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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

mercoledì 8 giugno 2022

Pier Paolo Pasolini, Rinnovarsi dai fantasmi - Vie Nuove numero 4 - 28 gennaio 1965

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

Vie Nuove  numero 4 - 28 gennaio 1965
Vie Nuove  numero 4 - 28 gennaio 1965


Pier Paolo Pasolini
Rinnovarsi dai fantasmi

Vie Nuove

numero 4

28 gennaio 1965


Caro Pasolini, leggendo i tuoi dialoghi mi viene da pensare che tu sia come il Cristo del tuo Vangelo: sempre un po’ arrabbiato col tuo prossimo, sempre incompreso compiutamente e quindi sempre un po’ risentito. Quando ho visto il tuo bellissimo Vangelo, i discepoli del Cristo mi facevano un po’ pena: non succedeva mai che dicessero qualcosa che il Maestro accettasse o accettasse completamente. Nei dialoghi, i discepoli sono i tuoi interlocutori. Tu li ami non c’è dubbio, ma ti senti sempre un po’ incompreso e quindi ti risenti. Mi sbaglio? Sarebbe interessante che ci illustrassi questo aspetto del tuo carattere.

Mario Vinciguerra - Milano


Sì, hai ragione. Sono spesso impaziente coi miei corrispondenti. Mai però contro di loro (come osservi): ma piuttosto contro certi fantasmi, che percorrono ancora il marxismo - e di cui, essi, ingenuamente, e senza colpa personale, sono succubi. Torno da un viaggio, sia pur breve, dall’Ungheria, dalla Cecoslovacchia e dalla Francia. In quelle nazioni il Pci è al centro dell’attenzione: in senso positivo in Ungheria e in Cecoslovacchia, in senso polemico in Francia (dove è invece il «modello» di un movimento di giovani, detti appunto, più che «italianizzanti» addirittura «italiani»: la cui rivista è «Clarté» - e che sono indubbiamente un fenomeno straordinario).

Il Pci si è guadagnato una posizione di prestigio, con massimo merito. Tuttavia, io che vivo in Italia, ogni giorno, ogni ora, non posso non sentire ancora la presenza di quei «fantasmi» (il conformismo, lo stalinismo, il patriottismo di partito, la mancanza di critica o un’autocritica puramente nominale...): anzi, il sentire questo, e il non omettere nessuna mia possibile critica su questo, è la mia precisa funzione, e il mio dovere di scrittore. Tanto più oggi: in cui il tema fondamentale del marxismo, in tutto il mondo, è un suo sincero e profondo «rinnovamento», la cui assoluta necessità ha ragioni diverse nei vari paesi del mondo, ma che tuttavia coincide cronologicamente e non è rinviabile. La «base» cui appartiene la maggior parte dei miei corrispondenti di «Vie Nuove», deve essere cosciente di questa assoluta necessità di rinnovamento: ed è quindi umano se io provo un certo moto di esasperazione e di impazienza, quando sento qualcuno dei miei corrispondenti rimasticare dei vecchi motivi, delle vecchie lezioni, delle vecchie affermazioni, a cui è ciecamente attaccato, da cui fa dipendere la sua stessa esistenza: proprio nel momento in cui un profondo e totale esame critico dovrebbe mettere in ballo tutto, senza paura e senza rimpianti.

In questi anni siamo entrati in un periodo della storia che comincia ormai ad estendersi oltre le possibili previsioni di Marx e di Lenin: almeno in tre direzioni: I) La scienza atomica e la conquista dello spazio; II) La presenza del Terzo Mondo e la fine del vecchio colonialismo; III) L’evoluzione del capitalismo verso forme nuove di tecnocrazia.

Di fronte a un così imponente mutamento della figura del mondo, io mi esaspero a sentir ripetere dei vecchi luoghi comuni, e a sentir citare Marx, non come un reale grande innovatore del pensiero umano, ma come uno dei tanti Aristoteli: e naturalmente, la mia impazienza coinvolge anche una certa critica del rapporto tra i dirigenti del Pci - così avanzati sulla linea del «rinnovamento» - e la base che mi pare un po’ lasciata all’oscuro, forse per timore che l’esercizio critico si presenti come corrosivo anziché come rinnovatore.

In parole molto semplici, il rinnovamento del marxismo è necessario per queste ragioni:

I) Nei paesi socialisti, perché il marxismo è andato al potere, e, andando al potere, la sua visione o interpretazione del mondo si è fatta «autoritaria», e rimane tale. Non si evolve cioè lungo le vie indicate da Marx e Lenin. La rivoluzione non continua. Perciò le nuove generazioni sono bloccate. E il contrasto tra marxismo in movimento e marxismo fissato nell’autorità (diciamo il contrasto tra cultura e potere), è ridotto a un dibattito arido e angoscioso. Tutto si risolverebbe se la rivoluzione potesse riprendere la naturale marcia verso il totale decentramento del potere. Ma ciò non è possibile ancora. Da qui una crisi profonda, a cui si ricercano soluzioni pretestuali (per esempio nel campo della letteratura, che è quello che io conosco meglio, il «ritorno» a situazioni letterarie pre-rivoluzionarie, e l’accettazione di assurdi richiami avanguardistici di tipo irrazionale, tipici di certe situazioni capitalistiche).

II) In Francia, perché la cultura marxista paga oggi la mancata esperienza di un rivolgimento totale dei valori, politici, morali e letterari. In Francia non si è avuta una revisione, diciamo così, anti-liberale, che coinvolgesse tutto quanto è stato prodotto dalla grande cultura francese dalla fine dell’Ottocento a oggi. Nessun francese marxista ha mai condotto con coraggio questa revisione che rovesciasse tutto: ogni francese si trova quindi immerso in un ambito culturale moralmente indistinto, in cui tutto ha cittadinanza. Ogni francese, anche marxista, è come un Faraone dentro la sua piramide. Il Pcf ha raccolto questa eredità sociale della sua nazione, tendente alle cristallizzazioni, alle piramidi. Esso si trova a soffrire, assurdamente, la stessa crisi di tutta la civiltà francese: la crisi del mondo liberale. (È per questo che uno dei giovani «italiani» diceva, ripetendola sempre come un ritornello ossessivo, la frase «Bisogna superare il liberalismo».)

III) In Italia, perché l’avvento del neocapitalismo ha assunto forme quasi rivoluzionarie per la nostra società, che, mancando della complessità, della maturità, della tradizione, della grandezza delle borghesie francesi, inglesi o americane, ne è improntata clamorosamente. Anzi, la nascita di una borghesia potenzialmente egemonica (come era già avvenuto nell’Ottocento nei grandi Stati europei) e il suo aspetto neocapitalistico, coincidono. Questo fa sì che al centro della vita politica italiana si ponga una lotta tra forze «conservatrici» (gli industriali del Nord) e forze «laburiste» (il centro-sinistra): il marxismo deve tenere occupato quel centro. E questo implica una ardita, sincera, integrale operazione di rinnovamento. Ogni richiamo a vecchie e comode posizioni di lotta, mi risuona perciò assurdo e colpevole.



@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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