"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Biblioteca nazionale centrale di Roma Recensione di Pier Paolo Pasolini al volume di poesie di Attilio Bertolucci La capanna indiana Fondo Falqui |
Pier Paolo Pasolini
La capanna indiana
Walter Siti, nei Meridiani Mondatori, riporta la stessa recensione pubblicata successivamente su "Il Giornale" del 18 agosto 1951, con modifiche apportate dallo stesso Pasolini.
Lo scritto di Pasolini che sotto viene pubblicato, recensione del libro di Attilio Bertolucci "La capanna indiana", invece è stato pubblicato su "Il Popolo di Roma" il 10 giugno del 1951.
Le parti sottolineate sono le modifiche apportate da Pasolini, su "Il Giornale del 18 agosto 1951, rispetto allo scritto pubblicato su "Il Popolo" del 10 giugno 1951 e con (forse) qualche refuso di Walter Siti.
@ (Trascrizione curata da Bruno Esposito)
Biblioteca nazionale centrale di Roma Recensione di Vittorio Sereni al volume di poesie di Attilio Bertolucci La capanna indiana Fondo Falqui |
(tanto che ora si può parlare di una rivelazione. Nessun poeta più di lui aveva dunque bisogno di raccogliere le sue cose in un volume concluso: dove i risultati che lasciano scontenti, le tentazioni, pensano da sé a raccogliersi ai margini, lasciando che nel centro l'autentica poesia di Bertolucci si dipani fino alla trasparente tensione della Capanna.)
Si poteva rimproverare, in antecedenza, senza potersi troppo documentare, a Bertolucci, una certa voglia di giocare, di scherzare, sopra la propria poesia (con un sorriso che si sarebbe detto ironico, mentre era la reazione d'un amore sopraffatto dalla timidezza): ricordando così, vaghissimamente, e proiettate su un tutt'altro materiale linguistico, le figure del migliore Govoni, o addirittura di Palazzeschi; giungendo alla dizione ambigua di una lirica di ispirazione dichiaratamente riflessa. Giustamente, a dare il senso della sua posizione stravagante nella letteratura italiana tra Ungaretti e Montale dell'anteguerra, Spagnoletti nella nota della sua Antologia citava per Bertolucci i post-simbolisti francesi, le Contrerimes di P .J. Toulet. E noi come pura indicazione parleremmo anche di Laforgue, della sua poesia più metafisica da una parte e di quella più domestica dall'altra.
(Comunque, dicevamo, pur svelando in· Bertolucci indubbie doti di intelligenza letteraria e sensibilità umana, da Sirio, a Fuochi in novembre ( 1934) ç anche a qualche Urica di Lettera da casa ( 1935-50), i suoi modi lirici lo ponevano forse troppo decisamente in un ambito di poesia minore.)
Certo, se lodiamo il buon gusto e il coraggio di Bertolucci nello avere affidato al risvolto pubblicitario del suo bel volume sansoniano le parole di De Robertis: «E bisognerà proprio che passino due decenni, perché si veda nascere, tra il ' 10 e il '20 del nuovo secolo, la poesia nuova, Vittorio Sereni, Luzi, Parronchi, e in zona più romita, per una sua fantasiuccia, Bertolucci . . . »: non sappiamo però fino a che punto del diminutivo possiamo seguire il critico. Lo seguiremmo fino in fondo, se Bertolucci fosse il poeta che era prima di scrivere la «Capanna indiana».
(e l'appunto per la Capanna che e il frammento che chiude il volume, e non solo per il valore esclusivo di questi versi, ma per la nuova luce che essi rimandano indietro, su tutta la raccolta.
Tanto è vero che la lettura migliore di questo libro potrebbe essere una lettura pregiudiziale, nel senso che su dati aprioristici segua lo svolgersi della lingua secondo una costante dapprima incerta, diramata, tradita. Fissarsi insomma il tema critico: come è nata la Capanna indiana. E infatti nelle quattro poesiole di Sirio - allora, nel '29, Bertolucci non aveva che .diciotto anni - mantenute in questa raccolta, compaiono già i motivi, magari puramente nominali, della costante che doveva condurlo alla «Capanna», mentre vi si accampa in pieno quella personalità minore - un poco fumistica, giocata - di Bertolucci, dalla cui progressiva liberazione è contrassegnata la storia della sua lingua. Infatti vi troviamo con tutti i suoi naturali attributi la sua predilezione per il momento più sfumato della crisi delle stagioni
(climatica),
dalle ripercussioni leggendarie (alcuni titoli: «Settembre», «Ottobre», «Inverno») o per i luoghi della campagna (della provincia, per essere più esatti) parmense, o infine certi dati della lingua, fermi come sigle, evidenzianti uno dei più esatti pascolianesimi della poesia del Novecento (si vedano a conferma, i «buoi rossi e neri», i Bi e Ro delle maggesi pascoliane).
Dall'altra parte vi abbonda l'immagine «facile». (quale «nel cristallo opaco della notte») o quel candore poetico, non privo di malizia, di ambiguità letteraria, che egli potrebbe condividere, per esempio, con certo Betocchi.
Ma già nel '34, cinque anni dopo, comincia la vera sto ria della Capanna: è un nome («per le pendi ci d' Appennino. in Ginestre, o meglio ancora, «la bianca nebbia si rifugia fra le gaggio. in Fuochi in novembre) o un'intera lirica, come Ricordo di fanciullezza, dove, ancora un po' spuria, slegata, cruda, troviamo la sintassi
(degli endecasillabi)
che nella «Capanna» suggellerà l'immagine poetica di Bertolucci. Da questa lirica in poi si legge il libro come una ideale antologia: è un motivo che potremmo chiamare domestico a determinarla, se però in questo termine si concentri una particolare, fine, aristocratica memoria d'infanzia (erano quelli anche gli anni di Bilenchi, di Cassola, del primo Pratolini ... ) e il mito, che in Bertolucci è di un gusto raffinato, della provincia emiliana. E dunque non solo per puntiglio filologico abbiamo citato il Pascoli, Bertolucci ci dà di quell'Emilia che va, lungo i crinali dell'Appennino, da Bologna a Parma, una finissima interpretazione: proprio geologica, intanto, coi suoi torrenti, l'Enza o il Cinghio, torbidi nelle secche arse di rusco e di sole, le sue campagne coltivate con la scialba fermezza di una maturità agricola impressionata dal silenzio delle terremare, le periferie dei suoi capoluoghi padani, tenuemente rustiche e padronali, la sua popolazione, specie di ragazze, dall'alta sanguigna salute sessuale; e benché egli colga tutto questo in un momento di rarefazione, quasi di estenuazione poetica, resta tuttavia nel lettore una impressione di solidità, addirittura logica, storica, ambientale, comunque. Ed è per questo che può importare al nostro discorso il riferimento al Pascoli: un Pascoli come puro sfondo ideale, poetizzato. Ettore Serra
( Walter Siti nei meridiani riporta Renato Serra (?) )
- a cui riteniamo che Bertolucci sarebbe piaciuto - impone la sua citazione quasi in un senso biologico: nel borgo romagnolo di Serra e nel Baccanelli di Bertolucci c'è lo stesso sapore, lo stesso falso silenzio più di bozzolo che di romitorio. Del resto sarebbe piaciuta a Serra tutta la particolare civiltà bolognese dalla Ronda in poi, tra Raimondi e Morandi: e quel gruppo dell'ultima generazione poetica, Rinaldi, Giovannelli, Bassani, i due Arcangeli, tra cui Bertolucci, con questo libro, viene ad avere una posizione di primo piano, esemplare.
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