"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
La colonna sonora
Benché ‘colonna sonora’ non sia affatto sinonimo di ‘musica di un film’, tuttavia in questa parte mi occuperò della definizione di musica in Pasolini e della sua funzione nei film fino al Vangelo.
Le riflessioni sulla musica vanno minuziosamente ricercate nel mare magnum delle dichiarazioni, delle interviste e degli articoli sul cinema, e rischiano di passare inosservate. Nonostante le sue lacune storico-tecniche – non incontrò alcun maestro analogo a Roberto Longhi che lo introducesse alla produzione musicale storica dell’occidente – l’atteggiamento critico di fronte al fatto musicale comparve già in giovane età in Pasolini. Da come disse in un’intervista, amava la musica quasi di più della pittura, anche se ‘se ne intendeva di meno’ dal punto di vista tecnico.
Risale al 1944, quando conobbe la violinista Pina Kalč e provò a ricominciare a prendere lezioni di violino, il suo studio sulle sonate e partite di Bach (letto in pubblico dal suo autore, ma mai pubblicato finché visse, ebbe solo nel 1999 la sua editio princeps). Già in questo primo scritto compaiono elementi quali: 1) la consapevolezza della impossibilità di interpretare pienamente ed adeguatamente una realizzazione musicale con il lessico ordinario; 2) la consapevolezza che la musica, arte non destinata a veicolare un contenuto semantico, ha un senso non in se stessa, ma ne viene dotata dal suo percepente (ma la sua futura attività registica sconfesserà in parte questo assunto); 3) il tentativo di descrivere la musica in termini di emozioni suscitate in lui e di paragoni o relazioni di questa o quella frase musicale con elementi extra-sonori della realtà.
Le biografie ci dicono che sempre in questi anni (l’Italia vive il periodo della Resistenza), Pasolini iniziò a nutrire interessi verso la poesia popolare e contadina e, inevitabilmente, anche verso la musica popolare, dato che la poesia di tradizione orale è assai spesso cantata.
Dopo il saggio giovanile, gli interventi di Pasolini sul tema della musica si fanno sporadici, trattando di questo argomento soltanto quando sono degli intervistatori a sollevare la questione. Il nuovo rapporto con la musica dipende dall’aver intrapreso la carriera registica. Ora si tratta di dare un senso alla messa insieme di quellamusica con quelle immagini.
Nel gennaio del 1962, in un incontro con gli allievi alla scuola sperimentale di cinema, ci si mise a scandagliare Accattone. Il regista spiegò che la scelta delle composizioni musicali è stata questione di gusto personale: «quando pensavo genericamente di fare un film, pensavo che non avrei potuto commentarlo altrimenti che con la musica di Bach; un po’ perché è l’autore che amo di più; e un po’ perché per me la musica di Bach è la musica in sé, la musica in assoluto».[12]
Ma vi fu anche l’influsso della tecnica di scrittura del romanzo: Bach corrisponde al registro elevato, il blues St. James Infirmary alle frasi in dialetto. Si noti il fatto che il regista mette in atto questo scarto fra registri stilistici tramite la musica adottata, più che tramite ciò che viene percepito dall’occhio.
