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domenica 22 dicembre 2024

Pier Paolo Pasolini e il cinema. Brevi note su alcuni registi.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Pier Paolo Pasolini e il cinema.
Brevi note su alcuni registi

Pasolini è stato un semiologo dilettante che si è occupato del linguaggio cinematografico, oltre ad essere un recensore di film propri e altrui.

Per lui il cinema riproduce la realtà, perché le sequenze cinematografiche scelgono alcuni tra gli infiniti oggetti della realtà, pure quando devono evocare situazioni del passato.

Il cinema è soggettivo quando l'autore sceglie le immagini secondo la sua personale visione ideologica e poetica della realtà, o oggettivo quando l'autore prende le immagini dalla realtà così come sono, senza l'intervento della propria ideologia, oppure si tratta di immagini divenute convenzionali perché rivestite di un determinato significato sulla base di una tradizione cinematografica precedente .
Il cinema è classico o narrativo, quando non si "sente" la macchina da presa , ed è cinema di poesia,  invece, quando i molteplici movimenti della macchina da presa indicano che il vero protagonista del film è lo stile.

La sua idea del cinema come lingua, non convince i semiologi di professione, come Umberto Eco. Quest'ultimo afferma che è ingenuo pensare che i segni elementari del linguaggio cinematografico siano gli oggetti reali riprodotti sullo schermo; aggiunge che la semiologia intende ridurre i fenomeni naturali a fenomeni di cultura, e non ricondurre i fatti di cultura a fenomeni di natura. Pasolini controbatte che una auspicabile "semiologia generale della Realtà" non porterebbe alla naturalizzazione dei codici della cultura ma, al contrario, avrebbe come fine quello di culturizzare la natura, facendo dell'intero vivere un parlare: la Realtà è Linguaggio. 

Il regista, come ogni autore o artista, è un martire che cerca con la sua opera di scandalizzare i destinatari, godendo del piacere/dolore del martirio  cui è sottoposto per aver violato il codice consolidato. Del resto, i cosiddetti "classici" (come Dante o Petrarca) sono stati al loro tempo degli innovatori che hanno sfidato il codice linguistico della società medievale, ponendo le basi per un nuovo codice .

Ma non bisogna trasgredire troppo il codice, come ad esempio fa la neoavanguardia. Ciò è controproducente, perché causa un rimpianto del codice attaccato. L'autore deve restare sempre "sulla linea del fuoco" e lì combattere per una innovazione che possa modificare il codice stesso.

Mentre sino all'inizio degli anni '70 il Potere era ancora legato alle istituzioni tradizionali come Chiesa, Patria, Famiglia, in seguito il nuovo Potere fondato sul consumo di beni superflui ha preteso di distruggere ogni tradizione ed ogni espressività, divenendo più tollerante anche per quanto concerne la moralità dei film. E' un Potere che vuole che i cittadini siano avidi consumatori e non lettori critici o spettatori dei film di registi liberi e impegnati. E' un Potere che guarda con occhio benevolo persino ai film pornografici e invece stigmatizza le opere d'arte in cui l'elemento erotico ha sempre un senso culturale e politico.

Questi i registi che ha recensito, dando i seguenti giudizi, che sintetizzo:

Michelangelo ANTONIONI: scrive Pasolini su «Vie Nuove» n. 1 a. XX, 7 gennaio 1965, nella rubrica «Dialoghi con Pasolini»: "Nel Deserto rosso Antonioni, non appiccica più, come aveva fatto nei film precedenti, la sua visione del mondo a un contenuto vagamente sociologico (la nevrosi da alienazione): ma guarda il mondo attraverso gli occhi di una malata (l'incidente automobilistico credo non sia stato casuale: ma è stato probabilmente un tentativo di suicidio della donna). Attraverso questo meccanismo stilistico, Antonioni ha liberato se stesso: ha potuto finalmente vedere il mondo coi suoi occhi, perché ha identificato la sua visione delirante di estetismo, con la visione di una nevrotica. Tale identificazione è in parte arbitraria, è vero, ma l'arbitrarietà in questo caso fa parte della libertà poetica: una volta trovato il meccanismo liberatorio, il poeta può inebriarsi di libertà. Non importa se è illecito far coincidere i «quadri» con cui il mondo si presenta a una nevrotica reale, con i «quadri» con cui il mondo si presenta a un poeta nevrotico; quel tanto che in questa operazione c'è di illecito diventa il fondiglio, non poetico e non culturale del film; quel tanto che invece c'è di lecito è la sua «ebbrezza poetica». L'importante è che ci sia una sostanziale possibilità di analogia tra la visione nevrotica di un poeta e quella del suo personaggio nevrotico. Non c'è dubbio che tale possibilità di analogia c'è. E la sua contraddittorietà è poi un fatto culturale, che anziché oggettivizzarsi nel personaggio, si soggettivizza nell'autore. Sicché appunto per la straordinaria riuscita formalistica non è stavolta nemmeno illecita e inattendibile l'impostazione del tema sociologico dell'alienazione."

Marco BELLOCCHIO: giovane regista accomunato dal nostro a Bertolucci; tra Bellocchio e Pasolini vi fu una corrispondenza epistolare sul film I pugni in tasca del promettente regista. In questo film un adolescente in crisi uccide i familiari, per l’eredità ma anche perché li considera inferiori al suo ideale estetico, e pure perché cerca irrazionalmente emozioni forti. Pasolini gli scrive che se il suo fine era quello di scandalizzare la borghesia, deve però essere cosciente che essa è vaccinata contro ogni tipo di scandalo, e semmai lo scandalo dà piacere/dolore solo all’autore e ai suoi simili. Bellocchio gli risponde che il suo fine principale non era quello di scandalizzare, ma descrivere obiettivamente la realtà sociale che determina la scelta delinquenziale del protagonista.

