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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

venerdì 27 dicembre 2024

Pasolini, Il potere e la morte - Intervista per la Televisione della Svizzera italiana, 29 aprile 1975

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Pasolini,  Il potere e la morte

Intervista per la Televisione della Svizzera italiana

29 aprile 1975


Qual è il significato attuale di questo film su Salò?

Oltre che un film sull’anarchia del potere, questo film vuole essere anche un film sull’inesistenza della storia, cioè la storia così com’è vista dalla cultura eurocentrica (il razionalismo e l’empirismo occidentale da una parte, il marxismo dall’altra) nel film vuole essere dimostrata come inesistente.

Secondo te, la tematica sessuale che c’è in De Sade ha riferimento specifico ai nostri giorni?

No. Il sadomasochismo è una categoria eterna dell’uomo. C’era al tempo di De Sade, c’è oggi, eccetera, eccetera… Ma non è questo quello che importa. Mi importa anche questo. Ma il reale senso del sesso nel mio film è quello che dicevo, cioè una metafora del rapporto del potere con chi gli è sottoposto.

In che modo oggi la lezione di questo film potrebbe essere capita o applicata dai giovani che ci circondano?

Mah, io credo che i giovani non lo capiranno. Non mi illudo di essere capito dai giovani perché con i giovani è impossibile instaurare un rapporto di carattere culturale, perché i giovani vivono nuovi valori con cui i vecchi valori, in nome dei quali io parlo, sono incommensurabili.

Quindi a chi si indirizza?

Mah, si rivolge in generale a tutti, a un altro me stesso.

Non con l’intento di correggere modi di comportamento?

No. Non ho nessuna intenzione di correggere modi di comportamento. Questo è un intento pedagogico, didascalico che io non ho.

Nei tuoi film precedenti ti sei servito del passato per insegnarci cose che noi potessimo applicare nella nostra società. Adesso non vuoi più fare delle lezioni di questo genere?

No, no, assolutamente. Ma neanche allora volevo farle. Io ho rievocato il passato, cioè un tipo di essere uomo o di far l’amore del passato, semplicemente per fare un confronto oggettivo col presente e quindi contestare, come dicevo, globalmente il presente. Ma non mi illudevo affatto che le cose del passato fossero un insegnamento.

In questo film tutto il sesso e tutta la crudeltà avviene come un rito. Invece nei film precedenti era come una gioia. Quindi tu il potere lo vedi come una cosa che elimina la gioia del comportamento umano?

Sì. Io penso che durante l’età cosiddetta repressiva il sesso era una gioia perché avveniva di nascosto ed era un’irrisione di tutti gli obblighi e i doveri che il potere repressivo imponeva. Invece nelle società tolleranti, come si dichiara la nostra, quella in cui viviamo, il sesso è semplicemente nevrotizzante perché la libertà concessa è falsa e soprattutto è concessa dall’alto e non conquistata dal basso. Quindi non si tratta di vivere una libertà sessuale ma di adeguarsi ad una libertà che viene concessa.

In che modo in questo film il rito del sesso si applica alla struttura del potere?

Mah, il potere è sempre codificatore e rituale, cioè senza volerlo mi son trovato in questo film a rappresentare sia la vita perbene, piccoloborghese con i suoi salotti, i suoi tè, i suoi doppiopetti, ecc., da una parte, e dall’altra mi son trovato a rappresentare la cerimonia nazista in tutta la sua solennità macabra, così tetra e povera. Perché il potere appunto è rituale oltre che essere codificatore. Ma ciò che ritualizza e ciò che codifica è sempre il nulla, il puro arbitrio, cioè la sua propria anarchia.

Secondo Freud il rituale è sempre una cosa che ha mantenuto le strutture sociali. Quindi, facendo vedere che il potere in fondo è rito, si dice anche che forse il potere e la sua esecuzione sul debole fa parte dei nostri riti sociali…

Sì, non c’è dubbio. La messa è stata un rito che ha cristallizzato per millenni un credo religioso. Effettivamente tutti i poteri hanno i loro riti. Io evoco nel mio film i riti della piccola borghesia perbene, che riceve, prende il tè, ecc. Oppure i riti della borghesia fascista, militaresca, di Hitler, quindi con le piazze imbandierate, i palchi, ecc. Oggi i riti sono di altro tipo, sono, per esempio, l’essere in fila davanti alla televisione o l’essere in fila in una coda di macchine nel weekend o fare la merenda in un prato… ogni potere ha le sue forme di rito.

Perché, secondo te, l’uomo ama talmente sottoporsi ai riti, anche se sono esecuzioni su di lui da parte del potere?

Ma l’uomo è sempre stato conformista, cioè la caratteristica principale dell’uomo è stata quella di conformarsi a qualsiasi tipo di potere o di qualità di vita trovi nascendo.

Quindi quasi una qualità biologica…

Per me… una qualità, direi, sociale dell’uomo. No, forse biologicamente l’uomo è narciso, ribelle, ama troppo la propria identità, ecc… Ma è la società che lo rende conformistico e lui ha chinato la testa una volta per sempre di fronte agli obblighi della società.

