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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

mercoledì 9 dicembre 2020

Il valore della sconfitta - Un falso pasoliniano

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro




Il valore della sconfitta
Un falso pasoliniano

Il falso pasoliniano prende spunto da una citazione di Pasolini. Questa citazione, estrapolata da un suo intervento del  28 ottobre del 1961 su Vie Nuove, rivista per la quale ha collaborato da giugno  1960 a settembre 1965 su invito di   Maria Antonietta Macciocchi:

Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù…”

Per effetto di non si sa quale alchimia virtuale, si è trasformata in questo:

“Penso che sia necessario educare le nuove generazioni al valore della sconfitta. Alla sua gestione. All’umanità che ne scaturisce. A costruire un’identità capace di avvertire una comunanza di destino, dove si può fallire e ricominciare senza che il valore e la dignità ne siano intaccati. A non divenire uno sgomitatore sociale, a non passare sul corpo degli altri per arrivare primo.
In questo mondo di vincitori volgari e disonesti, di prevaricatori falsi e opportunisti, della gente che conta, che occupa il potere, che scippa il presente, figuriamoci il futuro, a tutti i nevrotici del successo, dell’apparire, del diventare…. A questa antropologia del vincente preferisco di gran lunga chi perde. E’ un esercizio che mi riesce bene. E mi riconcilia con il mio sacro poco.
Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù…” 

L'intero scritto appena citato, viene condiviso in rete attribuito interamente a Pier Paolo Pasolini ( pare che le considerazioni aggiunte alle parole realmente scritte da Pasolini, siano di una maestra - Rosaria Gasparro ). 
Riporto sotto l'articolo completo apparso su Vie Nuove e oggi raccolto in Saggi sulla politica e sulla società di Pier Paolo Pasolini, Editore Mondadori, collana I Meridiani, da dove è tratta la vera citazione di Pasolini: 





POESIA, CINEMA, POLITICA


Caro signor Pasolini, ho capito quanto lei dice su D'Annunzio e, in linea di massima, condivido le sue opinioni. Tutta quella caterva di parole sia pure infilate con un certo virtuosismo, mi è stata ostica sempre e pesante. Magnifico è quanto lei dice: «fascismo e poesia non possono mai coincidere>>. Perché la poesia è amore fra gli umani. Nel fascismo invece, tale nobile sentimento è sconosciuto. Mi dica: le piace il Pascoli? A me, sì. Un po' troppo rassegnato ma dignitoso, umano. Sul ((Paese», poi, ho letto la recensione delle sue ultime poesie. Le hanno fatto l'appunto di ((decadente». Io non ho letto le sue poesie (coi quattro soldi della pensione riesce sempre più difficile comperarsi qualche libro), ma dai brani riportati su «Vie Nuove», l'accusa non mi pare giusta. Ho visto La giornata balorda e l'ho apprezzato. Il problema però è un altro: le cose che quel film dice le sanno anche coloro che fingono di ignorarle. Passo all'ultimo argomento. Lei una volta, mi ba dato un dispiacere, criticando Stalin. Io non mi sono mai creata dei feticcio so che Sta/in era soltanto un uomo e, come tale, poté sbagliare. Anzi, avrà certamente sbagliato ma ciò che di positivo ha fatto quell'uomo ha avuto un peso rilevante nella storia contemporanea. Credo che mi presterà fede se le dico che sono disinteressata e sincera e che le ho parlato a cuore aperto per la stima che ho di lei.
A. Stecchini- Viareggio

