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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

venerdì 18 dicembre 2020

Piero Sanavio intervista Pier Paolo Pasolini, seconda parte - Mi parli della sua religiosità.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro





Intervista a Pasolini (mai ripubblicata altrove) tratta da:
Il Dramma
 N. 12 - settembre 1969 
« Porcile » o no tiriamo le somme su Pasolini
di

Seconda parte dell'intervista

Nel settembre del 1969, la rivista specializzata "Il Dramma", pubblica questa intervista di Piero Sanavio a Pier Paolo Pasolini. L'intervista avvenuta a casa di Pasolini, audio-registrata, viene poi trascritta e fatta pubblicare da  Sanavio. La trascrizione trova Pasolini insoddisfatto del lavoro svolto dal suo intervistatore e scrive al direttore della rivista... 
Questo post si articola in quattro parti: la prima è fatta dal preambolo-considerazioni dell'intervistatore, che precede  l'intervista;  La seconda e la terza, rispettivamente  la prima e la seconda parte dell'intervista;  la quarta, la lettera di Pasolini al  direttore della rivista "Il Dramma" e la risposta di Sanavio.



Io: Mi può parlare dei suoi prossimi film?
Pasolini: Prima faro una Medea. Poi un film su San Paolo, dove New York prenderà il posto di Roma e Parigi di Gerusalemme. Presenterò un San Paolo... Io sono abbastanza obiettivo, cioè non aggiungo nulla, tutto quello che lui dice lo prendo dalle sue lettere e dagli Atti degli Apostoli, non vi aggiungo niente, non gli metto in bocca nessuna parola mia. Come ho fatto con il Vangelo e ho preso il testo di San Matteo e a Cristo ho fatto dire esattamente ciò che dice in San Matteo e non ho aggiunto. Cosi faro con San Paolo come figura. Lui era lacerato ma non aveva coscienza di questa lacerazione. Lui era diviso profondamente, secondo me, è insanabilmente, ma non aveva coscienza di esserlo. E' questo che voglio mostrare. In epoca moderna. Cosi... Parigi e New York.

Io: perchè ha questi interessi verso la religione?

Pasolini: Secondo me la religione è un rapporto di tipo religioso con la realtà, cioè considerare la realtà non naturale.

Io: Un rapporto magico?

Pasolini: Non magico, sacrale direi. E' quindi naturalmente assorbe anche quanto di magico v’è stato nella nostra preistoria. Insomma, gli strati profondi della nostra psicologia.

Io : La religione cattolica cos’è, per lei?

Pasolini: Quando lei aggiunge alla parola religione un aggettivo lei istituzionalizza, la religione diventa chiesa, diventa istituzione, diventa codificazione, e come tale è in contraddizione con se stessa. Qualche volta questa contraddizione può farsi dialettica e può essere feconda e fertile. Per esempio, per dirne una, quasi tutti i santi sono nati da questa contraddizione. Per esempio San Francesco e diventato santo proprio per questa contraddizione tra chiesa e santità. In altri casi, invece, nei periodi di decadenza, il fatto d’essere una istituzione diventa puramente negativo. Per esempio la chiesa franchista, oppure la chiesa della Controriforma.

Io: Ma perchè questo interesse nella cultura cattolica?

Pasolini: perchè io sono nato in una nazione cattolica e quindi il mondo religioso, il mondo sociale che mi si è presentato davanti, storicamente, è un mondo cattolico.

Io: Che lei accetta senza discutere, passivamente. O di cui si serve come... convenzione culturale?

Pasolini: Non dirci convenzione culturale, è un puro fatto di realtà. Io sono nato qui, il mio mondo è questo, e uno scrittore non può parlare che del suo mondo.

Io : D’accordo, ma dipende da come ne parla. Comunque ciò che lei dice mi conferma, allora, che se non si tratta d’una accettazione passiva di una realtà specifica, questo suo interesse nel cattolicesimo risponde all’uso meccanico d’una convenzione culturale. Questa o qualsiasi altra. Senza nessun apporto ideologico personale.

Pasolini: Lei dice convenzione dove io dico istituzione. Io sono circondato dalle istituzioni. C’è una istituzione statale, c’è la falsa istituzione della democrazia italiana parlamentare, c’è l’istituzione dei partiti... Tutto è istituzionalizzato.

Io: Certo, e neppure per il meglio. Lei pero non ha risposto alla domanda.

Pasolini: Nel caso della Chiesa è lo stesso. La Chiesa è una istituzione e dentro questa istituzione c’è naturalmente una serie di cristallizzazioni che sono convenzionali. La liturgia è tutta una convenzione. 

Io: Continua a non rispondere. Con ciò che dice, intende sostenere, come sosteneva Croce, che nell'ambito della cultura italiana tutto è ≪ cristiano ≫ data la presenza della Chiesa?

