatto: al contrario, non può che elogiarti, per la passione e la decisione con cui hai operato.
Infatti hai avuto contro la destra più volgare oltre ai potenti organismi industriali ecc.: perciò ti abbiamo sempre appoggiato. Ora sei vittima — ingiustamente, da un punto di vista personale e umano — di una situazione che trascende tutte le nostre persone e i nostri singoli casi umani. E si tratta di una situazione totalmente nuova, che tu hai il torto di non voler riconoscere. La novità assoluta di questa situazione rende inutili i tuoi sacrosanti appelli a ciò che hai fatto di giusto e di buono prima che tale situazione si verificasse. Intendo parlare di ciò che è stato fatto quest’anno dai giovani in tutto il mondo, creando appunto quella situazione «irreversibile» che mette in crisi te, me e tutti quelli che hanno operato in questi decenni.
Tu sai la mia reazione a questo avvento dei nostri figli sulla scena su cui finora abbiamo operato noi: ciò che ne ho colto pubblicamente subito sono stati soltanto i pericoli (il fascismo di sinistra, il perpetuarsi e il farsi definitivo di un vecchio spirito borghese ormai lontano da quella Resistenza che gli intellettuali hanno vissuto a fianco degli operai); sai anche ciò che penso degli uomini della nostra generazione che si sono resi succubi della violenza giovanile; e sai infine quanto io sia cosciente dell’eterna tattica strumentalizzatrice dei partiti, stavolta esercitata sui giovani. Dunque non sono sospetto di falsi entusiasmi, di equivoche tenerezze, di fughe nel nuovo.
Tuttavia devo dire che l’«avvento» dei figli mi ha dato coscienza, da una parte, del fatto di essere «padre», e quindi di dover adempiere come padre, fedele, forzatamente, a certe mie vecchie abitudini di «prima», che non potrò mai perdere, sia le buone che le cattive; dall’altra parte — insieme a molti uomini della mia età — mi sono accorto di essermi abituato al fair play con la società borghese, la cui idea «negativa» — il male borghese — si era cristallizzata dentro di me, in una lenta perdita della fiducia a estirpare tale male, e ad averne addirittura bisogno, come di un momento dialettico interiore: così insomma come i cattolici hanno bisogno del peccato.
L’azione dei giovani ha smosso questa cristallizzazione del bene e del male dentro di me: mi ha dato la capacità a sperare, e magari a sperare ancora ingenuamente: a sperare, dico, di ottenere dei risultati, ma subito, adesso. Mi sono accorto che per uomini come noi, nati sotto il fascismo, la realizzazione anche dei più elementari diritti «democratici» (dico democratici e non ancora socialisti) è sempre sembrata un sogno: cioè qualcosa per cui lottare, senza sperare di raggiungere. I giovani invece non considerano più, con tutta naturalezza, la realizzazione dei loro diritti come un sogno.
Ecco perché io agisco come agisco: voglio ignorare che tra le forze della contestazione ci sono dei fascisti di sinistra o, meglio ancora, purtroppo, degli sciocchi, dei falliti, dei nevrotici. Ma voglio pensare soltanto ai puri: a coloro che lottano con ingenuità. Sono i soli che contano. E sono quelli che senza calcolo (i calcolatori si sono individuati subito) hanno cambiato lo stato d’animo del mondo. Per tornare al Festival, mentre fino a un anno fa un’occupazione di lavoro e una assemblea costituente di autori mi sarebbero sembrate delle cose impossibili, incomprensibili e retoriche, oggi invece mi entusiasmano. Certo, tu puoi accusarmi di ingenuità: ma non me ne vergogno affatto. Insomma, credo che si possa lottare, con probabilità di successo, per trasformare, almeno, la falsa democrazia in democrazia «reale». Il Festival di Venezia (meno importante ma più appariscente di tutti), la legge sul cinema, gli enti di Stato, la censura, il codice penale: sono tutti organi, oggi, di falsa democrazia. Perché non lottare (democraticamente, e senza i fanatismi dovuti alla diabolica congiunzione di irrazionalismo e mito dell'azione) affinché diventino organi di democrazia reale?
@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare |
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