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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

giovedì 16 maggio 2013

Pasolini - PROFONDO NERO

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



PROFONDO NERO

Di sequito un capitolo del libro PROFONDO NERO, di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza, edito da A Chiare Lettere. Il libro avanza l'ipotesi di un collegamento tra l'inchiesta che Pasolini stava conducendo per scrivere Petrolio, il romanzo rimasto incompiuto sul quale stava lavorando da almeno tre anni, e la sua tragica morte.

Dario Bellezza, amico e discepolo di Pasolini, nel suo libro Il poeta assassinato scrive: «Pier Paolo mi disse un giorno, poco prima di morire, che aveva ricevuto dei documenti compromettenti su un notabile Dc». E aggiunge: «Per me, ne sono più che convinto, c’è stato un mandante ben preciso che va ricercato fra coloro per i quali Pasolini chiese il processo. Un potente democristiano».

C’è davvero un potente democristiano dietro l’uccisione di Pier Paolo Pasolini? Chi è? E lo stesso personaggio che, negli appunti di Petrolio, diventa il simbolo vivente della perversa natura del potere in Italia? Pasolini, scrivendo l’ultimo romanzo della sua vita, vuole sferrare un attacco frontale a quell’uomo temuto e misterioso? Quello che sappiamo è che Pasolini, scrivendo Petrolio, è letteralmente ossessionato da Cefis. Il famoso «articolo delle lucciole», quello in cui il poeta diceva che avrebbe dato l’intera Montedison, per avere in cambio una luc¬ciola, si conclude con il riferimento all’uomo forte dell’industria italiana: «A ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l’intera Montedison per una lucciola» (Corriere della Sera, 10 febbraio 1975). Un messaggio? Una sfida? Sappiamo anche che, prima di mettere mano a Petrolio, Pasolini ha letto avidamente il libro Questo è Cefìs. L'altra faccia dell’onorato presidente, scritto da un tal Giorgio Steimetz, da alcune fonti indicato come pseudonimo del giornalista Corrado Ragozzino,quest’ultimo direttore dell’agenzia di stampa Ami (Agenzia Milano Informazioni). Il libro glielo ha mandato in fotocopia lo psicoanalista Elvio Fachinelli, come attesta una lettera del 20 settembre 1974.
In quell’anno, Fachinelli dirige una rivista, «L’erba voglio», che curiosamente si è occupata molto di Cefis, di cui ha pubblicato articoli e interventi. Perché il volume arriva a Pasolini in fotocopia?
Il libro di Steimetz, edito nell’aprile del 1972 dalla stessa Ami (finanziata tra gli altri dall’Ente minerario siciliano di Graziano Verzotto), era immediatamente sparito dalla circolazione, al punto che ancora oggi è irrintracciabile anche nelle più importanti biblioteche e non compare mai in nessuna bibliografia. Non certo per caso.
Scrive Steimetz nel suo volume su Cefis:
«Ridurre al silenzio, e con argomenti persuasivi, è uno dei tratti di ingegno più rimarchevoli del presidente dell’Eni». Gli fa eco Pasolini, in Petrolio, descrivendo il suo personaggio Troya:
«Egli doveva, per la stessa natura del suo potere, restare in ombra. E infatti ci restava. Ogni possibile “fonte” d’informazione su di lui, era misteriosamente quanto sistematicamente fatta sparire».
Negli archivi del Gabinetto Viesseux di Firenze, dove sono conservate, oltre al manoscritto originale di Petrolio, anche le carte preparatorie del romanzo e i materiali che Pasolini andava consultando, si trovano ancora le fotocopie del libro «proibito» di Steimetz, con le note e gli appunti manoscritti del poeta.
Anche il pm Gaia ne ha fortunosamente rintracciato una copia, su una bancarella di Pavia, e lo ha inserito tra gli atti della sua inchiesta, sottolineando che tutte le pagine sulle attività imprenditoriali di Troya-Cefis e sulle società a lui collegate, Pasolini le deve proprio al libro di Steimetz, di cui Petrolio rappresenta, per questa parte, né più né meno che la parafrasi letteraria.
Ben diverso è il discorso per quanto riguarda il ritratto psicologico di Troya. Qui Pasolini ci mette del suo, va oltre l’analisi giornalistica di Steimetz: il poeta costruisce il suo personaggio immaginando di aver scrutato e scandagliato a fondo l’animo di Cefis che, a quel tempo, durante la stesura di Petrolio, è diventato ancora più potente, essendo ormai più che saldo al timone della Montedison. Attenzione ai passaggi: nel 1967 Cefis è presidente dell’Eni. Nel 1971 conquista la Montedison e ne diventa presidente, comprando le azioni con l’aiuto di Enrico Cuccia (Mediobanca) e Fanfani. Pasolini studia i movimenti della finanza italiana e ne analizza i rapporti con il potere politico.
Per Pasolini, Cefis è una chiave di accesso per comprendere la profonda degenerazione della politica italiana.
Lo scrittore ne coglie le ambiguità e le riassume sotto la categoria che lui stesso chiama del «misto». Oggi, quella che Pasolini individua come tratto distintivo della classe politica italiana, si potrebbe definire «vocazione alla trasversalità», una caratteristica che permea tutta la cultura politica e che trova le sue radici proprio nella formazione «mista» (repubblicana e cattolica, ovvero comunista e pretesca nello stesso tempo) della Resistenza, fucina della successiva Assemblea Costituente, a sua volta progenitrice della classe politica italiana.
Scrive Pasolini che Troya, alias Cefis, rivela un «misto della sua personalità, che si manifesta sin dai tempi della sua giovinezza», come dimostra anche la sua esperienza di partigiano in una «formazione mista degasperiana e repubblicana», che lottava sui monti della Brianza.
Ed ecco la descrizione del protagonista Aldo Troya, alias Eugenio Cefis, come la presenta Pasolini in Petrolio. È l’Appunto 22.

