"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Teorema: la borghesia come “araba fenice”
Teorema è un film di Pier Paolo Pasolini girato nel 1968, e divenuto nell’anno successivo anche un capolavoro letterario del secolo trascorso. Oltre un commento propriamente cinematografico e dalle prospettive recensorie è interessante la storia, tutta novecentesca, di cui l’autore parla. Come una profezia la pellicola viene per annunciarci, in medias res, le conseguenze a cui il 68′, tra rivendicazione studentesche e movimenti operai, ha poi dato sfogo negli anni a venire non solo in ambito politico ma direttamente sociale. Perché il 68′ è per Pasolini una rivoluzione culturale, la modificazione totale di una civiltà e, quindi, di una mentalità: l’abbandono del vecchio per il nuovo, accettato in toto, a priori, ciecamente.
Il poeta, per portare avanti la sua analisi, ci mostra una famiglia della borghesia urbana, industriale e possidente, sull’orlo del tracollo esistenziale. Perché la borghesia, per sua stessa natura ontologica, per la sua (non) identità, sradicata e “sviluppista”, è il motore primo del nichilismo nietzscheano.
E’ così che, dai fragili valori spirituali, ma ormai più votati all’apparenza, alla materia, all’ostentazione, allo snobismo e all’individualismo che non vede oltre il proprio nucleo famigliare, i membri accolgono in casa un ospite inatteso, un ragazzo ventenne e coetaneo di Pietro, figlio del capofamiglia Paolo e della moglie Lucia. Affascinante e misterioso l’Ospite incarna essenzialmente l’”Altro”, una metafora totalmente anti-borghese, dalle caratteristiche psicologiche rinnovate. Sprovvisto di punti di rifermento, di senso dell’autorità e senza pregiudizi, il ragazzo si presenta come uno straniato ricercatore del senso della vita attraverso tutte le sue possibilità. Tutto ciò lo porta ad avere rapporti sessuali con la figlia Odetta, con lo stesso fratello, con la madre Lucia, e persino con Paolo e la domestica Emilia.
E’ così che, dai fragili valori spirituali, ma ormai più votati all’apparenza, alla materia, all’ostentazione, allo snobismo e all’individualismo che non vede oltre il proprio nucleo famigliare, i membri accolgono in casa un ospite inatteso, un ragazzo ventenne e coetaneo di Pietro, figlio del capofamiglia Paolo e della moglie Lucia. Affascinante e misterioso l’Ospite incarna essenzialmente l’”Altro”, una metafora totalmente anti-borghese, dalle caratteristiche psicologiche rinnovate. Sprovvisto di punti di rifermento, di senso dell’autorità e senza pregiudizi, il ragazzo si presenta come uno straniato ricercatore del senso della vita attraverso tutte le sue possibilità. Tutto ciò lo porta ad avere rapporti sessuali con la figlia Odetta, con lo stesso fratello, con la madre Lucia, e persino con Paolo e la domestica Emilia.
Finalmente è costretto dopo un breve soggiorno a ripartire, ma la sua permanenza è destinata a cambiare le sorti di ogni membro della famiglia. Il suo essere “Altro”, puro estraniamento da quel mondo, è causa di una frattura che mette a disagio i valori e l’essenza stessa di una borghesia che si rivela vuota, inconsistente, priva di una definizione e, appunto, di un’identità.
Una volta partito, lascia un vuoto incolmabile, tanto che la figlia viene rinchiusa in un manicomio, il figlio si dedica alla pittura alienandosi totalmente dalla realtà per limitarsi in sé stesso. La moglie si cristallizza in uno spazio parallelo fatto di rapporti sessuali temporanei con giovani ragazzi. Mentre Paolo, il capofamiglia, nell’ultima scena percorre nudo la stazione ferroviaria, nel mezzo della folla, e poi si ritrova ad urlare nel deserto, come accecato da un’“illuminazione”: il suo essere nulla. Insomma l’arrivo di questo Ospite inquietante incarna un mondo privo di punti di riferimento, che appunto possiamo accostare non tanto alla realtà di quei moti studenteschi del 68′, quanto più alle idealizzate rivendicazione che rimetterono in causa tutto e per primo loro stesse, la loro natura borghese. E’ così che si scoprì, poi, un vuoto da colmare con un nuovo essere borghesi, con una nuova borghesia universalizzata e globalista: consumista, standardizzata, libertina, spassionata, priva di valori, individualista, che continua a non rinunciare alla propria – nullificata – identità, ma si chiude sempre più in sé stessa, si perde, appunto, nel nichilismo.
Assistiamo qui ad un punto di svolta della società urbana e borghese, e dell’essenza stessa del concetto di borghesia, che deve mutare i suoi principi per far fronte ad una società del dopoguerra che cambia con l’esodo di massa verso la città, che si stacca dal concetto di Dio e da quello di popolo per completarsi in quello della materia e in quello dell’Io. Rimarrà pur sempre borghese, anche dopo questo mutamento, ma avrà acquisito definitamente la forma che abbiamo oggi davanti ai nostro occhi: la grande società dei consumi.
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