Pasolini: Si. Io sono storicamente italiano. Come tale sono vissuto in un ambiente culturalmente provinciale, con tendenze fasciste e con la Chiesa cattolica, e quindi la mia esperienza è questa, ecco. 

Io
: Mi parli della sua religiosità.

Pasolini: La mia religiosità, come appare in Accattone ed Edipo, è un rapporto sacrale con gli oggetti e con gli esseri viventi della realtà. cioè, non riesco a vedere nella natura naturalezza. E quindi tutto mi appare sotto una forma non dico miracolosa nel senso convenzionale ma quasi, insomma, sacrale.
Io : Per rapporto ad Accattone lei ha subito una evoluzione ideologica? Uso la parola in un senso molto lato, che possa includere anche questa sua ≪ religiosità ≫.
Pasolini: Per farmi capire devo ricorrere a Gramsci. Gramsci parlava in letteratura come d'un ideale di opere che lui chiamava nazional-popolari, idealmente dedicate a un popolo ideale, in un ambito puramente classista, come se il popolo si staccasse culturalmente dalla borghesia, avesse una sua cultura, una sua mentalità, eccetera. Ora io, le mie opere, da Accattone a Mamma Roma al Vangelo, le ho composte con questa idea gramsciana in testa, volendo fare delle grandi opere nazionali e popolari, non dico semplificate e volgarizzate, ma in un certo senso mitiche, epiche : e che avessero questo andamento mitico ed epico e fossero capaci di entrare in consonanza, diciamo in sincronia, con grandi pubblici popolari. Naturalmente, i tempi sono cambiati e questo famoso popolo che Gramsci aveva in mente e che io, anch’io, avevo conosciuto... insomma, è andato lentamente cambiando e ora non si può più fare in Italia, neppure in Italia, dal momento che anche l’Italia e diventata una nazione neocapitalistica, questa netta distinzione tra popolo e borghesia. Ma anche l'Italia ha una cultura di massa che non è più ne borghese ne popolare, è qualcosa di diverso, è una cosa completamente nuova, che Gramsci probabilmente non poteva nemmeno immaginare. E allora, quando io faccio delle opere semplificate, epiche, cosi, o perlomeno semplici, allora non ho più l’illusione che queste opere vengano lette o capite da un popolo nel senso gramsciano della parola, ma purtroppo, oggettivamente, so che verranno mistificate, alterate, alienate da una massa e dai mezzi di comunicazione di massa. E allora c’è stata in me una ribellione, in principio inconscia, di cui mi sto rendendo conto lentamente adesso, per cui anzichè fare delle opere che mi illudessero di fare insomma un’arte in qualche modo popolare, nel senso gramsciano della parola, si capisce, faccio delle opere ambigue, quasi per elite, estremamente difficili e rigorose, in maniera che siano il meno possibile consumabili dalla massa. E resistano il più possibile alle semplificazioni della massa.

