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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

venerdì 28 luglio 2023

Trascrizione di Pasolini e…”La forma della città” - Io e…, un programma di Anna Zanoli, regia di Paolo Brunatto, - Rai, 7 febbraio 1974

"Le pagine corsare " 

dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


Trascrizione di Pasolini e…”La forma della città” 
Io e…, un programma di Anna Zanoli

regia di Paolo Brunatto,
Rai, 7 febbraio 1974



Scheda del programma:


Titolo della serie: Io e…

Titolo della puntata: Pasolini e…”la forma della città”

Un programma di Anna Zanoli

Regia di Paolo Brunatto

Fotografia: Mario Gianni

Montaggio: Franca Di Lorenzo Visco

Organizzazione: Roberto Pascucci

Ricerche e documentazione: Nicoletta Paterno

Tecnico audio: Tullio Petricca

Commento musicale a cura di Giuliano Sorgini


(Pasolini e la forma della città,

andato in onda sulla Rai 

il 07/02/1974)


Qui di seguito è trascritto il testo integrale del film La forma della città dedicato da Pasolini alla città di Orte


PASOLINI (con una telecamera e rivolto a Ninetto)“: Io ho scelto la città, la città di Orte. Cioè, praticamente ho scelto, come tema, la forma di una città, il profilo di una città.

Ecco, quello che vorrei dire è questo: io ho fatto l’inquadratura che prima faceva vedere soltanto la città di Orte nella sua perfezione stilistica, cioè come forma perfetta assoluta ed è più o meno un’inquadratura così.

Basta che io muova questo affare qui nella macchina da presa ed ecco che la forma della città, il profilo della città, la massa architettonica della città è incrinata, è rovinata, è deturpata da qualcosa di estraneo.

C’è quella casa che si vede là a sinistra: la vedi? Ecco, questo qui è un problema di cui io parlo con te, perché non son capace di parlare in astratto, rivolto al vuoto o rivolto al pubblico televisivo che non so dov’è, dove si trova.

Parlo con te che mi hai seguito in tutto il mio lavoro e mi hai visto mille volte alle prese con questo problema.

Tante volte siamo andati a girare fuori dall’Italia: in Marocco, in Persia, in Eritrea e tante volte avevo il problema di girare una scena in cui si vedesse una città nella sua completezza, nella sua interezza. E quante volte mi hai visto soffrire, smaniare, bestemmiare perché questo disegno, questa purezza assoluta della forma della città era rovinata da qualcosa di moderno, da qualche corpo estraneo che non c’entrava con questa forma della città, con questo profilo della città che io sceglievo.

Siamo adesso di fronte a Orte da un altro punto di vista. C’è la solita bruma azzurro-bruna della grande pittura nordica rinascimentale. Se la inquadro vedo un totale ancora più perfetto di quello di prima, cioè la forma della città è proprio nella sua perfezione massima, ma se panoramico da sinistra a destra quello che ti dicevo prima risulta ancora in modo molto più grave. Infatti la città, da questo punto di vista all’estrema destra finisce con uno stupendo acquedotto su quel terreno bruno. E immediatamente attaccate all’acquedotto ci sono altre case moderne dall’aspetto non dico orribile, ma estremamente mediocre, povero, senza fantasia, senza invenzione, insomma case popolari che sono assolutamente necessarie, non dico di no, ma che lì sono un altro elemento disturbatore della perfezione della forma della città di Orte come la casa che abbiamo visto prima.

Ora, che cos’è che mi dà tanto fastidio, anzi direi quasi una specie di dolore, di offesa, di rabbia? La presenza di quelle povere case popolari che comunque devono esserci (il problema era semmai di costruirle da un’altra parte, insomma di prevedere di poterle costruire da un’altra parte).

Che cos’è che mi offende in loro? È il fatto che appartengono a un altro mondo, hanno caratteri stilistici completamente diversi da quelli dell’antica città di Orte e la mescolanza delle due cose infastidisce: è un’incrinatura, è un turbamento della forma e dello stile.

Questo forse io lo soffro in modo particolare, non soltanto perché ho un senso estetico forse esagerato, eccessivo, da anima bella, ma anche perché ho tanto lavorato in film storici in cui questo problema era proprio un problema pratico, perché questo non è un difetto solo italiano, ma è un difetto di tutto il mondo ormai, soprattutto del terzo mondo.