Secondo te c’è una speranza che l’uomo torni a un momento storico dove non chinava la testa?

No, non c’è affatto questa speranza. No, questo è un fatto individuale che delle volte può avere delle ripercussioni anche in un certo ambito sociale. Ma non credo che ci sarà mai un tipo di società in cui l’uomo sia libero.

Quindi è inutile sperarci…

Mah, non bisogna mai sperare in niente. La speranza è una cosa orrenda inventata dai partiti per tener buoni i suoi iscritti.

Allora il lavoro dell’artista nella società in fondo non serve a nessun scopo, salvo l’autosoddisfazione?

Ha uno scopo ed è quello di porsi come esempio di anarchia.

L’uso di attori non professionisti in che modo influenza il lavoro, il prodotto?

Per quel che riguarda la mia opera in generale posso darti una risposta. Per quel che riguarda questo film, qui, Salò, te ne potrei dare un’altra. In generale la mia opera è influenzata dall’uso di attori non professionisti come è influenzata dall’uso di una scenografia non ricostruita in teatro, cioè una scenografia vera. Nel senso che quando io giro, in realtà non faccio altro che raccogliere del materiale. Quindi vado in un posto qualsiasi scelto da me in natura, non ricostruito, e raccolgo del materiale secondo la luce, secondo quello che c’è lì, in quel momento. E così con gli attori non professionisti. Prendo un ragazzo che non ha mai recitato, lo metto davanti alla macchina da presa e lo tengo lì a lungo, raccogliendo materiale. Questo significa che poi devo fare un lungo lavoro in montaggio per togliere tutto quello che è inutile e cogliere invece quel momento di verità che può essere, ecco, lampeggiato nel suo sguardo, nel suo sorriso mentre giravo. In questo film invece questo non succede perché non è un film di raccolta di materiale elaborata poi in montaggio. È un film già girato, già montato mentre lo giro e allora ho bisogno di un maggiore professionismo da parte degli attori.

Questa è la ragione per cui tu fai poche prove e giri tutto?

In genere questa è la ragione per cui faccio poche prove, perché preferisco cogliere la realtà così com’è, nella sua ingenuità, nel suo candore, nella sua imprevedibilità. In genere. In questo film qui invece no. Parlo prima con gli attori, faccio imparare bene le battute, devono dire esattamente quel che devono dire. Poi, naturalmente, lascio un ampio margine all’improvvisazione, alla libertà. Però in genere qui tutto è meglio programmato del solito.

Quale consideri tu il punto centrale della tua opera, quello che porti avanti da un film all’altro, cioè un messaggio, un’ossessione, un’idea?

È un’idea formale, l’illuminazione che ho di quello che deve essere un film, che è inesprimibile a parole. Per esempio per De Sade questo lampo l’ho avuto nel momento in cui ho deciso di trasporre Le 120 giornate di Sodoma nella primavera del ’44 e ho quindi visto la coreografia fascista.

Come ti è venuta questa idea?

Ah! non so, è stata un’illuminazione. L’idea di un film non è mai un prodotto di una serie di pensieri. C’è una serie di pensieri che viene interrotta semmai da un’illuminazione, com’è stato appunto nel caso di De Sade.

La genesi di questo film più o meno qual è?

Il film era stato offerto a Sergio Citti e io ho lavorato con lui alla sceneggiatura. Il mio principale apporto a questa sceneggiatura è consistito nel dare alla sceneggiatura una struttura di carattere dantesco che probabilmente era già nell’idea di De Sade, cioè ho diviso la sceneggiatura in gironi, ho dato alla sceneggiatura questa specie di verticalità e di ordine di carattere dantesco. Ma mentre lavoravamo appunto a questa sceneggiatura, Sergio Citti man mano si disamorava perché gli era giunta un’altra idea, l’idea di un altro film e io invece pian piano me ne innamoravo e me ne sono innamorato definitivamente quando è avvenuta questa illuminazione, quando cioè è venuta l’idea di trasporre De Sade nel ’44, a Salò.

De Sade per te, come letteratura, era già una cosa di un interesse importante durante la tua formazione, direttmente come uomo di letteratura?

Non direttamente, perché De Sade l’ho letto molto tardi e l’ho letto un po’ come una delle tante letture che si fanno. Però, indirettamente sì, ha dei precedenti. Ho scritto un’opera che si chiama Orgia, che è di carattere evidentemente sadico, è un rapporto sadomasochistico tra un marito e una moglie. E ho rappresentato quest’opera, che è appunto una tragedia in versi, a Torino nel ’68.

In teatro…

In teatro. Poi ho pensato, già mentre si facevano i sopralluoghi per il Decameron, a un film su Gilles De Rais, che è una specie di 120 giornate di De Sade. Quindi evidentemente la cultura sadiana benché non direttamente, operava in me già da tempo.

Comunque lo prendi come una metafora per i nostri giorni…

Beh, non direi per i nostri giorni. Lo prendo come metafora del rapporto del potere con chi è subordinato al potere, e quindi vale in realtà per tutti i tempi. Evidentemente la spinta è venuta dal fatto che detesto soprattutto il potere di oggi.


©Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare


Curatore, Bruno Esposito

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