Io
: E' un discorso molto complesso, il suo, e credo non molto preciso. Non discuto la sua evoluzione ideologica, ma i termini nei quali s’è svolta. Ne voglio discutere a fondo le idee di Gramsci circa questa letteratura nazional-popolare, seppure mi sembri giusto dichiarare che in questo caso Gramsci faceva un discorso altamente reazionario, borghese : ripetendo mitologie ottocentesche che a me, perlomeno, ricordano il Gioberti. Quando parlava d’un pubblico nazional-popolare, Gramsci si sbagliava. Non ricordo, adesso, ciò che pensasse dell’opera, ma credo gli piacesse: come piaceva a Vittorini: che insomma la difendesse. come la difendevano molti uomini di sinistra italiani, in quanto sarebbe stata nell'Ottocento un’espressione di gusto e ispirazione popolari. Ora, la voga dell’opera nell’Ottocento, anche presso le classi popolari, non è certo una prova della sua validità, ma della coincidenza in un contesto storico specifico dei gusti del ≪ popolo ≫ con quelli della borghesia. Ma più che criticare Gramsci, a proposito di questo pubblico nazional-popolare, vorrei criticare lei: e con lei tutto un segmento della cultura italiana, che con idee di questo genere taglio la gola alle possibilità espressive di tutta una generazione. Instaurando un vero e proprio terrorismo culturale. Prima di pensare di scrivere per il popolo, chiunque sia questo popolo, e ammettendo inoltre che ciò sia fattibile, io sinceramente non lo so, bisognerebbe chiedersi se il popolo sa ≪ leggere ≫: e in che modo. Ho l'impressione che i gusti del ≪ popolo ≫ siano sempre, per rapporto all’arte, quelli della classe che gli è immediatamente superiore. In questo contesto, credo di poter affermare che la tragedia della rivoluzione russa non fu tanto la dittatura di Stalin quanto il fatto che i commissari del popolo avevano l’identico cattivo gusto dei funzionari zaristi : lo stesso tipo di ignoranza culturale. Prima di parlare di letteratura nazional-popolare, bisognerebbe preoccuparsi di insegnare al popolo a leggere : e fargli capire perchè un quadro di De Chirico è più bello d’una crosta di Cremona. Ma di ciò non può preoccuparsi l’artista: ciò è competenza del Ministero dell’Educazione Nazionale e della stampa, dei mezzi di diffusione. Se per educare il popolo a capire De Chirico occorre far la rivoluzione, ben venga: facciamola subito. Magari è proprio necessaria, che il gusto del ≪popolo≫ non dipende da dati innati, ma è il risultato di specifiche strutture sociali, del contesto sociale in cui vive. Anche l’artista può fare la rivoluzione, naturalmente: ma quella vera, allora, con fucile e bombe a mano, da uomo rivoluzionario, non quella da buffone, che scrive per il popolo. L’altra rivoluzione che può fare l’artista è al livello del suo lavoro d’artista: è cioè, esprimendosi artisticamente, senza preoccuparsi dei gusti del popolo o della borghesia o della nobiltà. In Italia, dal dopoguerra, non v’è stato nulla di meno ≪ popolare ≫ di quel movimento regressivo, ≪ popolare ≫ nelle intenzioni, che fu il neorealismo. In realtà, fu un movimento culturale borghese: con il quale la borghesia, quella reazionaria e anche l’altra, quella ≪progressista≫, tenta di salvarsi l’anima e conquistare il potere. Riuscendovi. Ma il neorealismo, movimento ≪popolare≫, fu distrutto in quarantott’ore da un solo libro, altamente ≪ anti-popolare ≫, scritto da un nobile, addirittura: Il Gattopardo. Che si rivelo molto più ≪ popolare ≫, in effetti, delle tonnellate di carta stampata, prodotta dai nazional-popolari. Mi domando a questo punto, e vorrei tirar le somme di quanto ho detto più su, se tutto questo non sia il risultato non solo del provincialismo ma anche dell’ignoranza della borghesia italiana, alla quale lei culturalmente appartiene: questa borghesia che non riusci mai a proiettare un’immagine coerente di se stessa e che ha sempre preferito l’intrallazzo di tipo rurale a una chiara e cosciente presa di potere. Questa borghesia che non ha nessun modello di se e non ha mai avuto il coraggio di espletare le proprie funzioni, anche quando queste funzioni erano storicamente necessarie. Lei ha parlato inoltre di comunicazioni di massa come d’un fattore nuovo, nella cultura occidentale: e dei cambiamenti che ciò avrebbe portato. A me pare che le complicazioni di massa, come fattore condizionante, siano sempre esistite: i veicoli erano diversi, la penetrazione era meno intensa, probabilmente, ma cent’anni fa anche questa penetrazione meno intensa bastava allo scopo. Era necessario condizionare direttamente tutta la popolazione in una società dove solo una parte aveva diritto al voto o comunque aveva la capacita d’esprimersi? E l’ignoranza, poi, non le pare condizionante? Torniamo indietro, al Medio Evo: anche allora v’era questa cultura di massa, propagata dai mezzi di comunicazione di quell’epoca, che molto spesso erano controllati dalla Chiesa. Non penso solo ai vetri istoriati, la Bibbia dei poveri in quanto raccontavano le storie dei santi e spiegavano una certa ideologia a coloro che noti sapevano leggere; o alle sacre rappresentazioni. Penso anche alla trasmissione massiccia di una cultura specifica, che vi avveniva. Un individuo poteva essere signore, o servo, e pero ambedue erano condizionati dalla loro comune cultura. Anche in esilio, e per colpa del Papa, Dante restava nella più schietta ortodossia: e mi pare abbastanza significativo. Sicchè, come avvenne nel dopoguerra, ho l’impressione che anche adesso la gente di cultura nazionale faccia discorsi che non corrispondono alla realtà, o per essere incapace, o per non aver voglia di analizzare le cose con un po’ di chiarezza.