Lui, Troya, è un uomo sui cinquant’anni, ma ne dimostra meno. La prima cosa che colpisce in lui è il sorriso. Colpisce, prima di tutto, perché si sente subito che è un sorriso divenuto stereotipo poi. Egli è un uomo pubblico, quindi è costretto a sorridere, a quanto pare: ma il suo anziché essere un sorriso, è [...] rassicurante, splendente, anzi, radioso, da «uomo medio», che essendo un bravo padre di famiglia, un simpatico lavoratore, un buon cattolico, non ha niente da rimproverarsi: [nemmeno naturalmente, quel suo sorriso] con tutti i denti fuori con cui dichiara in fondo di non prendere tanto sul serio la vita, dato che già la vita di per se stessa è bella, degna di esse¬re vissuta, e proprio in quel modo. No. Non si trattava di un sorriso di questo genere, tanto comune e diffuso tra gli uomini pubblici. 11 sorriso di Troya è invece un sorriso di complicità, quasi ammiccante: è decisamente un sorriso colpevole. Con esso Troya pare voler dire a chi io guarda che lui lo sa bene che chi io guarda io considera un uomo abbietto e ambizioso, capace di tutto, assolutamente privo di un punto debole, malgrado quella sua aria da cx collegiale povero e da leccapiedi da sagrestia: e vuoi dire al tempo stesso, a chi io consi¬dera tale, che lo può pure fare, e che, se per caso, su questo punto, ci fossero dei conti da regolare, la cosa era, oggettivamente, rimandata sine die (cioè al giorno in cui Troya non fosse stato più un potente). [...] Troya, cioè, sorridendo furbescamente, voleva far sapere ininter¬rottamente, senza soluzione di continuità, e a tutti che egli era furbo. Quindi che lo si lasciasse andare, per carità, che lui «sapeva certe cose», «aveva certi affari urgenti d’importanza nazionale» (che un giorno o l’altro si sarebbero saputi), che lui «era così abile e diciamo pure stri¬sciante» da cavarsela sempre nel migliore dei modi e nell’interesse di tutti. Naturalmente, essendo un sorriso di complicità, era anche un sorriso mendico: mendicava cioè compassione, sulla sua manifesta col¬pevolezza. [...] Ecco tutto ciò che si sapeva attualmente sulla sua per¬sona. Il linguaggio con cui egli si esprimeva era la sua attività, perciò io, per interpretarlo, dovrei essere un mercialista, oltre che un detecti¬ve. Mi sono arrangiato ed ecco cosa sono venuto a sapere”.

Al Gabinetto Viesseux, oltre alle fotocopie del libro di Steimetz, è possibile rinvenire altri materiali relativi a Cefis, come un suo discorso all’Accademia militare di Modena, pronunciato il 23 febbraio 1972, e i ciclostilati di altre conferenze; e persino l’originale di una conferenza intitolata Un caso interessante: la Montedison, tenuta l’11 marzo 1973 presso la Scuola di cultura cattolica di Vicenza, con annotazioni a margine dello stesso Cefis, da lui mai pronunciate.
Scrivendo Petrolio, Pasolini è davvero immerso nella personalità e nella psicologia di Cefis. Al punto che nel paragrafo dal titolo Storia del petrolio e retroscena (corrispondente agli appunti 20-30 di Petrolio, oggi alle pp. 117-118 del libro), l’autore si ripromette di inserire tutti i discorsi di Cefis, «i quali servono a dividere in due parti il romanzo in modo perfettamente simmetrico e esplicito».
Petrolio è il romanzo che nel 1975 si configura come una dettagliata e ossessiva fenomenologia di Cefis, uomo-simbolo del potere italiano. Cefis è in quel momento il potentissimo manovratore della finanza italiana con solidi legami nei servi¬zi segreti. 


C’è un legame tra la sfida di Pasolini e la sua morte?

Fonte:
http://www.igorpatruno.it/1/profondo_nero_4739365.html


@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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