"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Biblioteca nazionale centrale di Roma
Copia di "Empirismo eretico" con dedica di Pasolini a Elsa Morante
Empirismo eretico
DALL’EDIZIONE DEL 1972
Circa a metà di questo libro c’è una profonda divisione, che sembra spaccarlo in due. Tra Guerra civile e Il PCI ai giovani!! è evidentemente accaduto qualcosa di così importante che i due testi sembrano scritti da due autori diversi.
Le pagine in corsivo di Guerra civile sono certamente (con quelle su Vanni
Fucci) tra le più felici del libro, i versi in corsivo de Il PCI ai giovani!! sono
certamente tra le più infelici.
Ma non è questo che conta; perché, quanto al reale valore dei due testi, si
potrebbe anche sostenere il contrario. Guerra civile non dà scandalo: essa è il
testo di una persona che scrive nel profondo di una minoranza, ma, proprio
per questo, è come se si rivolgesse a una piccola maggioranza, a un mondo:
da cui sa di ottenere l’approvazione, essendo comunque in regola con le sue
aspettative.
Al contrario Il PCI ai giovani!! è irrimediabilmente scandaloso: le verità
«pragmatiche» – che pure vi sono prematuramente e abbastanza
coraggiosamente contenute – riescono inutilizzabili e provocano alla fine una
reazione contraria.
Questa inconciliabilità – anche psicologica – che si manifesta con tanta
violenza nella giustapposizione di Guerra civile e di Il PCI ai giovani!!, può
essere in realtà analizzata in qualsiasi brano di Empirismo eretico.
Le due persone che hanno scritto questo libro convivono in un solo
autore, che piano piano tende a fare della sua ambiguità due vite.
Rinunciando però alle conseguenze estreme di tutte due queste vite.
In quanto critico, questo autore si divide nettamente in un uomo che fa
esperienza, che lavora e che contempla, e in un uomo che è incapace di fare
esperienza, che usa il lavoro come droga, e che non può trattenersi
dall’intervenire. Oppure: in un uomo che accetta conformisticamente dei
riferimenti e degli ipocriti topoi, presunti in comune con un lettore da tenersi
buono, e in un uomo rabbiosamente slegato da tutto, senza alcuna politica di
alleanze. Oppure ancora: in un uomo che accetta e vive il benpensare
marxista e addirittura gauchista, come la contropartita attiva degli otia cui si
concede con un certo spirito scientifico e professorale, e un uomo il cui
idealismo deluso rende infastidito di tutto, fino quasi ad assumere
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atteggiamenti reazionari…
È questa doppia natura che fonda le strutture molto analoghe fra loro dei
saggi di Empirismo eretico.
L’ottimismo del «primo uomo», la sua buona volontà, la sua buona fede, la
sua pionieristica fiducia negli altri ecc., gli consentono di porsi davanti ai
problemi con lucidità e quasi con divertito e fervido distacco: tanto è vero
che, per i primi trequarti, ognuno di questi saggi si presenta in genere
abbastanza ineccepibile: è attraverso una serie di osservazioni, ricerche,
scoperte ecc. sincere e collaudate, che l’autore giunge – proprio allo scadere
dei trequarti del saggio – all’intuizione che gli dà senso: per esempio, la
nascita dell’italiano nazionale la cui lingua-guida è quella delle infrastrutture
anziché quella della sovrastruttura letteraria (nelle Nuove questioni
linguistiche); oppure l’«equidistanza» – dalla materia e anche da se stesso in
quanto personaggio rivissuto – (nella Volontà di Dante a essere poeta);
oppure ancora l’idea del cinema «come lingua scritta della realtà», o meglio,
«come metalinguaggio il cui codice linguistico è la realtà stessa intesa come
linguaggio» (in tutta la sezione Cinema) ecc. ecc.
Ma ecco a questo punto intervenire il «secondo uomo» a eludere la
conclusione, o a chiudere su un altro problema (generalmente presentato
come più vasto e implicitamente più importante): portando il disorientamento
e lo scacco; impaludando lo scorrere, talvolta così limpido e pieno, del
discorso.
Come per Trasumanar e organizzar, anche qui c’è di mezzo il 1968, anno
che i fascisti per un bel pezzo non smetteranno di benedire; e come per
Trasumanar e organizzar la «divisione» che ne consegue, impedisce al libro
di essere un «prodotto» (unico fenomeno che la critica è ormai capace di
prendere in considerazione). Altro su questo libro – che, malgrado le lucide
esplosioni isteriche, è dettato in genere con l’ingenuità del peripatetico alle
cui spalle gli scolari si danno gomitate – non voglio dire se non che esso è
sempre accanitamente sulle cose, le più attuali (ad esso, per es., si può
rivendicare il merito di aver inaugurato in Italia, per quel che riguarda il
cinema, l’uso della ricerca semiologica): e tuttavia esso si presenta come
disperatamente inattuale. Di ciò però l’autore se ne fa un vanto,
corrispondente al disprezzo che egli nutre per i suoi colleghi critici – quasi
tutti –, la cui ingloriosa canizie e il cui disonorato sale e pepe son proni di
fronte alla disumanità dei peggiori della nuova generazione.
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