Pasolini: Questo che dice lei... rientriamo nel concetto di istituzionalità, cioè tutto era istituito, e dentro questa istituzione ricco e povero erano convenzionali, al limite. E ne uscivano attraverso le eresie, le invenzioni, l’arte... come dire... dialetticamente. Invece la cultura di massa è un fenomeno completamente nuovo, tipico della civiltà moderna in cui i mezzi di comunicazione sono dei prodotti.
Io: Le forme di fuga che lei cita sono quelle che sono possibili anche adesso. Non lo dico per implicare che le cose vanno nel miglior modo possibile e tutto deve continuare a essere come è sempre stato. Piuttosto, perchè il problema mi pare risieda altrove. Quanto ai mezzi di comunicazione come prodotti... credo lo siano sempre stati. Lei non crede che la stampa, fin dalla sua invenzione, non fosse il prodotto di interessi economici, politici, ideologici ben definiti? e che cosi non fosse, non sia sempre stato, per tutti i mezzi di comunicazione, inclusa la parola? Lei sta creando dei falsi problemi. E parla da inserito in un sistema, che vuol servirsene e contemporaneamente salvarsi l’anima.
Pasolini: Io voglio dire che finchè il libro era un libro, era un fatto personale, e finchè il teatro era teatro, era fatto in carne e ossa, irriproducibile, i mezzi di comunicazione rimanevano sempre in qualche modo umani. Al momento in cui intervengono il cinema e la televisione, tanto per dirne una, oppure la stampa, arrivata al livello in cui è arrivata adesso, il mezzo di comunicazione si disumanizza. 

Io: E allora? Questa disumanizzazione appartiene alla nostra umanità d’oggi. Come la disumanizzazione ottocentesca, basata sullo sfruttamento diretto, schiavistico dell’uomo, apparteneva all’umanità dell’uomo ottocentesco. Ripeto, il problema è diverso, sta altrove. Sta nell’uso dei mezzi di comunicazione, sta nei rapporti sociali: nella struttura dei rapporti sociali. D’altra parte, anche nel Medio Evo mi pare che il mezzo di comunicazione fosse disumanizzato. Da un lato c’era il formalismo della messa e dall’altro v’erano delle pratiche...

Pasolini: Be’, va be’, se lei pone sul livello... In che senso? 

Io: ...delle pratiche che insegnavano la storia della chiesa, una ortodossia ben definita, una ideologia precisa, specifica. Quindi in che senso è nuovo, per lei?

Pasolini: E' nuovo nel senso che mentre nel Medio Evo c’era sempre molto spazio, entro questa convenzionalità di fondo - d’altra parte qualsiasi società ha questo fondo di istituzioni e di convenzionalità, questo purtroppo è vero... - il Medio Evo lasciava pero un grande spazio a libertà individuali, a equivoci. Oggi invece questo spazio si riduce sempre di più. 

Io: Lo spazio non credo si sia ridotto. Non le pare che anche nella società capitalistica vi sia un certo spazio? Per sopravvivere essa ha. bisogno di espellere una certa quantità di prodotti di scarto. E' come una grossa fabbrica di automobili, che riutilizza i frammenti di ferro fino al possibile, li rifonde... Arriva il momento in cui la nuova fusione dei pezzi di scarto non è più economicamente utile, costerebbe troppo, sicchè devono essere buttati. La distruzione dei prodotti di scarto è necessaria alla nostra civiltà capitalista, è un fenomeno... sono degli elementi... defecatoci, per dire. Come un fatto defecatorio è la creazione d’un prodotto per la sua distruzione. Ha mai letto ciò che sta scritto sul vetro delle bottigliette di birra che vendono negli S.U.? ≪ Vietato per legge servirsene una seconda volta ≫. L’economia capitalista vive su questi dati defecatoli. Ed è questa la libertà che noi possiamo usare: e in queste zone che si può operare. Pulendosi dopo, beninteso. E negli interstizi che questo apparente monolita della società capitalistica possiede, per restare in piedi, una specie di valvola d’equilibrio, che si può, ci si deve inserire: per portare qualcosa di nuovo. Che probabilmente farà cadere il monolito in frantumi. Tutto il resto è aria.

Pasolini: Ma infatti, quando prima le dicevo che anzichè operare nell’illusione gramsciana cerco adesso di fare dei film difficili, ambigui, inconsumabili, le dicevo proprio questo. Quando ho cominciato a fare del teatro, l’ho cominciato un po’ con questa illusione. Ma pero dobbiamo oggettivamente dire che queste operazioni individuali o anche di gruppi sono sempre più irrisorie e irrilevanti, e finiranno con l’essere schiacciate.

Io : Ho l’impressione che lei voglia dire altre cose. E che confonda il ruolo dell’artista, che è forzosamente sotterraneo, per definizione, con quello dell’impiegato in una agenzia di pubblicità. Che lei contamini la funzione dell’artista, con il mito capitalistico del successo. Comunque: vuol dire, con la sua ultima affermazione, che l’arte finirà per sparire?

Pasolini: Ma... queste cose qui non le dico mai.
Io: Ma l’ha detto, l’ha implicato.
Pasolini: Si, oggettivamente dovrebbe essere cosi. In una cultura di massa, quando non vi sarà più frattura tra Terzo Mondo e mondo neocapitalistico, quando i paesi del Terzo Mondo saranno industrializzati e tutto il mondo sarà neocapitalistico, e quindi la cultura sarà tutta una cultura di massa, oggettivamente, in una ingenua previsione del futuro, si dovrebbe dire allora che l’arte non potrà oggettivamente sussistere. Ma sa, queste qui son sempre definizioni schematiche e fasulle.

