Pasolini, il caso è chiuso
di Michele Serra
La volontà di far riaprire le indagini (l’Italia ci ha dolorosamente abituato agli occultamenti della verità) è del tutto comprensibile. Ma il rischio è quello di mettere l’accento su di una rivendicazione quasi notarile del significato di una morte che già di per sé, in qualunque circostanza sia avvenuta, ha avuto una lacerante, terribile e a suo modo luminosissima potenza simbolica. Che Pasolini sia stato ucciso dalla furia bestiale di uno dei suoi amori notturni oppure da una “spedizione punitiva” è certo assai rilevante dal punto di vista giudiziario. Ma da troppo tempo il punto di vista giudiziario sembra essere diventato il solo, palpitante luogo dove si distribuiscono le ragioni e i torti, dove si cerca di dare un senso e un nome alle vicende della comunità nazionale.
Era l’uomo che aveva descritto, con una passione intellettuale semplicemente sconvolgente, il passaggio dalla lotta di classe (lotta di valori contro valori, di culture contro culutre) alla ferocia diffusa e insensata di ognuno contro tutti. Salò, il suo ultimo film, aveva portato fino all’intollerabile, fino al patologico, fino all’insostenibile la sua percezione dell’odio e del terrore come soli residui ingredienti del dominio e veri rapporti tra gli uomini: una specie di fascismo metaforico, eternato, grottesco quanto demoniaco, smembratore e torturatore di corpi quanto (e in quanto) negatore di anime.
Per quanto mi riguarda (per quanto sento) la morte di Pier Paolo Pasolini è uno degli avvenimenti più significativi e commoventi dei questo secolo.
E giusto o sbagliato fosse il suo populismo, corretta o esagerata la sua percesione del moderno come catastrofe antropologica, credo che nessun intellettuale o artista italiano contemporaneo abbia così fortemente affrontato l’epoca fino a farsene divorare, fino a distruggersi. Per queste ragioni, e per la nostalgia struggente che ho per la sua scrittura acuminata e accesa e perfino per il suo viso e la sua voce, mi chiedo se il vero e grande scandalo sia la sciatta negligenza con la quale si è indagato sulla sua fine, e non piuttosto il fatto che non esista una piazza o una strada o una scuola d’Italia dedicata al suo poeta, vissuto per le sue strade, anzi nel punto indeterminato, annichilente nel quale tutte le strade, perfino quelle di periferia, si interrompono.
Recentemente l’ho rivisto in una vecchia intervista, mentre ripeteva di “non riuscire a scrivere una riga sulla piccola borghesia italiana, né a frequentarla. Per me esistono solo il popolo e gli intellettuali”. La piccola borghesia italiana è diventata, tout court, l’Italia intera, esattamente come Pasolini andava dicendo che sarebbe avvenuto. Anche per lei, molto spiegabilmente, è impossibile frequentare Pasolini.
Da “Cuore — settimanale di resistenza umana”, n. 239 del 9/9/95
Fonte:
http://www.fucinemute.it/1999/07/pasolini-il-caso-e-chiuso/
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