Non so, per esempio in Persia, dove c’è un regime completamente diverso dal nostro, dove c’è una specie di imperatore, lo Scià, lì succedono le stesse cose, forse ancora peggiori.

Per esempio mi viene in mente una stupenda città che si chiama Yazd, sul Golfo Persico vicino al deserto, una città meravigliosa perché tutte le città avevano un sistema di ventilazione antico, di due o tremila anni fa, che era rimasto intatto: delle colonnine che raccoglievano il vento e lo facevano entrare dentro la città. Quindi il panorama della città era dominato da questa specie di ventilatori che sembravano un po’ dei tempietti greci o arcaici egiziani, insomma era una cosa stupenda. Beh, questa città quando sono arrivato lì io era distrutta, come se ci fosse stato un bombardamento a tappeto. Lo Scià la faceva distruggere per dimostrare ai suoi sudditi, al suo popolo che la Persia era un paese moderno che avanzava, eccetera eccetera.

Ma questo succede anche in paesi esattamente il contrario della Persia, cioè in paesi comunisti. Lo stato dell’Aden del Sud, lo stato di Aden dove c’è al governo addirittura un gruppo di comunisti estremisti.

Bene, lì c’era un’antica città sul mare che si chiama Al-Mukalla. Questa città di Al-Mukalla aveva verso la terraferma una stupenda porta gigantesca di granito, bianca come tutto il resto della città.

Ora, siccome anche ad Al-Mukalla un pochino il traffico era aumentato dopo la liberazione dello stato di Aden dagli emiri eccetera eccetera, c’era qualche furgone in più e la porta era stretta. Che cosa hanno fatto? L’hanno fatta saltare ed erano fieri di aver fatto saltare questa stupenda porta. Dicevano addirittura con grande fierezza: “la rivoluzione ha liberato Al-Mukalla da questo ingombro del passato”.

Senza parlare di Sana’a, ti ricordi? Quella stupenda città dello Yemen del Nord posata sul deserto come una specie di rustica Venezia che stanno già distruggendo, hanno già praticamente finito di distruggere tutte le mura che la circondavano e quindi davano la sua forma, quell’assolutezza meravigliosa delle città antiche.

Oppure del Nepal, che effettivamente è ancora molto intatto, soprattutto la città di Bhadgaon è ancora quasi com’era tremila anni fa, però Katmandu è già praticamente distrutta in quanto forma. Rimangono i monumenti, ma non è dei monumenti che si tratta, quelli è facile salvarli: è l’intera forma della città che è difficile salvare.

Dunque, questo è un problema che si pone in tutti i paesi del mondo, ma naturalmente ciò che mi turba e ferisce di più è che questo avvenga in Italia.

Ora, a proposito della città di Orte, vorrei aggiungere una cosa: avendo io scelto come tema del mio argomento la forma della città vorrei precisare che la forma della città si manifesta, appare, si rivela se confrontata con un fondale naturale.

Per esempio, la forma della città di Orte appare in quanto tale perché sulla cima di questo colle bruno, divorato dall’autunno, con questa bruma azzurra davanti è contro il cielo grigio.

Ora, quelle case che ti ho citato prima, quelle case popolari che cosa vengono a turbare? Vengono a turbare soprattutto il rapporto tra la forma della città e la natura. Ora, il problema della forma della città e il problema della salvezza della natura che circonda la città sono un problema unico, ma sempre si pone il problema di rispettare il confine naturale tra la forma della città e la natura circostante.

Ora, il caso della città di Orte è un caso ancora bellissimo: eccolo, il panorama è ancora perfetto, a parte questo difetto, seppur doloroso, che ti ho detto.

Ma, mentre per Orte si può parlare soltanto di lieve danneggiamento, per quel che riguarda invece in generale la situazione dell’Italia, delle forme delle città nella nazione italiana, la situazione è invece decisamente irrimediabile e catastrofica.

Questa strada per cui camminiamo, con questo selciato sconnesso e antico, non è niente, non è quasi niente, è un’umile cosa, non si può nemmeno confrontare con certe opere d’arte d’autore, stupende, della tradizione italiana.

Eppure io penso che questa stradina, dal niente, così umile, sia da difendere con lo stesso accanimento, con la stessa buona volontà, con lo stesso rigore con cui si difende un’opera d’arte di un grande autore. Esattamente come di deve difendere il patrimonio della poesia popolare anonima come la poesia d’autore, la poesia di Petrarca, di Dante, eccetera eccetera.

