"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Quell’intervista con Pasolini era gravida di morte
Furio Colombo
La Stampa, 31 ottobre 2015
Furio Colombo ricorda lo storico colloquio avvenuto con Pasolini il pomeriggio precedente di poco la notte dell’omicidio: “Siamo stati a parlare ore, con lunghe pause, asciutta severità. E timore”. Fu un’intervista che assume un inquietante valore documentale, anche alla luce del titolo che fu scelto dallo stesso Pasolini: Siamo tutti in pericolo.
Non ero mai stato a casa di Pasolini, all’Eur. Ma lui era stato a casa nostra (Alice, Daria molto piccola e io) molte volte, una casa di affitto sulle dune di Sabaudia, da cui si vedeva «la casa di Moravia» (come dicevamo tutti del quadrato di cemento, tre camere e cucina) che era da poco la nuova casa di Dacia e Alberto, dopo che avevano lasciato (loro e anche noi) la casa di Fregene. Se non avevano voglia di cucinare, tutti e tre venivano da noi. E poteva accadere che arrivassero Enzo Siciliano, che era già lo «storico» di Pasolini e Flaminia, colta e attivissima. Ma a volte non c’era nessuno, nella casa cubo, e Pier Paolo veniva da solo. Due argomenti, mentre si cucinava nella stessa stanza: letteratura (ricordo un suo discorso affettuoso e limpido su un libro di Ottiero Ottieri, non noto, ma importante scrittore e comune amico) e vita italiana. Era già iniziata la grande discesa, a cui si arriverà passando dalla sua morte. Ma non era una conversazione di lamenti e sospiri. Eravamo nella Storia, punto e basta. Chi ha detto che la Storia debba essere divertente o «andare nella direzione giusta»? Quello di Pasolini era un discorrere di fatti, intuizioni, un allargare all’improvviso lo spazio su cose non ancora viste o capite dagli altri, ma ovvie, secondo lui. E mai raccontate come una scoperta, solo constatazioni. Ah, e c’era un terzo argomento, l’America, ma entrava negli altri due, la letteratura o la vita italiana che cambia. Gli interessava il parere di Alice, fresca di università americane ricche di docenti-scrittori, e coinvolta nei diritti civili e nella pace in Vietnam. Il discorrere di Pasolini con le donne (le donne che gli interessavano) era forse il solo veramente alla pari, in quegli anni. Del resto avevo conosciuto Pasolini, ritornando da un mio primo periodo in America, quando Silvana Ottieri (grande intellettuale rimasta deliberatamente in ombra accanto al marito) leggendo una mia recensione, aveva esclamato: «Ma come, non conosci Pasolini?» Pasolini è entrato nella mia vita già nelle dimensioni che, insieme a tanti nel mondo, gli conosco e gli riconosco adesso. Sapevo prima, e sapevo durante gli anni della nostra amicizia, la traccia profonda del suo lavoro, scrivere, filmare, parlare. S’intende che la scorta di Moravia e di Dacia Maraini, in questo percorso, ha contato moltissimo. Ma quando Arrigo Levi, direttore de «La Stampa» (del quale sono stato parte per vent’anni) mi ha chiesto di iniziare il nuovo «Tuttolibri» con una intervista a Pasolini (un’idea di Alberto Sinigaglia) mi è sembrato un compito facile e naturale. Il testo dimostra di no. Siamo stati ore insieme, con lunghe pause e una asciutta severità da parte sua, che sembrava isolarlo, come se fossimo parte di una sequenza pubblica, e qualcuno filmasse. Tutto girava intorno alla frase «Noi non sappiamo chi, in questo momento, sta pensando di ucciderci». E la lunga conversazione, che non era con me ma con tanti che lo tenevano d’occhio, con intensa ammirazione o con odio, è rimasta aperta.
QUI per l'intervista:
Pasolini, “Perché siamo tutti in pericolo”». L'ultima intervista a Furio Colombo
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