Ingmar BERGMAN: un grande che manca di cultura vera e propria: la sua cultura infatti è specialistica cioè audiovisiva, e inoltre è teatrale (conosce soprattutto Strindberg, con i suoi influssi di teosofia ed esoterismo).




Bernardo BERTOLUCCI: di Ultimo tango a Parigi non gli piace il personaggio di Brando (retorico e irreale), mentre quello di Maria Schneider è vero e poetico, come poetici sono tutti i rapporti sessuali rappresentati.




Liliana CAVANI: di lei recensisce Milarepa, un film sulla iniziazione di un ragazzo che cerca un maestro che gli insegni a rinunciare al mondo per valorizzare misticamente il Sè. In verità il protagonista è già stato da un altro maestro, ma di magia nera, che gli ha insegnato a distruggere i parenti e paesani che hanno sfruttato la madre. Adesso vuole liberarsi del peso della sua colpa e grazie a un maestro di dottrina pura, impara le leggi della Realtà. Il San Francesco, invece, a Pasolini non piace, lo considera un prodotto tipicamente televisivo, adatto a un pubblico borghese conformista e volgare, che vuole restare sempre uguale a se stesso, incapace di riconoscere il vero "sacro".

Sergio CITTI: grande amico di Pasolini; era un filosofo proveniente da ambienti sottoproletari; aveva letto solo Epicuro.

Il suo assoluto pessimismo gli permetteva di godere ciò che di bello la vita gli offriva; in Ostia rappresenta la donna come essere demoniaco, non sulla base di una ideologia o una cultura misogina, ma per una sua personale ossessione; in Storie scellerate manifesta un senso della morte del tutto laico, al contrario di quello pasoliniano che si basa sul mistero anche religioso.

Sergej Michailovič EJZENŠTEIN: regista dal grande talento, non amato però da Pasolini a causa del suo servilismo propagandistico nei confronti del regime sovietico.





Federico FELLINI: il suo eccesso di amore per la realtà lo porta a trasfigurare la realtà stessa; i personaggi dei suoi film sono spesso degli stravaganti, che contraddicono l'apparente razionalità della realtà, che è insieme dolce e orribile. Il suo è un "realismo creaturale", non fondato cioè su un'unica assoluta ideologia. L'irrazionalismo cattolico lo rende barocco e decadente (Pasolini profetizza che il neodecadentismo felliniano avrebbe preceduto un periodo di neodecadentismo letterario): per lui la società è immodificabile, non si possono evitare le sue brutture, tuttavia ogni cosa o persona è come pervasa dalla Grazia. Come fa Fellini a vedere purezza e vitalismo anche nella massa piccolo-borghese, cioè nel ceto medio, che a Pasolini invece appare tremendamente conformista e razzista? Ciò può accadere proprio per quell'eccesso di amore irrazionale di cui sopra si è detto.

Marco FERRERI: de La grande abbuffata, film nel quale quattro uomini medio-borghesi intendono suicidarsi con una smisurata ingestione di cibi raffinati, si domanda se la finalità del regista è quella di denunciare l'assoluta mancanza di logica nella realtà, che sarebbe quindi del tutto arbitraria, non dialettica, tale da produrre ripetizioni e non evoluzioni: l'uomo di fronte all'assurdo quindi non può che attuare una contestazione assoluta.

Pietro GERMI: difendendo qualunquisticamente la morale corrente e avendo un atteggiamento vitalistico e privilegiando la salute sessuale, questo regista, agli occhi del nostro critico, rimuove nella zona dell'inconscio la propria omoerotia, perché chi enfatizza la virilità spesso cela pulsioni omosessuali.



Jean-Luc GODARD: è, inconsapevolmente, un codificatore di linguaggio cinematografico, perché metà mondo del cinema segue il suo stile, ma egli si difende da ciò, dall'inconsapevole moralismo tipicamente francese che lo contraddistingue, se ne difende appunto con rabbia ingenua, volendo essere rispetto agli altri uomini, fratello e non padre.



Alexander KLUGE: Gli artisti sotto la tenda del circo: perplessi, film che denuncia la tragedia della vita, che è nel farsi delle cose nella nostra testa senza che si giunga ad una conclusione.





Stanley KRAMER: L'ultima spiaggia, che descrive una fantastorica fine del mondo nel 1964, a causa di una guerra atomica, ammonisce gli uomini con la frase: "Fratelli, siete ancora in tempo." Ma giacché Kramer lascia intendere che l'autodistruzione avviene a causa della follia degli uomini, che senso ha, dice Pasolini, ammonire dei folli? Insomma, il film è illogico per questo. Inoltre dà un senso di angoscia il comprendere che l'umanità muore senza essere mai realmente vissuta: è la fine di una società già finita, quella che viene descritta in questo film, come se si passasse da un nulla all'altro, e ciò è terribile.

Roberto ROSSELLINI: grande neorealista, denuncia i mali della società, ma mancando di una cultura solida, dopo che è caduto l'impeto neorealista e ne sono venute meno le ragioni, si è espresso solo attraverso la sua sensualità, il talento e la magia, ma ciò non è servito a niente.



François TRUFFAUT: de La nuite amèricaine afferma che il vero protagonista è il ritmo voluto dall'autore, ritmo al quale si adeguano le stesse caratteristiche psicologiche dei personaggi (e non viceversa).





Paul VECCHIALI: le protagoniste di Femmes femmes sono due attrici di teatro che vorrebbero fare del cinema, ma finiscono per diventare delle fallite: la loro grandezza sta nel mantenere un contegno artistico anche nel proprio degrado sociale.





@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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