E così, il punto dove porta questa strada, che è l’antica porta della città di Orte, anche questa non è quasi nulla, vedi? Sono mura semplici, dei bastioni, dal colore così grigio, che in realtà nessuno si batterebbe con rigore, con rabbia, per difendere questa cosa.

E io ho scelto invece di difendere questo: quando dico che ho scelto come oggetto di questa trasmissione la forma di una città, la struttura di una città, il profilo di una città, volevo proprio dire questo. Io voglio difendere qualcosa che non è sanzionato, che non è codificato, che nessuno difende, che è opera, diciamo così, del popolo, di un’intera storia, dell’intera storia del popolo di una città. Di un’infinità di uomini senza nome, che però hanno lavorato all’interno di un’epoca che poi ha prodotto i frutti più estremi, più assoluti nelle opere d’arte d’autore.

Ma è da questo che non è sentito perché chiunque, con chiunque tu parli, è immediatamente d’accordo con te nel dover difendere un’opera d’arte di un autore o un monumento, una chiesa, la facciata di una chiesa, un campanile, un ponte, un rudere il cui valore storico è ormai assodato, ma nessuno si rende conto che invece quello che va difeso è proprio questo anonimo, questo passato anonimo, questo passato senza nome, questo passato popolare.

* * *

Eccoci di fronte alla struttura, alla forma, al profilo di un’altra città, immersa in una specie di grigia luce lagunare, benché intorno ci sia una stupenda macchia mediterranea: si tratta di Sabaudia.

Quanto abbiamo riso noi intellettuali sull’architettura di regime, sulle città come Sabaudia.

Eppure adesso, scavando questa città, troviamo una situazione assolutamente inaspettata: la sua architettura non ha niente di irreale, di ridicolo.

Il passare degli anni ha fatto sì che questa architettura di carattere littorio assuma diciamo così un carattere tra metafisico e realistico. Metafisico in un senso veramente europeo della parola, che ricorda mettiamo certa pittura metafisica di De Chirico, realistico perché, anche vista da lontano, si sente che le città sono fatte, come si dice un po’ retoricamente, a misura d’uomo. Si sente che dentro ci sono delle famiglie costituite in modo regolare, delle persone umane, degli esseri viventi completi, interi, pieni nella loro umiltà.

Come ci spieghiamo un fatto simile, che ha del miracoloso? Una città ridicola, fascista, improvvisamente ci sembra così incantevole.

Bisogna esaminare un po’ la cosa, cioè: Sabaudia è stata creata dal regime, non c’è dubbio, però non ha niente di fascista, in realtà, se non alcuni caratteri esteriori.

Allora io penso questo: che il fascismo, il regime fascista, non è stato altro in conclusione che un gruppo di criminali al potere e questo gruppo di criminali al potere non ha potuto in realtà fare niente, non è riuscito a incidere, nemmeno a scalfire lontanamente la realtà dell’Italia.

Sicché Sabaudia, benché ordinata dal regime secondo certi criteri di carattere razionalistico estetizzante accademico non trova le sue radici nel regime che l’ha ordinata, ma trova le sue radici in quella realtà che il fascismo ha dominato tirannicamente, ma che non è riuscito a scalfire.

Cioè, è la realtà dell’Italia provinciale, rustica, paleoindustriale eccetera eccetera che ha prodotto Sabaudia e non il fascismo.

Ora invece succede il contrario: il regime è un regime democratico eccetera eccetera, però quella acculturazione, quella omologazione che il fascismo non è riuscito assolutamente a ottenere, il potere di oggi, cioè il potere della civiltà dei consumi riesce invece a ottenere perfettamente, distruggendo le varie realtà particolari, togliendo realtà ai vari modi di essere uomini che l’Italia ha prodotto in modo storicamente molto differenziato.

E allora questa acculturazione sta distruggendo in realtà l’Italia e allora io posso dire senz’altro che il vero fascismo è proprio questo potere della civiltà dei consumi che sta distruggendo l’Italia e questa cosa è avvenuta talmente rapidamente che in fondo non ce ne siamo resi conto.

È avvenuto tutto in questi ultimi cinque, sei, sette, dieci anni, è stato una specie di incubo in cui abbiamo visto l’Italia intorno a noi distruggersi, sparire e adesso risvegliandoci, forse, da questo incubo e guardandoci intorno ci accorgiamo che non c’è più niente da fare.”


Pier Paolo Pasolini


Il video lo trovi qui )
@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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