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sabato 4 giugno 2022

Pier Paolo Pasolini, Lettera dal Friuli - La Fiera letteraria, 29 agosto 1946

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

La Fiera letteraria - 29 agosto 1946


Pier Paolo Pasolini
Lettera dal Friuli

La Fiera letteraria
29 agosto 1946

 È difficile nel resto d’Italia sentir ricordare il Friuli. Credo che l’unico istante di rinomanza letteraria di questa regione risalga ai tempi del Carducci, quando questi si fece leggere e rileggere da un suo studente friulano una poesia, Plovisine, dello Zorutti. Non ne valeva la pena. Ma da allora è d’obbligo coltivare questo poeta udinese che insieme ai noiosi cimeli e a una scorta imponente di aneddoti, ci fa eredi di tutta una tradizione vernacola... Gli stranieri si lasciano

suggestionare dalla sua lingua; e lo credono una specie di genio del luogo; invece se potessero leggerlo con naturalezza si accorgerebbero che il suo friulano è un mediocre dialetto. Anche il Soffici in un suo capitolo dei Ricordi di vita artistica e letteraria si è lasciato ingannare, descrivendo la casa dello Zorutti con un fervore e un’accuratezza assolutamente fuor di luogo. La borghesia friulana, del resto, è perseguitata dalle grandi ombre: ombre di uomini, di città, di società, di opere pubbliche. Conseguenze di una cultura che ha trasformato la filologia e la storia in piccole e attente attività marginali, e tuttavia molto sentimentali. Cuore di questo mondo friulano è la «Società filologica friulana», la cui grande ombra (questa volta veramente grande) è il goriziano Graziadio Isaia Ascoli. La Filologica conta più di vent’anni di vita, essendo nata subito dopo la guerra del ’14-’18, in seguito al risvegliarsi di una coscienza friulana, che inclinava naturalmente a vagheggiare una «Piccola Patria» ridivenuta autonoma, circa sei secoli dopo che l’ultimo Patriarca l’aveva rotta. È ad Aquileia (una ombra davvero grandiosa) che in questi giorni ha avuto luogo il XXI Congresso della Filologica, dove si è avuto modo, naturalmente, di rievocare, col solito pessimo linguaggio carducciano mescolato alla tradizionale schiettezza della nostra provincia, le ombre dei più recenti scomparsi.

 Al Congresso era assente, questa volta, l’avvocato Tessitori, ora onorevole, che vi faceva solitamente la parte del deus ex machina, chiarendo col suo tornito italiano le noiose e inutili questioni che vi sorgono spietatamente. Il Tessitori aveva fondato a Udine una specie di associazione per l’autonomia friulana, il cui motto era «di bessoi» (da soli), che ora non si sa come sia finita. Certo l’avvocato adesso è «in tutt’altre faccende affaccendato», ma il fallimento di questo nuovo tentativo autonomista (tendente solo a far del Friuli una regione) è stato una doccia fredda sul timido entusiasmo dei Friulani. Questi hanno la coscienza di esser tali; e fanno una naturale distinzione tra Friulano e Italiano. Ma per la sistemazione politica del Friuli esistono ora delle questioni ben più delicate; e non è solo l’IRI che se ne occupa... La fiamma del friulanesimo adesso è tenuta viva dal settimanale «Patrie dal Friûl», la cui anima è Don Giuseppe Marchetti. Il foglio è tutto scritto in friulano, ma il suo stile non differisce gran che da quello del «Ce Fastu?», il ventennale Bollettino della Filologica. Stile dimesso, da dialetto, non da lingua. È ancora lo Zorutti che vi fa scuola. Un numerosissimo stuolo di poeti ne ripete le formule con una tenacia e un buon umore davvero sconcertanti. Il tono dei loro versi serba in qualsiasi stagione dell’anno un’ineffabile euforia natalizia. (Mi consolo vedendo che anche gli ultimi premiati a San Remo non valgono molto più dei miei conterranei.) Io scrissi i primi versi in friulano a Bologna, senza conoscere neanche un poeta in questa lingua, e leggendo invece abbondantemente i provenzali. Allora per me il friulano fu un linguaggio che non aveva nessun rapporto che non fosse fantastico col Friuli e con qualsiasi altro luogo di questa terra. Ora che abito quassù, e non ci sono più la nostalgia e la lontananza, ho dovuto studiare più freddamente quella mia lingua poetica... Da tali meditazioni durate circa due anni e fatte in comune con alcuni giovani amici, è nata l’«Academiuta di lenga furlana», che è dunque una sorta di modesto félibrige. Glottologicamente torniamo alle teorie dell’Ascoli, cioè all’affermazione dell’esistenza di una lingua ladina; poeticamente questa lingua non è il dialetto degli zoruttiani, e nemmeno il dialetto, così suggestivo, parlato dal popolo, ma una favella inventata, da innestarsi nel tronco della tradizione italiana e non già di quella friulana; da usarsi con la delicatezza di un’ininterrotta, assoluta metafora.

