"...io vorrei soltanto vivere . pur essendo poeta - perché la vita si esprime anche solo con se stessa. - Vorrei esprimermi con gli esempi. - Gettare il mio corpo nella lotta. - Ma se le azioni della vita sono espressive, - anche l'espressione è azione...".
Le rivoluzioni di Pasolini - Di Enzo Siciliano
LA
STAMPA
Venerdì
5 Marzo 1971
Anno
105
Numero
54
(Trascrizione curata da Bruno Esposito)
In
una intervista concessa venerdì scorso al supplemento letterario de
Le Monde, Pier Paolo Pasolini, parlando del suo volume di versi,
Trasumanar e organizzar, di prossima pubblicazione, ha detto fra
l'altro:
« Non posso più credere alla rivoluzione, ma non posso non stare dalla parte dei giovani che si battono per essa. E' già un'illusione scrivere poesia, eppure continuo a scriverne, pure se la poesia non è più per me quel meraviglioso mito classico che ha esaltato la mia adolescenza... Non credo più nella dialettica e nella contraddizione, ma alle pure opposizioni... Tuttavia sono sempre più affascinato da quell'alleanza esemplare che si compie nei grandi santi, come san Paolo, tra vita attiva e vita contemplativa ».
Con
una sottile abilità che non gli è affatto ignota, Pasolini ha
disposto, in questo modo, le carte che vorrà veder giocate una volta
che il suo libro abbia raggiunto le librerie. Solo che abilità non
vuol dire sempre appropriatezza.
Pasolini
rifiuterebbe gli strumenti del pensiero marxista, come la dialettica,
e accoglierebbe quei concetti nuovi che i teorici della contestazione
hanno approntato, l'« opposizione pura » ad esempio. Non si
sottrarrebbe alle lusinghe della nozione della morte della poesia e
dell'arte; però insieme dichiara che un poeta non può tradire o
abbandonare la sua intima necessità di scrivere.
Ma
ad osservare più da vicino le cose, alla « rivoluzione » Pasolini
ha mai guardato come a qualcosa di diverso da un mito o una
sollecitazione limite alla poesia? E la sua radice cattolica gli ha
mai consentilo di intendere appieno una concezione dialettica, intendo
dire laica, della vita? Dunque, per quale verso prendere questa complessa rete di agganci che nell'intervista egli ha voluto lanciare?
Molte
delle poesie che fanno parte del suo nuovo volume le conosciamo già,
le abbiamo lette su riviste, talvolta anche su rotocalchi, come
avvenne per quella in cui ai giovani studenti venivano contrapposti i
giovani poliziotti. L'impressione complessiva, allora, fu che
Pasolini conduceva d'istinto una polemica spietata, con i modi d'una
poesia aperta al diario e al giornale personale, verso l'anticultura
che ha caratterizzato globalmente il mondo della contestazione
giovanile. Ne coglieva, a scorno di tanti, il carattere regressivo, o
per usare un termine di gergo, <<controrivoluzionario>>.
Leggendo quei versi si poteva discutere dell'accentuata visceralità
che li tingeva o delle soluzioni populistiche che vi erano
prospettate, e che caratterizzano Pasolini fin da gli anni de Le
ceneri di Gramsci.
Ecco
invece oggi, quasi a rescindere le proprie responsabilità creative
da quelle dell'uomo che parla dei propri libri e li pone in una
prospettiva in cui vorrebbe essi fossero. Pasolini fare professione
di ambiguità. Ci chiediamo:
quale bisogno egli ha di angolare l'eclissi che in lui subisce la suggestione marxista con stratagemmi tipici degli « adulti » che non vogliono perdere l'ultimo tram?
Enzo
Siciliano
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