"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Il corpo di Cristo tra presenza e assenza - Pasolini e Gibson: un confronto possibile?
Di Guido Nicolosi
Che non sia il tuo corpo la prima
sepoltura del tuo scheletro
[Jean Giraudoux]*
sepoltura del tuo scheletro
[Jean Giraudoux]*
1. Il Cristo di Mel Gibson: tra cristianesimo classico e tarda modernità
Ciò su cui, però, vorrei maggiormente soffermarmi è il rimando costante che, nel commentare o analizzare il lavoro di Gibson, giornalisti, critici, e media hanno effettuato all’opera di Pier Paolo Pasolini (solo poche volte per marcarne la differenza). È senza dubbio vero che esistono delle “co-occorrenze” che possono spingere la mente del cinefilo a cercare delle possibili relazioni e contiguità. Per esempio, l’utilizzo forte della corporeità nella filmografia pasoliniana; oppure, il fatto che la tensione, allo stesso tempo mistica e laica, di Pasolini verso l’Assoluto lo portò alla realizzazione, nello stesso set naturale (Matera), di un film sulla figura del Cristo (Il vangelo secondo Matteo). Ma, a parte queste correlazioni, tra le due produzioni artistiche corre un abisso profondo. Naturalmente, tale abisso è, in buona parte, ascrivibile al diverso spessore culturale, poetico e politico dei due registi. La lettura di Gibson “denuncia” una reazionaria (certamente bigotta) interpretazione del calvario di Cristo. Al contrario, il Cristo di Pasolini è una figura poetica, sacra e rivoluzionaria allo stesso tempo. Non è, credo, casuale che l’Italia sia uno dei pochi paesi al mondo in cui la proiezione del film di Gibson non subisce (giustamente, d’altronde), nonostante la crudezza delle immagini, il divieto ai minori; laddove il Cristo pasoliniano subì le “scomuniche” e la persecuzione delle alte gerarchie cattoliche (recentemente anche il Cristo di Ciprì e Maresco ha dovuto subire un forte ostracismo di stampo moralistico e clericale). I due autori, evidentemente, hanno di-mostrato un approccio radicalmente diverso. Questa differenza trova la sua principale espressione proprio nel diverso modo in cui essi hanno messo in scena la corporeità. Nel caso di Pasolini, inoltre, il corpo di Cristo non è presente solo nel “Vangelo”, ma è evidentemente “diffuso” e, dunque, presente in tutti i corpi dei personaggi della sua produzione (non solo filmica); ivi compreso il corpo estremo e collettivo di “Salò”.
a) mero oggetto-macchina;In tal senso, mi sento di poter affermare che il soggetto della tarda-modernità assume, con sempre maggiore forza, la posizione e la condizione del voyeur (anche questo, forse, spiega il successo dei reality show). Il voyeur, infatti, è un soggetto che, pur essendo fisicamente presente, si percepisce come assente e non soffre di tale condizione, anzi, vi trova la principale fonte di soddisfazione libìdica. Ebbene, a mio avviso, il corpo del Cristo di Gibson è anch’esso tanto presente, quanto assente. E ciò nella misura in cui esso è tanto spettacolare, quanto privo di qualsiasi carica eversiva; tanto eclatante, quanto conservativo; tanto appariscente, quanto scontato.