Io : E cosa può salvare l’arte?

Pasolini: L’arte può essere salvata da nuovi tipi di eresie. Per esempio, tanto per dirne una, nel mondo neocapitalistico più avanzato che ci sia, cioè l’America, si sono avuti ultimamente dei fenomeni grandiosi di eresia, cioè tutto il fenomeno dei beats, degli hippies, eccetera, questi scioperi contro il consumismo che sono di carattere spiritualistico, politicizzati solo fino a un certo punto. può darsi che nel futuro questi gruppi di umanità che franano fuori della tensione produzione-consumo siano fenomeni sempre più imponenti e impongano all'umanità una forma di autoriflessione su se stessa.

Io: Quindi sarebbero dei fenomeni non strutturati, irrazionali, spiritualistici che...

Pasolini: ...irrazionali di tipo in qualche modo religioso, di fondo, e d’un altro tipo. Da noi finora la religione è stata una religione contadina, preindustriale, no? La religione è un fenomeno da noi preindustriale e contadino e quindi ha certi elementi irrazionali che si collegano alle epoche magiche, eccetera. Adesso probabilmente i tipi religiosi avranno altra consistenza. Già sono prefigurati da quanto le dicevo prima. Il Village, a New York, quando ci sono stato quattro anni fa, era un po’ un fenomeno di questo genere. C’era l’idea di fare delle comunità di pura contestazione.

Io : Non le pare che siano fenomeni che appartengono ancora al XIX secolo, e che siano quindi inadeguati a lottare veramente contro la società contemporanea? Lei parla del Village. Io penso a tutti i fenomeni di falansteri, Brook Farm nel New England, i trascendentalisti, le comunità paracomunistiche dei gesuiti, i raggruppamenti mormonici, i quaccheri, tutte quelle società utopistiche della fine del XIX e dei primi del XX secolo, in tutto il mondo. Ma particolarmente in America. Alla comunità creata in Patagonia da Blasco Ibahez... Che ne restato? Furono tutti fenomeni di contestazione a un capitalismo ancora rozzo, primitivo: e già allora hanno fallito.

Pasolini: Si, si, indubbiamente in America questi fermenti sono più forti perchè c’è una tradizione.

Io : Ma non le pare, appunto, che dato il fallimento nel passato di fenomeni di questo tipo, dovuto anzitutto ai loro elementi irrazionali e vagamente spiritualistici, sia un po’ irreale sperare che da questi gruppi possa venire un rinnovamento? Sperare in questo tipo di rivolta irrazionale, e concedergli un’importanza rivoluzionaria, è un po’ ciò che faceva quel protofascista di D. H. Lawrence, quando protestava contro la società vittoriana perchè rovinava il paesaggio con le sue miniere, e cercava poi una soluzione al problema invocando una palingenesi del sesso. Cercando di convincersi, e convincerci, che le strutture sociali potevano essere superate grazie a misteriose affinità elettive, le quali si riducevano al sesso: a una funzione. E' questo, in definitiva, il discorso che fa in Lady Chatterley. E lei crede che da movimenti irrazionali, vagamente spiritualistici come i beats, che ripetono Lawrence magari senza saperlo, o gli hippies...

Pasolini: Be’, questa è una delle più ottimistiche previsioni. Sarebbe più drammatico se queste esclusioni diventassero addirittura delle esclusioni vere e proprie, dei lager. Se prevalesse, diciamo cosi, l’estrema destra, che sara per forza una forma di nazismo ancora più atroce in quanto ancora più... matematico, direi cosi. 
Io: Questa è propaganda. Non credo che i lager per questi gruppi vi saranno mai. Appena sorgono, infatti, questi gruppi sono strumentalizzati dal sistema di produzione. Costa meno. Ed essi servono il sistema, senza saperlo: o sapendolo, non ha nessuna importanza. Quanto al fascismo, mi pare che il mondo sia già in pieno fascismo. Corre verso un fascismo più istituzionalizzato e spersonalizzato di quello tradizionale. Si sta avverando una centralizzazione del potere e una sempre più maggiore spersonalizzazione: Ma è nella logica delle cose: è il risultato più esatto delle premesse della nostra società. Come dicevo prima, il problema è diverso, sta altrove: uso dei mezzi di comunicazione, accessibilità del potere in altri termini è suo uso, è struttura dei rapporti sociali. Finchè questo non cambia, o non lo si fa cambiare...
Pasolini: Si, purtroppo, oggettivamente, in questo momento le cose stanno cosi, c’è il fascismo dappertutto. Ci sono delle forme che io chiamo di fascismo di sinistra nella contestazione stessa, secondo me.

