"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
IL sogno di una cosa
è il primo romanzo di Pier Paolo Pasolini, scritto nel 1949-50 ma pubblicato solo nel 1962 e originariamente intitolato I giorni del Lodo De Gasperi.
Quel recupero a tanti anni di distanza poteva valere come un nostalgico
ritorno memoriale alle atmosfere perdute del Friuli arcaico, contadino e
sacrale e a vicende, storiche ed esistenziali, di innocenza tradita. E molti
interpretarono in questa chiave il romanzo, che era stato potenzialmente d’esordio
come poi di bilancio consuntivo.
Invero, in quei primi anni Sessanta,
urgevano anche altri motivi in Pasolini, che già aveva alle spalle i
romanzi romani sui “ragazzi di vita”, le riflessioni lirico-meditative delle
“Ceneri di Gransci” e della “Religione del mio tempo” e che, tra passione e
ideologia e ormai con un piede anche nel cinema, era avviato ad uno scontro
sempre più sofferto con la modernità. Nel ritorno al “Sogno”, con un titolo
ripreso da un Karl Marx del 1843 non ancora “marxista”, agiva sottotraccia
anche la coscienza della fine dell’illusione, proiettata e controfigurata nel
Friuli lontano, perduto e, anch’esso, ormai avviato allo stravolgimento. Come
in un romanzo di formazione, ma alla rovescia, si disegna così una curva
narrativa discendente, che procede dalle
immagini corali dell’inizio a tappe crescenti di solitudine, dalle feste vitali di paese allo smarrimento
individuale, dai suoni di campana al silenzio. E’ la stessa parabola che, a
emblema delle comunità in cui sono inseriti, tra San Vito, Lugugnana, San
Giovanni e Casarsa, segna il destino dei tre giovani amici protagonisti, Nini,
Eligio e Milio, picari friulani di ingenua vitalità. Tutti approdano ad amari
risvegli nel confronto con la realtà: dapprima, nell’emigrazione all’estero,
affrontata come un’avventura ma poi risolta in esperienza di cupa delusione,
sia in Svizzera, dove va Milio, sia soprattutto nella Jugoslavia titina, dove
si recano invece Nini ed Eligio, comunisti per slancio istintivo da “fazzoletto
rosso”; e poi, nelle lotte contadine del Friuli contro i possidenti per
l’applicazione del Lodo De Gasperi, in una fiammata di rivolta sociale e
politica ben presto soffocata.
Il riscatto si scopre dunque una chimera irraggiungibile e la “cosa”, ormai
staccata dal suo “sogno”, diventa alla fine dell’affresco narrativo solo il
pensiero inesprimibile di Eligio che muore, quando pare che voglia dirla,
quella “cosa”: “ma non parlava, non riusciva a dire che cosa fosse”.
Quel congedo funereo, sul fondale lirico della natura che intanto
continua nel suoi eterni cicli stagionali, sfuma di disincanto l’elegia del
Friuli e della sua “meglio gioventù”, in un romanzo bellissimo e ricco di
strati che nel reading del 29 giugno sarà suggestivo ascoltare dal vivo e alla
luce del presente. E infatti hanno risposto in tantissimi all’appello a
prestare la propria voce a turno per la lettura integrale del testo. Tra tutti,
casarsesi e non, giovani e in età, attori e non, noti e meno noti (l’elenco completo
sarà diffuso a breve), almeno uno va citato: quel Dino Peresson che si recò
davvero nella “rossa” Jugoslavia, salvo scapparne deluso, e che con il racconto
di quella sua esperienza, insieme a tanti altri spunti, dette il là
all’ispirazione geniale del giovane Pasolini romanziere.
Angela Felice
La trama del “Sogno”
Friuli 1948-1949. Nini, Eligio e Milio sono tre ragazzi di paese della
Destra Tagliamento, che vivono tra San Vito, San Giovanni, Lugugnana e Casarsa.
Si incontrano durante una sagra, a Pasquetta, e per due anni affronteranno
insieme il mondo, le lotte e i sogni dei vent’anni. Ai primi echi della
rivoluzione titina, Nini ed Eligio partono entusiasti verso la Jugoslavia, che
sta oltre confine. E’ il sogno del comunismo, il desiderio di vivere in un
mondo più giusto. Milio invece mette da parte gli ideali ed emigra in Svizzera,
dove, a differenza dei due amici, trova almeno un lavoro, pur tra maltrattamenti
e discriminazioni. Pochi mesi dopo, i tre amici sono di nuovo a casa,
profondamente delusi. Sono i giorni del Lodo De Gasperi, delle occupazioni
contadine delle case dei paròns,
delle fughe dalla polizia, dell’euforia di fronte ad una rivoluzione agraria
che per pochi giorni si crede possibile. Ma le promesse di cambiamento sono
destinate ad infrangersi, e così ai tre amici
non resta che sperare di trovare lavoro, magari tramite una buona parola
del prete, amaro calice da inghiottire, soprattutto per il Nini, convinto
comunista. Scoppia la stagione degli amori: dopo il breve innamoramento per
Cecilia, Nini sposa Pia, concludendo il suo percorso di formazione. Eligio
invece si ammala gravemente e infine muore. Il suo funerale conclude il romanzo
e sigilla l’elegia del mondo contadino che vi è contenuta. La “meglio gioventù”
è ormai finita.
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