Nel settembre dello stesso anno, Pasolini, rispondendo ad una domanda di un intervistatore suMamma Roma, ha l’occasione di dire che le composizioni che sceglie per i suoi film hanno la funzione di leitmotiv: come in Accattone c’è il «motivo d’amore», il motivo della «morte più o meno redenta» (il coro di Bach), quello del male misterioso eccetera (dunque le musiche del film sono «motivi conduttori per i personaggi e per i loro problemi»), così perMamma Roma la scelta della musica è avvenuta con lo stesso criterio, e Pasolini riconosce che «la musica nel film ha senz’altro un grande valore emotivo, ma è sempre fiancheggiatrice rispetto a tutto il resto».[13] Afferma poi, un po’ tra le righe, che sarebbe quasi meglio, per una visione del film senza sovra-interpretazioni distraenti, se lo spettatore non sapesse quale composizione sia la musica che procede assieme alle immagini, e chi lo sapesse, fosse capace di superare queste sue conoscenze, perché a causa di esse potrebbe male interpretare «la funzionalità della musica prescelta», ovvero che la musica è «un elemento puramente psicologico del film», a cui si affida una funzione didascalica.[14]
A chiarimento delle sue affermazioni, e per rispondere al perché del contrasto che molti commentatori notavano tra le immagini e le musiche dei suoi film, Pasolini dice al suo intervistatore, Maurizio Ponzi, che la musica è l’elemento clamoroso, la veste esteriore dello stile del film. Ovvero: la macchina da presa può anche farci vedere dei «personaggi miserabili» o «che sono al di fuori di una coscienza storica», ma la musica che «commenta queste immagini», appartenente alla tradizione colta, indica che vedere il mondo sottoproletario come «crudo e puzzolente»[15] (così il suo intervistatore) è una deformazione creata dal nostro occhio di spettatori borghesi omologati. Il messaggio è quindi: ‘non ti fidare di come ti appaiono, perché le loro azioni – come io, il regista, ti sto informando attraverso la musica – sono in realtà epiche e degne di un testo sacro’.
È per questo motivo che il regista può far sentire il coro finale della Passione secondo Matteo di Bach durante la lotta del protagonista con l’ex-cognato nel film Accattone, nonostante la vicenda si svolga in epoca attuale (nel 1961), e nel decorso narrativo del film non ci sia niente che giustifichi la presenza nella colonna sonora di musica sacra evangelico-luterana del XVIII secolo. Posta nel film, la musica esprime il livello profondo di quello che vediamo sullo schermo: la ‘superficie’ ci mostra uno scontro che immaginiamo essere accaduto chissà quante altre volte fra due borgatari romani, ma quello che sta in profondità rispetto a ciò che vede l’occhio è una lotta epica di quello che sarà un martire sociale. Anche Accattone, benché sia evidentemente un fuorilegge, ha una dignità, anzi, anch’egli è figura christi, ed è unicamente la musica scelta per fondersi a queste immagini che riesce a comunicarcelo. Immaginiamo quella stessa scena accompagnata da musica per sole percussioni…
La successiva evocazione della musica si ha nell’agosto 1966, quando, al ritorno da New York e durante una crisi che lo spinge quasi a non voler più scrivere poesia, compone un’autopresentazione destinata ad un immaginario critico americano, che doveva intitolarsi Who is me, dalla quale propongo i seguenti excerpta:
[La mia vita sia] Non questa mia espressione di poeta rinunciatario, […] / ma l’espressione staccata dalle cose, [è unadefinizione di musica] / i segni fatti musica, / la poesia cantata e oscura, / che non esprime nulla se non se stessa […] / Avrò sempre il rimpianto di quella poesia / che è azione essa stessa, nel suo distacco dalle cose, / nella sua musica che non esprime nulla / se non la propria arida e sublime passione per se stessa. / Ebbene, ti confiderò, prima di lasciarti, / che io vorrei essere scrittore di musica, / vivere con degli strumenti / dentro la torre di Viterbo che non riesco a comprare, / nel paesaggio più bello del mondo, […] e lì comporre musica / l’unica azione espressiva / forse alta, e indefinibile come le azioni della realtà.[16]
L’argomento principale di questi versi è la poesia ideale, che Pasolini tende a scrivere, pur consapevole che questa sta ad un livello inattingibile: la poesia perfetta è un’espressione letteraria la più vicina possibile alla musica, puro suono svincolato dall’obbligo di significare, che si sottrae alle definizioni, somigliante alla realtà stessa, ma tuttavia dotata di «un’arida passione». Riemergono in parte le considerazioni finali esposte nel saggio sulla musica per violino solo di Bach. È degno di nota che la sua definizione del comporre musica assomigli fortemente alla sua definizione di fare del cinema.