b) supporto temporaneo[2] a disposizione dell’individuo per realizzare una sorta di bricolage del sé (tatuaggi, piercing, body-art, body-building, ecc.);
c) oggetto-spettacolare, vero e proprio feticcio (immagine pura, piana e “pubblicitaria”);
d) strumento biologico di sussistenza di un soggetto cartesiano che vive solo per il lato “spirituale” del proprio sé e quindi trascorre la propria vita guardando il mondo senza viverlo;
2. Pier Paolo Pasolini poeta multimediale
Pier Paolo Pasolini, è noto, ha intrattenuto con i media un rapporto che, pur nella contraddittorietà, è stato assai fecondo e dirompente. Ho già avuto modo, in tal senso, di definire Pasolini un vero e proprio poeta multimediale. Ho inteso evidenziare, con questa formula, la capacità, ma anche la volontà di Pasolini di affrontare una pluralità di questioni di natura molto diversa utilizzando una pluralità di media[3], senza mai tradire la sua istintiva, profonda e costante matrice poetica. Intendo dire, cioè, che la poesia è stata la sua più grande risorsa e ciò non nel senso dato dal fatto, quasi banale, che Pasolini ha scritto delle bellissime poesie, ma in un senso molto più profondo, fondamentalmente “metafisico” [4]. La definisco la sua più grande risorsa perché è stato il suo esser poeta a spingerlo oltre gli “angusti” limiti delle discipline che ha di volta in volta tematizzato; ad affrontare con una lucidità che oserei definire profetica i grandi temi politici, sociologici, antropologici della società e della cultura contemporanea. Le sue analisi, proprio perché poetiche, gli hanno permesso di vedere “verità” nascoste da ingombranti orpelli superficiali. Proprio perché poetiche, gli hanno permesso di scoprire le tendenze “in fieri”, appena accennate, non quantificabili, ma che un poeta può permettersi di additare. È qui che si annida anche quello che da più parti è stato indicato come il limite della sua opera: l’affrontare questioni sociologiche, antropologiche, semiotiche, con un occhio poetico, privo di quella rigorosità metodologica che ogni scienza empirica deve necessariamente fare propria. Pasolini, in quanto poeta, ha potuto osare alzarsi sopra le teste degli uomini e delle donne del tempo, toccando il cielo, giocando con l’inferno. Da quelle altezze egli ha potuto vedere cose che nessun altro era in grado di vedere, ma proprio per questo egli ha perso la possibilità di essere preciso, rigoroso. Una rigorosità che, sicuramente, egli stesso non ricercava e che nessuno può chiedere ad un grande poeta, anche quando questi si trasforma in sociologo, antropologo, semiologo.
3. Il corpo di Pasolini e la complessità della sua poetica
Mi capita spesso di ascoltare, nella riflessione politico-esistenziale diffusa, la seguente domanda: “Esiste o potrebbe esistere un personaggio come Pasolini, oggi?”. Ovvero, parafrasando il titolo di un programma radiofonico di Oliviero Be’a su Pasolini: Esistono tracce di Pier Paolo Pasolini nella società contemporanea?. La risposta ad una simile domanda deve superare una difficoltà insormontabile: l’immagine, la rappresentazione attuale della figura di Pasolini (quella che appartiene alla mia generazione, perlomeno) è, ne sono sempre più convinto, assolutamente distorta; e lo è nel senso specifico di parziale. Una parzialità che può, forse, essere spiegata facendo riferimento ad una “strana” particolarità che ha determinato la parabola ascendente del successo di Pasolini come autore e come “icona”. Lo scrittore friulano, infatti, è stato un autore particolarmente odiato e contrastato in vita e diffusamente amato dopo la morte. Sono in molti a riconoscere questo fatto, anche dal punto di vista della “presenza commerciale” delle sue opere. Oggi, fra l’altro, ed è stata questa una piacevole “scoperta”[6], possiamo parlare di un vero e proprio culto di Pasolini anche su Internet.
