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venerdì 10 dicembre 2021

Pier Paolo Pasolini, I Dispetti - La Stampa, Tuttolibri ottobre 1993.

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Pier Paolo Pasolini
 I Dispetti

La Stampa
Tuttolibri, ottobre 1993.


Ricordo Casarsa nel '29: allora non conoscevo che una decina di adulti, e, naturalmente, li conoscevo attraverso i discorsi che si facevano in casa. 
Quando mi comparivano davanti in carne e ossa, ero subito preso da una specie di entusiasmo che ora, da lontano, chiamerei ironico, e che nascondevo ipocritamente dietro la falsa distrazione che, come fanciullo, mi era concessa. Ma c'è un momento negli impubi di estrema quasi senile saggezza (momento che si manifesta, forse, nell'imbarazzante simbolo dell' «omettino»); credo che questo si verifichi soprattutto nei ragazzetti borghesi della campagna dato che essi perdono già verso i sette o gli otto anni quella che i genitori chiamano ingenuità. Io, allora, ero in effetti un vecchione indifferente nei cui sensi l'assenza dell'Amore era compensata dalla gola e dalla curiosità. Mi trovavo molto a mio agio tra le donne perché scarseggiavano di quella qualità mostruosa che si chiama ironia, mentre erano invece fornitissime di saggezza. Era naturalmente una saggezza
falsa, ma quale beatitudine provavo nell'ascoltare i loro discorsi estremamente complessi (mi rendevo conto, si badi, della loro complessità); il fatto è che erano dovuti a una reale allegria e me la comunicavano. 
Perché non c'è nulla di più allegro del convincersi di avere ragione; e a null'altro se non a questo miravano i discorsi del- del giudizio. Meno mi convince Pasolini (e gli altri letterati romani) in azione e in discorsi, nella parte memoriale del libro. Già finisce a essere un poco grottesco l'esordio di Moravia che compiange la morte di Pasolini, ripetendo l'ovvia affermazione che di poeti ne nascono pochi in un secolo, d'altra parte smentita dalla realtà poetica non certamente avara del nostro come di tanti altri secoli. E tutti i personaggi descritti e fatti parlare e agire finiscono con l'apparire sempre un poco diminuiti, tolti, come sono dal calore della vita e degli incontri in cui parole e gesti potevano avere dietro di sé l'alone dell'invenzione improvvisa e arguta o, nella situazione, anche brillante e risolutiva. Sono tutti personaggi noti della nostra cultura del
trentennio passato: ma molti, forse per La mia Casarsa bella di donne le mie zie e delle ragazze che frequentavano la nostra casa.
Io che allora parteggiavo con un ardore pari alla saggezza per l'onestà, la morale, Dio e la comunione, mi sentivo consolare davanti a quelle diaboliche perorazioni, a cui assistevo in ombra, col cuore vellicato da una gioia sottile. Immagino che non sia stata un'esperienza troppo nociva quel mio indugiare a lungo nel rozzo gineceo paesano: fosse consistito solo in questo il peccato della mia infanzia! Rivedo una fotografia del '29, in cui io con un vestito a righe marrone e bianche, compaio sul balcone della Canonica, insieme a una trentina di fanciullini, miei compagni di classe. E' straordinario, ancora non mi riesce di non commuovermi di fronte al mio aspetto fiero, al mio ciuffo impudente, alla tenerezza di bronzo della mia carnagione; ancora non mi riesce di non pensare a quel Pier Paolo, come a una specie di Telemaco o di Astianatte, ma già rotto alle avventure più seducenti. Eppure so assai bene cos'era quel ragazzino: era, mitologicamente, qualcosa come un incrocio fra Catone e un piccolo Belzebù. 
Ma non mi sbaglio? E' vero, potrei anche sbagliare: in fondo io non sapevo allora che l'offesa che le donne facevano a Dio era tanto più grave in quanto inconsapevole. D'altra parte io vivevo eroicamente. 
Ricorro a due esempi, legati nella memoria da un medesimo grigiore di neve. Primo: sono nel corridoio della Scuola, c'è un frastuono assordante, un freddo umido e tetro. Le maestre non ci lasciano uscire perché nevica; escono solo coloro che sono attesi dai parenti. Ecco, arriva mio zio, prende per una mano me, per l'altra Franca, e così ci avventuriamo per il piazzale coperto di neve.
Intendiamoci: in me non c'era nessuna inconsapevolezza, la mia vita interiore si concatenava con la freddezza e la passione di ora; c'erano in me l'ironia, 'o scetticismo ecc. Eppure la traversata di quella piazza enorme e bianchissima, soffocata dal vento, equivale per me alla traversata della Baia di Hudson (cfr. E. Salgari, Un'avventura al Polo). Secondo esempio: siamo nella cucina, presi da un'allegria natalizia, fuori la neve è altissima. A un certo punto mia zia, mia madre e non so quali altre donne prendono una decisione che letteralmente mi travolge: vanno a fare alle pallate di neve. Nei loro volti c'è un riso, una luce... dio mio, che finalmente mi si riveli il loro secondo aspetto (l'aspetto notturno)? 
Esse vanno a giocare prese da quel misero entusiasmo che ora conosco bene; io resto nella cucina, eroicamente solo, colto dall'angoscia dell'esclusione. 
Nella sartoria dove passavo gran parte dei miei meriggi estivi, la vita era popolata aperta: in fondo, era una battaglia vittoriosa contro la noia condotta nel cuore della noia stessa. Io, seduto sopra una cassapanca che era un vero abisso (era piena di incredibili cianfrusaglie, ritagli ecc., tutte cose dovute alla miserabilità quotidiana, relitti peccaminosi) assistevo a quei complicati piaceri della parola, che giungevano al vertice della beatitudine quando una qualsiasi delle donne ammetteva anche le proprie debolezze. Ma accanto a quei disordini ricordo momenti di un ordine perfetto: i momenti in cui nasceva in me l'Amore come Bellezza. 
Sembreranno, queste, parole esagerate per un bambino di sette anni; ne arrossisco, ecco tutto. La realtà è che in certi vespri, in certe ore di pioggia... ma non ardisco parlarne col necessario abbandono. In certe ore di pioggia, eravamo costretti, io e le mie cugine, a restare chiusi in casa, in un violentissimo profumo di umidità. Allora
i giochi prendevano una piega particolare; le torturanti aspirazioni infantili (io sono il Re, tu la Regina) assumevano delle tinte lucide e insane. Fuori una musica di muschi e di oleandri picchiettava sulle gorne con gradazioni amare: una goccia cadendo irregolare su un barattolo pungeva lo scroscio confuso della cloaca, mentre mille dardi di cera, sui giaggioli, arpeggiavano crudelmente. 
In un angolo buio della cucina, inebriati dal selvatico incenso dell'umidità, io e le compagne giocavamo a farci collane di coralli. Le minutissime perle punteggiavano di gelide luci minerali la neutra atmosfera in cui affondava la nostra scontentezza. Un po' alla volta si diveniva cattivi: ricordo i reciproci dispetti (in cui io, ahimè, non eccellevo) cullati dai sordi ritmi del temporale. 
Pier Paolo Pasolini 

@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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