Il primo paradiso, Odetta
Tratto da Teorema libro, Garzannti 1969
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Il primo Paradiso, Odetta, era quello del padre.
C'era un'alleanza dei sensi, nel figlio
- maschio o femmina –
dovuta all'adorazione di qualcosa di unico.
E il mondo, intorno,
aveva un lineamento solo: quello del deserto.
In quella luce oscura e senza fine,
nel cerchio del deserto come un grembo potente,
il bambino godeva il Paradiso.
Ricordati: c'era un Padre soltanto (non la madre).
La sua protezione
aveva un sorriso adulto ma giovane,
e lievemente ironico, come ha sempre chi protegge
il debole, il tenerino - maschio o femminuccia.
Tu sei stata in questo Primo Paradiso
fino a oggi: e, in quanto femmina,
non ne perderai mai il ricordo e la venerazione.
Sarai, per natura, adoratrice... Ma prima
di tornare a te, per avvertirti dei pericoli
della religione, voglio farti la storia
di tuo fratello, ch'è dello stesso sesso di Dio.
Anch'egli, in tempi in cui era veramente bambino,
(più bambino ancora di quand'era nel ventre materno
o di quando succhiò il primo latte dal seno)
è vissuto in quel Primo Paradiso del Padre.
L'odio sorse improvviso, e senza ragione.
Il grembo ch'era come un sole coperto di nuvole
dolci e potenti, il grembo di quell'Uomo
immenso e unico come il deserto,
divenne un oscuro fondo di calzoni,
s'immiserì, perdette l'innocenza
nel sospetto di non essere altro che umano.
Era venuto il giorno
in cui, il puro orizzonte del deserto, si perde
in un silenzio e in un colore meno perfetto,
si cominciano a vedere i primi palmizi,
e la prima pista compare muta tra le dune.
Così il bambino valicò il confine del Primo Paradiso:
che restò indietro, nel tempo; nel tempo, sognato,
di una verde regione rigata di file trasparenti
di pioppi - o in una grande città di provincia.
Il bambino cadde a capofitto sulla terra,
perdette il nome di Lucifero e prese, insieme,
quello di Abele e quello di Caino (ciò vale almeno
per certe terre rosa, mediterranee, e per queste, verdi,
dove le monache a un'Odetta laica l'insegnano).
Queste terre furono il Secondo Paradiso.
Ci fu una madre (diciamola adottiva), che, nel tuo caso,
ebbe ricche pellicce odorose di precoci primavere.
Come fu terrestre, dolcemente terrestre,
la sua dolcezza di bambina piccolo borghese,
che, tutte le care cose apprese non le desidera per sé
ma per quel suo figlioletto che le passeggia al fianco,
anche lui tutto imperlato del fresco delle primule!
Scorreva un fiume (nel tuo caso il Po) in quel Paradiso:
perché la casa dove i genitori « adottivi » alloggiano,
dopo il matrimonio, è sempre nei dintorni di un fiume.
O, se non è un fiume, il mare o una catena di colli.
Crebbero da soli i frutti, con nomi stupendi,
mele, uva, more, ciliege; e i fiori, gli inutili fiori,
non contarono meno di loro: e anche i loro nomi
erano meravigliosi, primule, appunto, o girasoli,
o bucaneve, o mughetti, e anche, nelle feste, orchidee.
Il sole, là sopra, era certamente una creatura amica
addolcita dall'innocente idea che la madre
comunicava al suo piccolo figlio stretto per mano;
e come nasceva al mattino, moriva alla sera,
cedendo il posto a quelle stelle che il figlio, obbediente,
doveva appena vedere, e presto lasciare ai loro silenzi.
Ma quella madre non era innocente, com'egli credeva!
E così lo stesso odio senza ragione - che era nato da solo,
come un frutto o un fiore, nel Primo Paradiso –
nacque anche nel Secondo. La nostra esistenza
non è che un folle identificarsi con quella dei viventi
che qualcosa di immensamente nostro ci mette vicino.
Fummo così la madre peccatrice davanti al frutto
il cui mistero risuscitava i giorni del Primo Padre
- tanto anteriori a quelli del verde Paradiso lombardo!
Risplendette nuovamente il sole del deserto
su quella piccola mela, desiderio di modeste esistenze.
Il solito sole di ogni giorno se ne stava in disparte,
segregato come in un improvviso dicembre; mentre l'altro,
stupendo, ardeva: misura su cui misurare secoli e miserie.
La mamma dunque, che altri non era che il proprio bambino,
addentò con materna innocenza e figliale incoscienza
quel frutto estivo. Subito il secondo padre, quello adottivo
- che, in confronto al primo, era come lo spento
sole d'inverno in confronto a quello delle Prime Estati –
seguì il suo esempio, esule uomo della terra,
facilmente tentato e facilmente corrotto.
Ma anche con lui, noi ci eravamo identificati:
perché, in quanto noi stessi, non potevamo esistere;
potevamo esistere solo se eravamo il padre, la madre.
Peccammo con le loro stesse bocche, le loro stesse mani.
E il Primo Padre ci cacciò anche dal Secondo Paradiso.
Sono dunque due i Paradisi che noi abbiamo perduto!
Stretti per mano ai genitori prendemmo le strade del mondo.
Lucifero si distinse da Abele, e seguì il suo destino
finendo nell'oscurità più nera. Abele morì,
ucciso da se stesso col nome di Caino.
Insomma non restò che un figlio, un figlio solo.
Dopo molti millenni si ebbe la prima seminagione,
e dopo un altro millennio da questo avvenimento
fu nominato un Re padrone degli uomini moltiplicati.
Ah, quanti vasellami colorati! Dovemmo guadagnarci il pane
e questo cominciò a prenderci a noi stessi, e a perderci
ognuno in una falsa idea di sé, nell'inferno presente.
Per questa strada, dunque, si sta avviando tuo fratello Pietro.
Ma perché, nell'esporti questa Teoria dei Due Paradisi,
ho parlato di tuo fratello Pietro e non di te?
È semplice: perché senza la sua storia di figlio maschio
la tua non potrebbe essere confrontata a nulla,
e non si potrebbe quindi neanche cominciare a parlarne.
Non ci fu una Lucifera, né una Abele, né una Caina:
tu dunque dovresti essere restata nel Primo Paradiso.
O almeno è quello che dovresti ricordare, col vero Padre:
ed è così, infatti: perciò sei immensamente più vecchia
del tuo padre adottivo, di cui sei innamorata,
di tua madre adottiva, che ha il nome di Lucia,
e di tuo fratello Pietro, esempio dell'intera esistenza.
Con ognuno di essi, tu, poverina, ti sei identificata:
e non sai che invece sei laggiù, prima delle loro nascite,
la sola veramente obbediente al Primo Padre.
Cosa deve valere di più, la tua identificazione o il tuo essere?
Tu non sai scegliere, tenera Odetta, perché sei cieca:
così sei scelta; così sei vissuta; e tu recalcitri
inutilmente, persa tra un ricordo ch'è troppo bello
e una realtà che ti porta dal sogno alla pazzia.
Tratto da Teorema libro, Garzannti 1969
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