In questi anni, Pasolini vive la stagione dei film volutamente difficili, da egli stesso così definiti, la cui difficoltà è una strategia per limitare i danni della commercializzazione e massificazione del prodotto creativo.
Per questi film, spiega al suo intervistatore Jean Duflot, «mi controllo e diffido dell’illustrazione musicale. Molto spesso può dissimulare debolezze stilistiche o tecniche».[17]Abbiamo un ulteriore squarcio sul compito della musica nel film. L’espressione che vorrei far notare è«illustrazione musicale»: anche la musica illustra, la colonna visiva non è il totale dell’illustrazione, il quale si può raggiungere solo unendo musica e visione nel prodotto audiovisivo.
Le risposte agli intervistatori Duflot e Halliday concernono un’ulteriore giustificazione alla sua concezione per l’abbinamento di immagini e musica: non sempre i critici, alla prima, notavano contrasti violenti tra componente visiva e componente uditiva del film: Mamma Roma, spiega Pasolini, appartiene a questa seconda tendenza, nella quale è popolare tanto ciò che si vede quanto ciò che si sente, di conseguenza i commentatori hanno capito di più la presenza della musica di Vivaldi (che per Pasolini – ed evidentemente anche per i suoi critici, quando non la credevano opera del collaboratore C. Rustichelli! – riprende motivi popolari) che non quella di Bach in Accattone. Oltre a questa constatazione, il regista-scrittore non fa ulteriori osservazioni in merito alle musiche dei film realizzati prima diUccellacci ed uccellini.
Successiva a queste interviste èLa musica nel film, databile al 1972.[18] Questo corto scritto (composto per il retro di copertina di un disco di Morricone) è la più compiuta concettualizzazione sulla musica, e la musica dei film in particolare, che il Pasolini maturo ci abbia lasciato. Sperando che i lettori di questo intervento non manchino di leggerla, possiamo evidenziarne i punti più notevoli:
- La musica di un film può anche pre-esistere al film che la avrà come colonna sonora, ma è solo applicandola al film che diventerà musica del film, e non saranno più come prima né la musica né le immagin.
- Un prodotto musicale è in primo luogo una manifestazione comunicativa assoluta, dotata del potere di «cristallizzazione di un sentimento e sentimentalizzazione di un concetto», ovvero: la musica rende razionale/calcolabile l’emozionale/passionale e viceversa, spianando le barriere tra queste due polarità dell’interiorità umana. Nel film, la musica orienta l’interpretazione di quello che le immagini mostrano, rendendo per quanto possibile «fisicamente presente»,chiaro ed inequivoco allo spettatore il senso profondo – che sta originariamente nella mente del regista, e che aspetta il mezzo per essere esplicitato – di quanto sta percependo (Pasolini denomina questa caratteristica «funzione didascalica della musica»).
- Applicare della musica ad una sequenza visiva, è un’operazione che si può fare con due mentalità differenti, pur avvenendo tecnicamente allo stesso modo. La prima, quella dell’applicazione orizzontale, è «una linearità e una successività che si applica ad un’altra linearità e successività»ed in tal caso i valori aggiunti (espressione che si ritrova anche in M. Chion con lo stesso significato che in Pasolini) consistono in una modifica del ritmo complessivo, ed esaltano l’espressività del ritmo già dato dal montaggio alle immagini pure. Con questo risultato a due strati non otteniamo ancora un continuum audiovisivo. La seconda, quella dell’applicazione verticale, viene ad agire sul senso stesso; in questo caso «la fonte musicale […] non è individuabile sullo schermo – e nasce da un‘altrove’ fisico per sua natura ‘profondo’ –» che non può essere localizzato né dai personaggi né dallo spettatore, e «sfonda le immagini piatte, o illusoriamente profonde, dello schermo, aprendole sulle profondità confuse e senza confini della vita».