Io: Cos’è questo fascismo di sinistra?

Pasolini: Ma, il fascismo di sinistra è, perlomeno in Italia, il vecchio provincialismo, il vecchio moralismo, il vecchio amore per le istituzioni, la vecchia abitudine di parlare attraverso il codice, è la vecchia demagogia.

Io: Questo è il fascismo tradizionale, rurale...

Pasolini: Questo si riproduce nei movimenti di sinistra. C’è cioè un movimento ricattatorio e demagogico, moralistico, nei contestatori, che è oggettivamente simile a quello fascista. Voglio dire che il contenuto della demagogia è la demagogia. E il contenuto del moralismo è il moralismo. E quindi una demagogia equivale un’altra demagogia, e un moralismo vale un altro moralismo. E loro, i contestatori, hanno queste forme estremistiche che sono oggettivamente simili a quelle fasciste.

Io: Lei escluderebbe le cosiddette differenze qualitative?

Pasolini: Si perchè... Mi ricordo che quand’ero ragazzo io, fino a dieci anni fa, si diceva che anche quello russo era una forma di fascismo. Invece questo era un paragone forzato, sbagliato, storicamente sbagliato. cioè c’erano delle analogie puramente formali, diciamo cosi. Nel senso che la dittatura del proletariato, in quanto dittatura, aveva dei punti di analogia, di repressione, con la dittatura fascista. Ma erano somiglianze puramente esteriori. Invece quel tipo di analogia che propongo io è più interiore, più profonda.

Io: Non lo vedo. Non ne sono convinto. Non sono convinto della logicità di ciò che dice, voglio dire. Parliamo d’altro. Che cosa ha determinato il suo passaggio dalla scrittura al cinema?

Pasolini: Ho continuato sempre a scrivere, in realtà. Meno narrativa, ho scritto molto teatro... in versi... ho continuato sempre a scrivere. Ho pubblicato meno e l’ho fatto con meno... Mah, io pensavo che fosse il desiderio di cambiare tecnica. Come lei sa, chiunque è ossessionato da una specie di unicità di essere, irrimediabile, tende a reagire a questa sua unicità ossessiva cercando tecniche diverse, varianti di se stesso. Ora io ho sempre cercato delle tecniche diverse, anche in letteratura. C’è il dialetto friulano, il romanzo con inserti di dialetto romanesco, il saggio, la poesia civile, insomma ho sempre cambiato tecnica. Non sono monolinguista, sono plurilinguista, pluritecnico, anzi, come scrittore. E persino pensavo che anche il cinema fosse una tecnica diversa. Poi mi sono accorto che in realtà il cinema non è una tecnica diversa, è un’altra lingua. A questo sono stato convinto soprattutto dalla lettura d’un libro di semeiotica del professor Morris, e della semiologia in genere fino... E ora, pensando che fosse una lingua diversa, ho pensato che fosse una specie di protesta contro la mia nazionalita italiana. Facendo del cinema ho in qualche modo cambiato nazionalità, ho adoperato la lingua di un’altra nazione, o perlomeno d’una super nazione che non fosse l’Italia.

Io: Ciò contraddice quanto diceva prima a proposito della religione e d’una certa inevitabilità d’essere cristiani, se si è italiani. Mi pare. Il che mi porta a un’intervista che lei concesse lo scorso anno a Cancogni. Diceva, lei, che un piccolo paese non può dare un grande artista.

Pasolini: Non l’ho letta, l’intervista. Citavo una frase di Goldmann, che è un sociologo francese che segue Lukacs, il quale diceva che uno scrittore è omologo alla sua società. E quindi ciò che la società è, si riproduce nello scrittore. Se la società è complessa, larga, aperta, questo scrittore la rappresenta nella sua stessa misura, attraverso la stessa gerarchia di valori. Se una società è invece piccola, provinciale, ristretta eccetera, uno scrittore non può che esserne... Ecco, dicevo questo. E dicevo che l’essere italiano in un certo modo condiziona, nel senso che trattandosi d’una società ristretta, meschina, convenzionale, retrograda, eccetera, uno scrittore non può non risentirne. Con le stesse qualità e lo stesso talento, uno scrittore nato in Italia raggiunge risultati meno alti d’uno scrittore nato negli Stati Uniti o in Inghilterra o in Russia. Nato cioè in nazioni avanzate, più aperte, più culturalmente al centro della storia. L’Italia è piuttosto marginale.

Io: D’accordo, è marginale: e ha i difetti che lei dice. Credo pero che ancora una volta lei, come Goldmann d’altra parte, confonda risultato artistico con risultato mondano, realizzazione artistica con successo. Resta comunque un fatto innegabile: tutte le grandi letterature sono nate dal provincialismo. La letteratura americana ha trovato la propria forza nella cultura provinciale, basta pensare a Sherwood Anderson o a Mark Twain; o ai Puritani del New England, Hooker e Bradford e Winthrop, che scriveva una bellissima prosa, e Ann Bradstreet, Taylor... Per non fare che qualche nome. Non si può dire che il New England del XVII e XVIII secolo fosse meno periferico dell’Italia oggi. O pensiamo alla Russia dell’epoca di Gogol.