L’accanita persecuzione che Pasolini dovette subire durante la sua vita è nota ed è inutile qui ripercorrerla. La cosa che mi preme sottolineare è che tale persecuzione (non vedo altri termini che possano esprimere l’atteggiamento della società italiana di quegli anni nei suoi confronti) fu realizzata con metodica pedanteria da tutte le varie anime politico-ideologiche che animavano la vita sociale italiana di quell’epoca. Anche la sinistra, che rappresenta senza dubbio l’alveo naturale dove è necessario collocare la figura di Pasolini, ebbe con lui un rapporto quantomeno conflittuale. Sappiamo, infatti, che la sinistra istituzionale (i comunisti) lo espulse dal PCI e che la dialettica con la sinistra extraparlamentare fu, in taluni frangenti, molto aspra[7]. Dopo la sua morte, invece, il clima attorno a Pasolini cominciò lentamente a mutare. Iniziò un progressivo recupero di un Pasolini profeta; un lento, ma inesorabile, viatico verso la santificazione del Poeta. Oggi, anche una parte della destra ha recuperato Pasolini, per non parlare del mondo cattolico che (non tutto, certo, ma in buona parte) in vita lo aveva duramente contrastato politicamente, ideologicamente, artisticamente e in via giudiziaria. È necessario, dunque, ricercare un elemento che, presente in vita e assente “in morte”, ha determinato le alterne sorti dell’odio e dell’amore (quasi viscerale, un vero e proprio culto profano) che di volta in volta hanno investito la figura, l’opera, la politica pasoliniane. In Pasolini, cioè, molto più che in altri autori, c’è un prima e un dopo. A mio avviso, ciò è spiegabile solo se consideriamo Pasolini una figura la cui complessità è legata ad una contraddittorietà sostanzialmente scandalosa. Anzi, Pasolini ha avuto nella scandalosa contraddittorietà poetica che lo ha contraddistinto proprio la maggiore forza eversiva a sua disposizione. Sarebbe lecito probabilmente parlare di una lucida coerenza contraddittoria (mi si perdoni l’ossimoro)[8]. Probabilmente, ad esempio, molti di coloro che oggi, dagli scranni della sinistra “illuminata” cantano le lodi di Pasolini, non sarebbero disposti a sposare le posizioni “conservatrici” di Pasolini (sull’aborto, lo stupro, il concetto di sviluppo e quello di povertà, la critica al razionalismo[9], ecc.). Ebbene, questa contraddittorietà e “ambivalenza” hanno fatto di Pasolini, durante la sua vita, un personaggio scomodo perché globale. Intendo dire, molto semplicemente, che Pasolini andava preso in toto. Non si poteva decidere di prenderne un “pezzo” e farne una chiave di lettura. Pasolini era lì, in tutta la spigolosità che un personaggio globale implica. Dopo la morte, al contrario, la dissezione pasolinana (uso questo termine, come vedremo, in maniera non casuale) è stata resa possibile. La morte di Pasolini, come spartiacque dirimente, ha provocato una deflagrazione e conseguentemente una frammentazione della complessità della sua figura. Dopo la morte di Pasolini possiamo tutti (comunisti, fascisti, cattolici, ecc.) prendere pezzi della sua storia, delle sue idee e farne paradigmi di lettura complessiva. Lo abbiamo dissezionato e ora ci apprestiamo a fagocitarlo. Mi sono chiesto quale fosse questo elemento presente in vita e assente dopo la morte.
Riferimenti Bibliografici
Ansart, P.
2002 Les utopies de la communication, in “Cahiers internationaux de sociologie, Vol. CXII [17-43]
2002 Les utopies de la communication, in “Cahiers internationaux de sociologie, Vol. CXII [17-43]
Breton, P.
1995 L’Utopie de la communication. Le mythe du “village planetarie”, Paris, La Découverte
1995 L’Utopie de la communication. Le mythe du “village planetarie”, Paris, La Découverte
Cela, C. J.
1963 Once cuentos de futbol; trad. it.: Undici racconti sul calcio, Firenze, Passigli Editori, 2000
Eco, U.
1973 Il segno, Milano, ISEDI
Galimberti, U.
1989 Il corpo, Feltrinelli, Milano, 1983
Greimas, A. & Courtés, J.
1986 Semiotique. Dictionnaire raisonné de la théorie du langage, Hachette, Paris
Le Breton, D.
1990 Anthropologie du corps et modernité, Puf, Paris
1999 Adieu au corps, Editions Métailié, Paris
Mauss, M.
1950 Sociologie et anthropologie, PUF, Paris; trad. it.: Teoria generale della magia e altri saggi, Einaudi, Torino, 1965
Metz, C.
1968 Essais sur la signification au cinema, Ed. Klincksieck; tr.it. Semiologia del cinema, Milano, Garzanti, 1972 (I edizione: strumenti studio 1989)
Pasolini, P. P.