In questo caso i valori aggiunti sono non soltanto espressivi, ma addirittura «indefinibili, perché essi trascendono il cinema, e riconducono il cinema alla realtà» stessa, «dove la fonte dei suoni ha una profondità reale». Questo è il caso della vera realizzazione creativa audiovisiva.[19]
Per il regista-scrittore il cinema è «la lingua scritta della realtà»,[20] di cui tentò di scrivere i rudimenti di una grammatica e di una semiologia.
Una lingua, anche quella del cinema, è composta di vocaboli, da Pasolini chiamati imsegni(il frutto della compenetrazione immagine+segno) i cui archetipi mentali sono le immagini del sogno e della memoria. Per Pasolini, dunque, l’esistenza di vocaboli audiovisivi è evidente e dimostrata: la lingua parlata sta alla lingua scritta come la realtà agìta sta al cinema. Anzi, il sistema di segni del cinema e quello della realtà sono coincidenti.
Gli imsegni sono sempre concreti e, poiché è con la realtà concreta di quello che sta davanti alla macchina da presa che il regista scrive, ne consegue che è necessariamente impossibilitato a scrivere imsegni astratti: come potrà inserire vocaboli quali felicità o tristezza (per limitarsi ai più semplici)? L’unica soluzione è affidare questo compito alla colonna sonora. L’inserimento di musica è dunque giustificato da momenti filmici che il regista vuole rendere patetici, che non potremmo identificare come tali senza di essa.
Ma se la musica ha un così basso livello semantico, com’è possibile che possa cambiare il significato di una sequenza di pellicola, quando non dargliene unotout court? Il prodotto audiovisivo non starà forse a dimostrarci che anche la musica ha un codice con cui comunica concetti? Pasolini forse non si è mai posto quest’ultima domanda, pur avendo risposto (con le sue opere) in entrambi i sensi: con i testi saggistici di no, e con i film disì, e non sarà forse un caso se in questi ricorse alla musica barocca, dichiaratamente composta secondo figure retorico-espressive.
Per il Vangelo, come per gli altri film, la colonna sonora è stata curata personalmente dal regista. Faccio notare che mentre Pasolini si affidò a dei collaboratori per aspetti quali le luci, i costumi, la scenografia ecc., per l’aspetto della colonna sonora volle operare in prima persona: segno del fatto che la musica non era forse così esteriore come dichiarò (ma forse solo per trarsi d’impaccio davanti ad intervistatori-inquisitori). Certo, c’è la collaborazione con il musicista argentino Luis E. Bacalov, ma questa si riduce complessivamente a non troppi minuti di musica, e mi dà l’impressione di essere qualcosa di giunto nel film piuttosto tardi. Non sono riuscito a trovare niente di degno di nota che tratti della collaborazione tra il regista e questo compositore. Ci sarà pure una ragione: è noto che Pasolini non trovò il suo Nino Rota, il suo personale‘tecnico musicale’. Come prendeva gli attori dalla realtà, così anche per le composizioni per la colonna sonora manteneva un atteggiamento analogo.