Cara amica, la sua lettera è una vera e propria conversazione, piena di argomenti accennati, accavallati. Vorrei risponderle con altrettanta foga, perché lei è molto simpatica. Ma la sede in cui le rispondo mi costringe a un certo ordine, a un certo dominio «semplificante» delle cose da dire. Le rispondo perciò per argomenti: D'Annunzio. Ormai, su D'Annunzio, o scrivo un saggio di cento pagine, o non apro più bocca. Lei è d'accordo con me: e quindi mi esime dal tornarci sopra. Pascoli. Su Pascoli mi sono laureato. Su Pascoli ho scritto forse il mio migliore (o almeno più utile agli altri) saggio critico. È stampato sul primo numero della rivista «Officina», una rivista bolognese che ormai ha cessato le pubblicazioni, ed è, credo, difficilmente reperibile.
Però, quel saggio, se le importa, lo può trovare ripubblicato sul mio volume di critica Passione e ideologia (Garzanti). Non lo amo molto, Pascoli: ma è l'unico della famosa triade, che stimo veramente poeta, se non altro poeta dell'invenzione linguistica. Egli era un uomo arido, inibito, infecondo, ma a questo sopperiva con una vasta ispirazione, appunto, linguistica. Tutte le esperienze innovative del nostro secolo, buone e cattive, hanno avuto in qualche modo origine in lui: da Montale, agli orfici, ai dialettali. Perciò egli è importante culturalmente.
E, noti bene, tutte le tendenze stilistiche, che si sono sviluppate dai suoi esperimenti - spesso rozzi e provinciali, sia pure - sono state tipiche dell'antifascismo culturale del Novecento. Un antifascismo puramente passivo, è vero, borghese: ma è già molto, non le pare? La giornata balorda. Spesso i comunisti rimproverano ai loro compagni o amici che fanno del cinema di non essere abbastanza comunisti. Anche i critici, competenti in ogni senso, che sanno benissimo come stanno le cose.
Lei, pur col suo carattere gentile e schietto, commette un po' lo stesso errore. Lo sa che La giornata balorda è stata sequestrata- coi soliti argomenti pretestuali, ma in realtà, come è stato confidato al produttore, in camera charitatis, perché considerato «il film più comunista di questi anni»? Si figuri un po' ... Se soltanto avessimo accennato nel film a quello che si dovrebbe fare per risolvere la disoccupazione noi, poveri autori, saremmo stati a dir poco linciati.
È disumano, dunque, e disonesto, chiedere agli scrittori e ai registi impegnati>> di fare quello che non possono fare. Grazie tante, saprei io che sceneggiatura o che film fare, se fossi libero. D'altra parte sarebbe forse meno disumano o meno disonesto se voi ci chiedeste di non fare film, di non esprimerci, di tacere, visto che non · possiamo farlo con la più completa libertà?
Io penso che anche film come La giornata balorda possano avere il loro peso, la loro carica polemica, pur se ideologicamente deboli e mutilati. E già molto che coloro che «sanno queste cose, ma fingono di non saperle» siano costretti a prenderle in considerazione, se non altro ricorrendo ai loro sbirri per impedire l'uscita delle opere che denunciano l'esistenza di «quelle cose>>.

L'integralismo ideologico ha tutte le mie simpatie. lo sono per l'integralismo ideologico, per l'assoluta coerenza, per una moralità di pensiero intatta e incapace di compromessi. Ma l'integralismo ideologico non è mica un catechismo! Una cosa è non scendere a compromessi e una cosa è non storicizzare e umanizzare il giudizio!

Lei su La giornata balorda non deve portare, implacabile, il suo giudizio di comunista incorrotta; ma deve prendere La giornata balorda per quello che è: un film prodotto in Italia, sotto gli occhi dei censori romani e milanesi, e che, pur essendo tale, è, secondo quei censori, il massimo che si può fare in fatto di denuncia contro la borghesia del benessere: e poi, è il film di un regista, Bolognini, che non è affatto comunista, ma semplicemente un borghese, di fondo cattolico, ora laico e libero.

È assurdo, antistorico, e schematicamente ideologico, chiedere a La giornata balorda altro da quello che ha dato. Stalin. Probabilmente non sono tanto più giovane di lei da non aver vissuto le sue stesse esperienze fondamentali. Anch'io, durante la guerra, e subito dopo, ho amato con tutto il cuore quell'uomo, misterioso e simbolico. Con centinaia di migliaia di cittadini, vedevo in lui il liberatore vero, ingenuamente. Ero molto giovane e quasi infante in politica. Ora, quel mito, per quel che mi riguarda, è totalmente esausto: resta, di mitico la grandezza militare di Stalin, e il suo «pugno di ferro» indubbiamente necessario in un lungo e terribile periodo di emergenza.


Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con metodi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù ... 

Stalin non amava, è certo, gli eroi di Dostoewskij. Non posso perdonare a Stalin le repressioni, le ingiustizie, i campi di concentramento. Il comunismo è perfettamente inutile se non considera sacro il rispetto per la persona umana. Il capitalismo, e non solo nelle sue punte estreme - fascismo e nazismo - è odioso appunto perché non prova questo fondamentale rispetto: e, in nome dei suoi supremi interessi - che si ammantano sempre di    pseudo-ragioni idealistiche - umilia la persona umana.

Il popolo russo che con la Rivoluzione d'Ottobre si è affacciato alla storia - a parte le aristocrazie operaie che l'hanno guidato - era un popolo di contadini, con immense masse sottoproletarie. Era fatale dunque, che la rivoluzione, applicandosi su questo corpo immenso, potente, vitale ma storicamente acerbo, subisse delle attrazioni dal passato: un passato di pura vitalità, di immatura violenza. Stalin è stato il simbolo vivente, dipinto, di questa forza per certi aspetti regressiva imposta al ciclo storico della rivoluzione. Almeno così mi sembra. La mia non è l'opinione di un politico competente, ma di un uomo sensibile ai problemi politici. Ora quel tanto di cieco, di irrazionale, di fanatico, di arcaico, di infantile che le enormi masse russe hanno apportato 'alla forza rivoluzionaria, proprio per il fatale avanzare della rivoluzione, è andato esaurendosi: e Stalin appare veramente come un uomo di altri tempi, completamente esaurito.
Forse egli è stato necessario. Ora non lo è certamente più. Ed è inutile rimpiangerlo, o farne nostalgiche palinodie.


Dialoghi con Pasolini, settimanale Vie Nuove, n. 42, 28 ottobre 1961.


Curatore, Bruno Esposito

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