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domenica 13 dicembre 2020

Pasolini, I cappelli goliardici - Tempo, 17 maggio 1969

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



 I cappelli goliardici 

Tempo, numero 20
17 maggio 1969
Rubrica "Il caos"
pagina 13

(trascrizione curata da Bruno Esposito) 




Tempo, Numero 20 - 17 maggio 1969

Ieri sera, rincasando, nei pressi di via Veneto, alcuni poliziotti mi hanno fatto dirottare, costringendomi a un lungo e noioso giro. Ho chiesto a un guardia-macchine che cosa succedeva e lui, col suo povero accento burino, felice di sapere, mi ha risposto: "É la festa della matricola". Infatti poco più in là, eroicamente intraprendenti con due povere e confuse passeggiatrici (all'aspetto straniere) ecco un gruppetto di goliardi, non solo coi loro cappelli goliardici in testa, ma per di più coperti di non so che pagliaccesche mantelline di seta. Dunque, siamo ancora ai cappelli goliardici. E i poliziotti fanno loro largo, come quando passa il Papa. Proprio un anno fa ho scritto una poesia sugli studenti, che la massa degli studenti, innocentemente, ha "ricevuto" come si riceve un prodotto di massa: cioè alienandolo dalla sua natura, attraverso la più elementare semplificazione. Infatti quei miei versi, che avevo scritto per una rivista "per pochi", "Nuovi Argomenti", erano stati proditoriamente pubblicati da un rotocalco, "L'Espresso" (11) (io avevo dato il mio consenso solo per qualche estratto): il titolo dato dal rotocalco non era il mio, ma era uno slogan inventato dal rotocalco stesso, slogan ("Vi odio, cari studenti") che si è impresso nella testa vuota della massa consumatrice come se fosse cosa mia. Potrei analizzare a uno a uno quei versi, nella loro oggettiva trasformazione da ciò che erano (per "Nuovi Argomenti") a ciò che sono divenuti attraverso un medium di massa ("L'Espresso"). Mi limiterò a una nota per quel che riguarda il passo sui poliziotti. Nella mia poesia dicevo, in due versi, di simpatizzare per i poliziotti, figli di poveri, piuttosto che per i signorini della facoltà di architettura di Roma (negli scontri ormai così lontani di Valle Giulia): nessuno dei consumatori si è accorto che questa non era che una boutade, una piccola furberia oratoria paradossale, per richiamare l'attenzione del lettore, e dirigerla su ciò che veniva dopo, in una dozzina di versi, dove i poliziotti erano visti come oggetti di un odio razziale a rovescia, in quanto il potere oltre che additare all'odio razziale i poveri - gli spossessati del mondo - ha la possibilità anche di fare di questi poveri degli strumenti, creando verso di loro un'altra specie di odio razziale: le caserme dei poliziotti vi erano dunque viste come "ghetti" particolari, in cui la "qualità di vita" è ingiusta, più gravemente ingiusta ancora che nelle università. Nessuno dei consumatori di quella mia poesia si è soffermato su questo: e tutti si sono soffermati al primo paradosso introduttivo appartenente ai formulari della più ovvia ars retorica. Non sto a raccontare al lettore di quali ricatti sono stato fatto segno in seguito alla cattiva lettura (lettura di cultura di massa) di questa mia poesia: perfino lettori che se l'avessero letta su "Nuovi Argomenti" l'avrebbero capita, leggendola 
Tempo, Numero 20 - 17 maggio 1969

sull'"Espresso" sono stati vittime del processo fatale che ho descritto. Ricorderò Occhetto (su "Rinascita") che oltre a limitare la sua critica a quei primi due versi, e non alla dozzina che seguiva (se ne sta occupando forse adesso, che il problema della polizia è esploso, e "l'Unità" pubblica lettere di poliziotti che confermano quello che io dicevo!), aveva trasformato la mia espressione "simpatizzavo" con l'espressione, da lui inventata, "tenevo per". E ricorderò l'infame intervento di un certo Rino Meneghello (12) su "Mondo Nuovo", che mi dava del vigliacco e citava la morte di mio fratello partigiano, che secondo la sua versione di moralista mal informato, era stato ucciso dai fascisti, mentre era stato ucciso dai "fascisti rossi" come lui. Ora, questi cappelli goliardici, una massa enorme che, come poi mi ha detto Elsa Morante, che li ha visti dalla sua terrazza, la mattina avevano riempito come un'orribile marea piazza del Popolo (sempre protetti ufficialmente dai poliziotti bonaccioni). Mi sarebbe facile dire, verso la fine dell'anno accademico 1969, in cui non è più successo niente: "Ecco, fatte le giuste eccezioni, le poche migliaia di studenti di "Trento e Torino, di Pisa e Firenze", di cui parlavo nella mia poesia, la nuova generazione di studenti e la nuova generazione di borghesi con cui dovrò vedermela, e contro cui dovrò continuare a lottare, come coi loro padri". Lo dico, ma non per "cantare vittoria"; lo dico con una atroce amarezza in cuore, con uno scoraggiamento che mi fa venir davvero voglia di non lottare più, di ritirarmi dalla mischia, di non aver più niente da fare con questa briga, di starmene solo. 


Pier Paolo Pasolini
Tempo, numero 20
17 maggio 1969
Rubrica "Il caos"
pagina 13

Tempo, Numero 20 - 17 maggio 1969 
 pagina  13  




Curatore, Bruno Esposito

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1 commento:

  1. Leggo sull'ultimo numero de LA LETTURA (domenica 14 aprile) un articolo del regista Davide Ferrario su questa storia della poesia "a favore dei poliziotti e contro gli studenti" (Il cattivo uso di Pasolini, 12), una boutade per dire "altro", "altro" che resterà celato per sempre grazie all'altro Potere, quello dei media, che stava travolgendo anche Pasolini viste le sue concessioni all' Espresso...

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