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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

domenica 4 gennaio 2015

Sperimentalismi nel nome di Giovanni Pascoli

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


 
Sperimentalismi nel nome di Giovanni Pascoli
di Massimo Raffaeli da "Il Manfesto" del 10 febbraio 1994


Alla voce di Orson Welles, nelle sequenze centrali del cortometraggio La ricotta (1963), Pier Paolo Pasolini ha forse affidato la piu' disarmante e incandescente dichiarazione di poetica:

"Io sono una forza del passato/ Solo nella tradizione e' il mio amore./ Vengo dai ruderi, dalle Chiese, dalle pale d'altare, dai borghi/ dimenticati sugli Appennini e sulle Prealpi,/ dove sono vissuti i fratelli./ (....) Mostruoso e' chi e' nato/ dalle viscere di una donna morta./ E io, feto adulto, mi aggiro/ piu' moderno di ogni moderno/ a cercare fratelli che non sono piu'".

Nei versi si contiene la coscienza di una sfasatura cronologica (il sentirsi estraneo, un sopravvissuto ostile) e insieme di uno squilibrio percettivo, quasi d'una perdizione: il sapersi divorato da una fame di forme, eventi, corpi chiamati a ribadire una radicale estraneita'.
Quando si parla di sperimentalismo, troppo spesso si tace l'assoluta fissita' dello sguardo, un sentire che non sembra conoscere varianti di spazio e tempo; viceversa, quando si dice manierismo, l'alludendone l'estroversione e febbre da engagement (la rincorsa ai fatti, ai destini generali) lo si liquida traducendolo in nostalgico anacronismo. L'anacronismo dei fuochi fatui, dei meteoriti. Un senso comune filisteo percio' gli conferisce rango di classico proprio nel momento in cui sostanzialmente glielo nega scegliendo di volta in volta tra stasi e mobilita', tra il dentro d'una esperienza poetica refrattaria a ogni assimilazione e il fuori d'una costante presenza civile. Pasolini e' invece un convergere anzi un precipitare di prima e dopo, interno ed esterno, euforia e patimento. Mostruosa e' questa lacerazione che non puo' ne' sa richiudersi, cicatrizzata in una sintesi. La sua figura fondamentale e' l'ossimoro, in cui confliggono invarianza e senso della mutevolezza storica, cosi' come riferimento primario e' il Pascoli, analizzato nel saggio inaurgurale della rivista Officina (maggio '55) ma gia' attivo in lui negli anni di formazione e oggetto della tesi di laurea discussa a Bologna nel novembre del '45 con Carlo Calcaterra, un maestro meno affascinante di Roberto Longhi (che certo Pasolini avrebbe preferito, non avesse perso nei trambusti dell'8 settembre gli appunti per la tesi sulla pittura italiana contemporanea) ma filologo di grande qualita': la tesi viene adesso edita da Einaudi con apparato di lettura al relatore e successivi interventi pascoliani grazie all'attenta cura di Marco A., Bazzocchi ed Ezio Raimondi.
Non si tratta di un'organica monografia ma piuttosto d'una selezione gia' appoggiata a un personale discorso d'autore. Frammentando il Pascoli, Pasolini cerca e subito ritrova motivi e conoscenze che sono gia' iscritte nella propria parola; antologizzando, e' come se riesaminasse per traslato i nuclei e le scelte linguistiche della plaquette d'esordio, le Poesie a Casarsa scritte in friulano e uscite tre anni prima da una piccola antiquaria bolognese.
Nei minimi detriti di Myricae e dei Canti di Castelvecchio (ma anche negli intarsi dei Conviviali), nei particolare capaci di diratarsi a universali, dimora una cotraddizione che e' anche la sua, una specie di cortocircuito tra l'immobilita' psicologica (cosi' uguale a se' stessa da apparire mineralizzata) e una liquidita' verbale dilagante: "si puo' dire che il Pascoli possedesse nella parola, nel mezzo espressivo la sua unica certezza nell'infinito d'incertezza dov'era immerso". Il diffondersi della parola, inclusiva dall'alto e dal basso secondo un canone plurilinguistico avviatosi con Dante, rinvia per paradosso ad una situazione psicologica bloccata; il flusso nasconde e nel frattempo allevia il trauma senza mai poterlo appagare: nel cosi' detto infantilismo pascoliano, nella vita depressa e strozzata, Pasolini legge infatti i segni in cifra della propria omosessualita', mentre scopre in quella selva di forme un'autentica matrice sperimentalista. Non la rinneghera'. Nel saggio su Officina, forte dell'avallo di Contini, fara' del Pascoli un crocevia o meglio una funzione in grado di legittimare quanto il Grande Stile novecentesco (il classicismo ermetico, il neorealismo della cattedra) sequestra oppure rimuove: il calore dell'esistenza, il germinare degli idiomi, l'universo muto e reietto del sentire popolare. Come per il fanciullino del Pascoli, per chi mai ha avuto accesso alla parola, la lingua e' sempre altra, sorgiva, e' una lingua di Adamo che restituisce alle cose i loro semplici nomi. "per noi ormai lo scrivere in friulano e' un fortunato mezzo per fissare cio' che i simbolisti e i musicisti dell'800 hanno tanto ricercato (e anche il nostro Pascoli, per quanto disordinatamente) cioe' una "melodia infinita" (....): quando Pasolini scrive queste parole gia' da quattro mesi ha discusso la tesi ed e' tornato in Friuli, a Casarsa.
Nei campi del Friuli, nei corpi e nelle voce intatta degli adolescenti scampati alla guerra, il poeta proietta l'utopia di una lingua non ancora scissa dalla nuda esperienza, d'un pronunciare che fuori delle angustie vernacole corrisponda alla grazia del sentire; un mondo che finalmente sappia ricomporre la lacerazione tra l'umilta' della vita e la ricchezza delle forme che la esprimono.
Nico Naldini, che ne fu sodale testimone, recupera oggi questi scritti friulani di Pasolini in Un paese di temporali e primule, orientandoli secondo la materia (frammenti di narrativa, testi di linguistica, note di politica e di pedagogia) e premettendo al volume una lunga memoria biografica che a sua volta e' un esempio di filologia in atto di critica tradotta senza residui di narrazione. Diseguali nel taglio, le pagine pasoliniane consumano con la calma bellezza di un assetto naturale antico ma ormai prossimo a sciuparsi, se infatti vi si insinua un filo di disperazione: "odore di terra romanza, di area marginale. Sulla dolcezza dell'Italia moderna c'e' come il rigido, fresco, riflesso d'un'Italia alpestre dal sapore neolatino ancora stupendamente recente". La forza del passato, l'umile Italia dei Fratelli che non sono piu'.


@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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