La biografia di Enzo Siciliano ci informa che nei mesi in cui si dedicò alla sceneggiatura Pasolini avesse ricevuto consigli per la musica da Elsa Morante, che gli presentò delle composizioni che avrebbero potuto fornire una buona colonna sonora al suo Vangelo, e mise a disposizione del poeta la sua raccolta discografica. Prima di esplorare la discoteca di casa Morante, Pasolini pensò il suoVangelo con musica molto meno diversificata rispetto al risultato finale. Ne è testimonianza la prima versione della sceneggiatura pubblicata da Siti e Zabagli. Anche nel caso del film su Cristo dovevano esserci una serie di motivi-guida definiti«musica profetica di Bach (o il motivo profetico di Bach)», «musica altissima di Bach, canto di angeli (musica altissima di Bach)», «musica gioiosa di Mozart», «motivo della morte di Bach», «adagio di Telemann», «suono di tromba (motivo di Bach)»,«Boato che si dilegua e si perde in una musica colma di sacra allegrezza (Mozart) o musica religiosamente allegra di Mozart». A quali composizioni si riferì esattamente Pasolini? Non possiamo più saperlo con precisione. Nel film come lo vediamo oggi, non abbiamo più, ad esempio, la«musica profetica di Bach» ripetuta in tutti gli stessi punti esatti in cui l’indicazione del suo uso compariva nella prima versione della sceneggiatura, perché siamo in presenza di musiche diverse. Senza contare il fatto che il film come si presenta allo stato attuale è più corto della versione della sceneggiatura riportata dai curatori citati, ed è questa la ragione per cui sparisce il «suono di tromba (motivo di Bach)» che doveva rappresentare le trombe del giudizio finale. Non resta traccia nemmeno dell’«adagio di Telemann» che doveva essere la musica della danza di Salomè, e che fu sostituita da una composizione di Luis Enrique Bacalov. Forse si può ancora identificare un motivo teofanico: è lamaurerische Trauermusik «su cui» spiegò il regista in un’intervista del 1964 «ho veramente pensato l’apparizione di Cristo al Giordano».[21]
La presenza della musica dalla Passione secondo Matteo di Bach si presta ad alcune critiche: rischia di farci ricordare Accattone, dà un po’ il senso che abbia ‘piovuto sul bagnato’ (il Vangelo di Matteo assieme alla la Matthäus passion…), evidentemente il regista non trovò nient’altro per comunicare il senso di momento sublime e, se si nota bene, fu usata da Pasolini nelle sequenze anteriori alla conversione al pastiche.
Oltre ai suoni propriamente musicali, è degno di nota che Pasolini avesse posto fin nella prima sceneggiatura anche rumori naturali e ambientali, alla pari con i suoni musicali e quelli del parlato: compaiono ad esempio indicazioni come «canto dell’usignolo», «rumori della città» o anche una espressione musicale umana come «canto del fellah» (ma sta fra i rumori anch’esso!). Anche il canto dell’usignolo ha un valore espressivo.
Importante anche la presenza del silenzio: Pasolini rispetta anche in questo caso il dettato evangelico, (anche se ciò gli dovesse costare qualche acrobazia visiva) praticamente non ci sono aggiunte al testo di Matteo: Maria non ha neanche una battuta da dire. Nelle scene della crocifissione si leggono sulle labbra dell’attrice le parole «ah figlio mio», ma si sente la musica mozartiana. Altro suono degno di nota è la voce off, che in questo film è nientemeno che la voce divina, ma anche la voce del profeta Geremia, che si ode dopo la strage degli innocenti.
Il tempo occupato da suoni musicali nel decorso del film è di 81 minuti e 47 secondi su di un film di 131 minuti, ovvero il 62% del totale del tempo di proiezione. Non ci si lasci spaventare dal loro numero e dalla loro diversità di carattere, origine e momento storico di composizione: si tratta di un simbolo, quello dell’ecumenismo giovanneo (oltre alla solita risorsa del pastiche pasoliniano).
Uno spoglio completo delle composizioni scelte da Pasolini per il suo film dà il seguente risultato (si veda la tabella 1).
[12] PASOLINI,Per il cinema, cit., vol. 2, p. 2813.
[13] Ibid., pp. 2825-2826.
[14] Ibid., p. 2863.
[15] Ibid., pp. 2799-2835 e 2844-2879.
[16] PIER PAOLO PASOLINI, Il poeta delle ceneri, in Tutte le poesie, 2 voll., Milano, Mondadori, 2003, vol. 2 pp. 1287-1288.
[17] PASOLINI,Saggi sulla politica, cit., p. 1511.
[18] PASOLINI,Per il cinema, cit., vol. 2, p. 2795.
[19] Ibid., pp. 2795-2796.
[20] PIER PAOLO PASOLINI, Saggi sulla letteratura e sull’arte, a cura di Walter Siti e Silvia de Laude, Milano, Mondadori, 2004, vol. 1, p. 1503.
[21] PASOLINI,Saggi sulla politica, cit., p. 783.
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