 Se dietro ai cultori di poesia dialettale si profila lo spettro del ridicolo, dietro ai nostri scrittori in lingua si profila quello della vanità. A Udine sono sorti diversi club, cerchie piuttosto chiuse che aperte, dove con una buona volontà e una presunzione ambedue provinciali, si organizzano trattenimenti e conferenze. Il Circolo artistico friulano è il più vitale. Vi sono state fatte letture di poesie (Zannerio e Menichini, per ora, l’uno quasimodiano l’altro sinisgalliano); Marangoni vi ha combinato delle  simpatiche discussioni intorno ai problemi più correnti della poesia; Oliviero Bianchi, un triestino, ci apporta il suo caloroso ingegno; poi c’è il tranquillo Maldini, alto e ironico, che tra i romanzi di memoria e Piovene, va in cerca di una pagina che sia tutta assonnato candore... Questi ed altri, che sarebbe noioso citare, sono i collaboratori della terza pagina di «Libertà», qualche volta pregevole; è Arturo Manzano che pazientemente la mette insieme.

 Come il lettore vede, la vita culturale in Friuli non è tra le più interessanti; si accusa il Friulano di freddezza, ma questa osservazione è troppo ovvia, se si pensa alla collocazione geografica della provincia. Le ragioni di quella freddezza, che è quasi una assenza di memoria, si ritroveranno più facilmente nel suo passato; un perpetuo, febbrile succedersi di disastri. (Altro che «beato Friuli» come scrive il Valeri in una dedica a Chino Ermacora: anche oggi nella mente degli Italiani il Friuli è vivo per la   ritirata del ’17.) Perciò la nostra Piccola Patria coltiva delle grandi ombre, e non una tradizione che sola le consentirebbe la quiete necessaria agli entusiasmi. Qui c’è solo la sordida quiete della vita quotidiana, che tuttavia, mescolandosi al silenzio dei campi e dei monti, giunge a purificarsi, a comporsi in una accorata perfezione...

 Ma eccomi sulla china pericolosa della confessione, eccomi sul punto di svelare i miei sentimentali segreti; preferisco tacerli, come è meglio tacere un altro dolore, che se è comune a tutti, è da ognuno di noi considerato quasi privato. Mi riferisco alle offese degli Slavi. Le avventure zingaresche di costoro contro di noi non sono di data recente; risalgono al cuore della guerra partigiana. Lo sa il mio povero fratello. Lo sanno i suoi comandanti De Gregori e Valente, lo sanno i suoi quattordici compagni, tutti trucidati sui monti del cividalese, per la sola colpa di aver combattuto con giovanile, commovente coraggio contro l’invasore tedesco.

La Fiera letteraria - 29 agosto 1946


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Curatore, Bruno Esposito

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