Pasolini: Be’, sa... C’è la provincia d’una nazione piccola e la provincia d’una nazione grande. D’una nazione grossa, con grande respiro, al centro della storia. Quando scriveva Gogol stava già cominciando la rivoluzione russa, tanto per dirne una. Mentre in Italia stava nascendo il fascismo.

Io
: Ma anche per l’Italia, nazione periferica, v’è sempre la possibilità d’un’altra visione... Italia come provincia europea. Un grande artista può nascere ed esistere e produrre anche se nessuno se ne accorge quando è vivo, anche se lo scoprono duecento anni dopo la morte, come di se diceva Stendhal. E, a rigore, nessuna regione è periferica in questo senso, perchè tutti si possono informare : possono leggere. Se si interessano a certe cose.

Pasolini: Ecco, infatti. Voglio dire che la frase di Goldmann è drastica : e io non sono d’accordo. Ecco, io la citavo come una cosa abbastanza vera ma non sono d’accordo in questo senso, che secondo me uno scrittore rappresenta si una società, la società particolare in cui vive, ma... secondo me la cosa è svalutata, la parola ≪ umanità ≫ ha un significato in questo momento quasi spregevole mentre in realtà bisogna ricostituirne il significato positivo... C’è una storia dell’umanità svolta come una storia delle varie nazioni... uno scrittore non può non essere anche nel flusso della storia dell’umanità.

Io: Sicche lei crede che esista questa storia europea, dato che esiste una storia dell’umanità, una cultura dell’umanità... dell’uomo...

Pasolini: Esiste, è chiaro, una cultura europea, ma vede, se un italiano si fa una cultura europea non può che portar dietro di se una realtà storica che è quella della sua provincia, e quindi può uscire in qualche modo, ma sempre con una specie di zavorra. Voglio dire che uno scrittore può essere grande egualmente anche se nasce in una piccola nazione, per quanto la come per un figlio del popolo come Rizzoli, un martinitt, diventare un grande industriale. Mentre uno nato da un industriale, uno nato da una famiglia di grandi industriali, può facilmente diventare un grande industriale, un martinitt ce n’è uno su un miliardo che lo diventa. Uno scrittore anche d’una nazione piccola come l’Albania può diventare un grande scrittore. E' un caso questo che non è completamente casuale. Se c’è, vuol dire che rappresenta qualcosa, voglio dire. Rappresenta... Rizzoli rappresenta il momento di verità del liberalismo. Un grande scrittore albanese rappresenta il momento di realtà della storia dell’umanità. cioè è albanese, si, contingentemente: ma nello stesso tempo appartiene alla storia dell’umanità. Oltre che alla storia dell’Albania.
Io: C’è molto, in ciò che dice, con cui sono d’accordo: ma non sono d’accordo sul fondo, ne lo sono sui nessi. Cosi prima di passare oltre, mi pare che una precisazione sia necessaria. Mi pare che bisognerebbe distinguere la carriera dell’artista, la sua realizzazione ≪ come artista ≫, dalla diffusione della cultura. L’artista può creare un rapporto tra se è la cultura mondiale, se vuole : sarà faticoso, in un paese provinciale, ma resta possibile. E' la diffusione della cultura, invece, che presenta il vero problema. In un paese provinciale, come l’Italia, la diffusione della cultura è problematica, cade fuori contesto. Basterà un esempio, che cito perchè abbastanza significativo. Nove anni fa, riuscii a ottenere dalla vedova dello scrittore Malcolm Lowry una decina di poesie inedite del marito, che proposi a una rivista culturale italiana. Allora si conosceva Lowry, in Italia e nel mondo, solo come autore di romanzi, soprattutto di Sotto il vulcano. Le poesie erano cosi una cosa abbastanza nuova. La rivista le rifiuto. Non perchè non fossero belle. perchè non le parevano significative. E non si trattava d’una rivista da due soldi, ma d’una rivista importante. Qualche anno dopo, quando le poesie uscirono negli Stati Uniti, la rivista si affretto a parlarne in maniera molto entusiasta. Vede? E' questo ciò che intendo. Questo che è tipico d’una cultura provinciale. La mancanza d’iniziativa per ciò che è nuovo, è il colonialismo culturale. Non sono il primo a dirlo. Lo diceva anche Pound, parlando di casa sua, una trentina d’anni fa. Lui poteva dirlo, pero: voglio dire, i veicoli per dire ciò che voleva gli erano accessibili malgrado tutto. Il che non è vero da noi. Ma tutto questo non mi pare tocchi l’evoluzione dell’artista. Adesso vorrei porle un’altra domanda. Da Le ceneri di Gramsci ai suoi film ciò che continua a disturbarmi nelle sue opere, oltre a incoerenze ideologiche, sono fattori stilistici : la mancanza d’una qualsiasi struttura. Potrebbe dire qualcosa in proposito?
Pasolini: Vede, i fatti stilistici sono la concezione di fatti altamente interiori. Allora questa ambiguità, nelle Ceneri, c’era umanamente, cioè politicamente. cioè questa ambiguità è il contenuto stesso del mio libro. Dico, ≪ Con te nel cuore ma col mondo irrazionale contro cui tu hai combattuto nelle buie viscere ≫. Ecco. cioè, voglio dire che il tema centrale del libro era proprio una ambiguità soggettiva, oggettivata come contenuto del libro. E ora questa ambiguità non poteva che riprodurre una ambiguità stilistica. cioè, le ≪ buie viscere ≫, l’irrazionalismo in cui mi ero formato, cioè la letteratura decadente, da Rimbaud fino a Proust e ai surrealisti eccetera, veniva contraddetta da un bisogno di razionalità, di discorso politico e ideologico a livello razionale. Pero sussisteva, e quindi ha prodotto quello stile. Il fondo era ambiguo e decadente, l’intenzione era razionalistica e oggettiva: al di la questa ambiguità stilistica.