1968 Il PCI ai giovani!!!, in “Nuovi Argomenti”, aprile-giugno
Shilling, C.
1993 The body and social theory, Sage, London
Uhl, M.
2002 Intimité panoptique. Internet ou la communication absente, in “Cahiers internationaux de sociologie, Vol. CXII [151-168]
Note
* Citazione tratta da: [ Cela, 1963]
[1] Sul rapporto tra le “promesse di una comunicazione generalizzata al livello planetario, le immagini di una comunità indefinita di dialoghi pacificati” diffuse ampiamente nel discorso sulla comunicazione e il concetto di utopia così come si è caratterizzato dall’avvento delle grandi utopie sociali (a partire dalla Repubblica di Platone e le analisi di Fourier) in poi, vedi: Les utopies de la communication [Ansart, 2002] o L’Utopie de la communication. Le mythe du “village planetarie” [Breton, 1995]
[2] “Le corps est devenu puor nombre de contemporaines une représentations provisoire, un gadget, un lieu idéal de mise en scène pour “effets spéciaux” [Le Breton, 1999]
[3] Dal punto di vista semiotico, possiamo considerare i testi multimediali come testi sincretici. Essi, infatti, rinviano a sistemi semiotici eterogenei (Greimas e Courtés, 1986). Affinché si possa parlare di multimedialità in senso stretto sono necessarie, però, alcune condizioni: a) una strategia comunicativa coerente ed unitaria; b) una plusvalenza di significato; c) fruizione multisensoriale; d) combinazione nuova di media differenti.
[4] Non è casuale che Umberto Eco ha definito metafisica pansemiotica la semiologia pasoliniana [Eco, 1973]. Parimenti non possiamo dimenticare le parole pronunciate da Moravia proprio sulla sacralità del poeta in occasione dei funerali di Pasolini
[5] E’ stato lo stesso Metz, d’altronde, che ha tentato di definire la “specificità cinematografica” su due livelli: discorso filmico e discorso in immagini [Metz, 1968]. Il primo dei due livelli si caratterizza per la sua qualità compositiva. Il cinema, su questo livello, si specifica nel suo comporre linguaggi tra di loro differenti, ognuno dei quali mantiene le proprie “leggi”. Conglobando espressività anteriori, esso le proietta amalgamate in un linguaggio di linguaggi.
[6] G. Nicolosi, Tra reale e virtuale: Pasolini nell’era di Internet, in “Fucine Mute”, ottobre 2000-marzo 2001
[7] Basti pensare alla poesia “Il PCI ai giovani!!!” [Pasolini, 1968] e ai noti fatti legati a quella poesia
[8] Uso questa formula per dire che Pasolini aveva capito, a mio avviso, che per essere coerenti con se stessi (morali e non moralisti, come amava affermare) bisogna avere spesso il coraggio di sfidare la complessità e l’ambiguità del mondo
[9] Un razionalismo inteso come vena vitale che ha alimentato tutto il pensiero occidentale, compreso quello marxista e rivoluzionario. Pasolini, cioè, ha inteso affrontare una questione a lui assai cara, che riprenderà spesso nei suoi saggi e nei suoi film: la crisi sociale di un modello razionalista che ha fondato ogni ideologia di potere e d’opposizione
[10] Pensiamo, ad esempio, al diverso ruolo del corpo (quello delle donne in particolare) nelle società tradizionali e in quelle modernizzate. Nelle prime, esso è terreno di scontro simbolico tra spinte innovative e reazioni fondamentaliste. Da una parte la liberazione dei costumi come rivendicazione “semiotica” della modernità e dall’altra la difesa ad oltranza dell’identità culturale. Nelle seconde, al contrario, esso è, spesso, luogo privilegiato per l’attuazione della strategia dell’”innovazione conservativa” tipica della mercificazione consumistica.
Fonte:
http://www.fucinemute.it/2005/02/il-corpo-di-cristo-tra-presenza-e-assenza/
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