Io: Per lei la razionalizzazione si fa al livello della scrittura, dell’espressione, oppure precedentemente, al livello dell’ideologia?

Pasolini: Si fa anzitutto a livello politico... politico e ideologico. Da qui passa agli altri livelli. Nel mio caso personale, la razionalità fu ottenuta invece che attraverso il razionalismo borghese, attraverso Croce cioè, attraverso il marxismo.

Io: può dire che cosa è per lei l'irrazionalità?

Pasolini: Secondo me si è irrazionali quando si opera all’interno d’una società... per esempio l’artista borghese che operasse all’interno della borghesia, cioè della classe borghese, senza avere coscienza, neanche marginale, della presenza diciamo cosi d’un’altra cultura di classe, che si oppone alla cultura borghese, è irrazionale. cioè... tutto il simbolismo e prodotto dalla borghesia, pero è chiaro che non accettava la borghesia, era contestatore. Nell’atto stesso in cui scriveva dei versi incomprensibili, sublimi, Mallarme faceva un atto di contestazione contro il razionalismo borghese perchè, intendiamoci, il dio della borghesia è sempre stata la ragione, la ragione come buon senso, come praticità. I simbolisti erano irrazionali in quanto erano antiborghesi restando dentro la borghesia.

Io: Questa è una risposta molto bella, molto giusta, anche. Per la prima volta sono d’accordo con lei. Che pensa del nuovo atteggiamento che sta sorgendo in Francia e in Svezia, per rapporto al cinema, all'opera d’arte in genere, anche, questo tentativo di voler includere nell’opera notazioni di carattere politico, persino cronachistico, e che ha indirettamente portato all’uso nel cinema della camera portatile, una specie di penna a sfera con la quale cogliere più direttamente la realtà?

Pasolini: Sono contro tutto questo. Ciò significa cedere al ricatto del fascismo di sinistra,di certe frange della contestazione, che essendo demagogiche sono, come tutte le demagogie, molto influenti. Per tacitare le loro coscienze, di cui nessuno sa niente, i fascisti di sinistra impongono un rigore che è quasi una santità. I deboli hanno ceduto al ricatto e ora è in atto una specie di psicosi per la quale bisogna far della politica a tutti i costi. Non ci si accorge che cosi questi fascisti di sinistra propongono una specie di neostalinismo, richiedono una nuova specie di realismo socialista. E' chiaro invece che un’opera d’arte dev’essere meditata, pensata, strutturata. E' puro romanticismo credere di poter cogliere la realtà cosi, con la penna a sfera. Si prendono degli appunti, con la penna a sfera. Dopo di che si lavora.

Io: Quali sono i suoi antecedenti culturali, nel cinema?

Pasolini: Sono arrivato al cinema con una assoluta ignoranza tecnica. Quando ho cominciato a girare Accattone non sapevo che ci sono diversi obbiettivi, per esempio. L’operatore mi chiedeva che obbiettivo volevo usare e io non sapevo. Avevo anche una casuale cultura cinematografica. E pero, dopo aver girato le prime scene, mi sono accorto che quelli che consideravo i miei maestri erano Charlot e Keaton e Dreyer, quello della Giovanna d’Arco. E poi Misoguchi, il regista giapponese. Questi erano i nomi sotto il cui segno ho cominciato a lavorare.
Piero Sanavio






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