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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

mercoledì 6 dicembre 2023

Pier Paolo Pasolini, biografia breve - 1974 Prima parte - Caro Calvino, Io rimpiangere l’Italietta?

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

Macciocchi e Pasolini nel 1974


Il 1974 è l'anno in cui la sua rubrica sul Corriere, "Tribuna aperta" prende un deciso indirizzo di critica sociale e polemica politica. Il direttore del Corriere, Piero Ottone, offre a Pasolini la possibilità di gestire il suo spazio, nelle pagine del quotidiano, a suo piacimento e senza alcuna censura sulla scelta degli argomenti e su come trattarli (scrivi quello che vuoi). 
Pasolini in quel momento è l'intellettuale italiano più vivace, brillante, libero e capace di scatenare forti polemiche (e Piero Ottone, questo lo sa bene). Il Corriere è una testata di proprietà di privati, non portavoce di un partito e senza dubbio il primo quotidiano nazionale. Un quotidiano molto seguito dalla gente e per questo, con una enorme capacità di influenzare l'opinione pubblica (per Pasolini un terreno fertile per le sue acute analisi sociali e politiche). 
Un rapporto molto forte che in giugno, si rafforza ancora maggiormente: all’inizio del giugno 1974, stipula un ulteriore accordo contrattuale con la proprietà del «Corriere». Pasolini è a Milano per una proiezione di << Il fiore delle Mille e una notte >> ed in questa occasione, incontra Giulia Maria Crespi, che rappresenta la proprietà editoriale del Corriere (che già conosce avendo ambientato nella villa di Giulia Maria Crespi sul Ticino parte di Teorema) e Barbiellini Amidei, vicedirettore del Corriere della Sera e responsabile delle pagine culturali. Viene stretta un'intesa che prevede anche la collaborazione per una rubrica di critica letteraria, come quella che già tiene sulle colonne del settimanale Tempo, a partire dalla fine del 1975 (Pasolini pensa di intitolarla «Che fare?»).

La Seconda forma de «La meglio gioventù» (1974), la seconda parte della raccolta di poesie in lingua friulana, dal titolo "La nuova gioventù", che verrà pubblicata in maggio 1975. Questa parte del volume, raccoglie 37 testi che riscrivono in negativo la poesia friulana della giovinezza, anche con vistosi rifacimenti orientati al senso della perdita e del lutto.

 « Pasolini ha ritrovato il registro musicale della sua giovinezza di poeta: ma su uno strumento accordato ai toni gravi. ”
Enzo Siciliano

"Le poesie «italo-friulane» (1973-74), invece, al momento dell’uscita del presente volume, saranno già state pubblicate in blocco in un’antologia («Almanacco dello Specchio», Mondadori, Milano 1975): mentre erano già uscite: Agli studenti greci, in un fiato, su «La Stampa», 16.12.1973, l’intero gruppo compreso tra Significato del rimpianto e Appunto per una poesia in terrone, su «Paese Sera», 5.1.1974,
Durruti, Domande di un comunista comune, Versi buttati giù in fretta, Versi sottili come righe di pioggia, in «Sul Porto», 30 numero unico, Cesenatico 1974.
Durruti è uno dei capi anarchici della guerra civile spagnola (qui il suo cognome non è che una sigla); Salerno è il cognome di un giovane bandito ucciso dalla polizia a Roma, allo Scalo di San Lorenzo, nei primi mesi del '74. Tetro entusiasmo è un’espressione tratta da Dostoevskij (Delitto e castigo).
Quanto al «friulano» vale sempre ciò che ho scritto nella Nota di vent’anni fa. Potrei aggiungere che nel volume secondo il friulano è in genere un po’ piu parlato: e a testimoniarlo stanno proprio i più frequenti italianismi..."

Nel 1974, Pasolini è convinto che il suo film su San Paolo, potrà essere finalmente realizzato. Alcune case di produzione si sono fatte avanti per la sua realizzazione. Pasolini apporta alcune modifiche rispetto alla stesura del 1968, dettate da scelte ambientali e storiche per dare:

"...cinematograficamente nel modo più diretto e violento l'impressione e la convinzione della sua attualità. Per dire insomma esplicitamente, e senza neanche costringerlo a pensare, allo spettatore che «San Paolo è qui, oggi, tra noi» e che lo è quasi fisicamente e materialmente. Che è alla nostra società che egli si rivolge; è la nostra società che egli piange e ama, minaccia e perdona, aggredisce e teneramente abbraccia..."

(Pier Paolo Pasolini, 
Progetto per un film su San Paolo)

 Ma a causa del suo preventivo di spesa troppo alto rispetto ai rischi che il soggetto del film, porta con se, rischi commerciali, il film non viene nuovamente realizzato.

Ha in mente di girare un film con Eduardo De Filippo dal titolo "Porno-Teo-Kolossal":

"Eduardo è un Re Magio. Passa tutta la giornata in calcoli e in ricerche sui suoi testi...
Poi trascina Nunzio (Ninetto Davoli) per le strade di Napoli che non è "che un grande teatro dove si recita la più grande scena della sua storia..."

[...] 

"Mancano i dialoghi, ancora provvisori, perché conto molto sulla tua collaborazione, anche magari improvvisata mentre giriamo.
Epifanio lo affido completamente a te: aprioristicamente, per partito preso, per scelta. Epifanio sei tu."

Sul numero 1 della rivista Playboy, gennaio 1974, viene pubblicata una recensione al film Bergman, Sussurri e grida:

"Considero Bergman un grande regista, e, benché così lontano da me, lo comprendo e lo amo senza fatica. I suoi personaggi femminili, dai glutei, dai seni, dai garretti monumentali, eppure così deboli - come elefanti feriti che cercano disorientati il loro cimitero - mi sono, teoricamente, del tutto estranei: in pratica, ne sono affascinato. Luci d'inverno è uno dei film più belli della storia del cinema. Sussurri e grida segna invece un'imprevedibile involuzione nella storia stilistica di Bergman..."




Il 4 gennaio, sulla rivista Tempo, viene pubblicata una recenzione al libro di Fëdor Dostoevski, "Delitto e castigo". Il titolo dell'art. di Pasolini è "Una sconfinata ammirazione per Delitto e castigo":

"Tale idea è di uccidere una vecchia usuraia, a cui ha dato in pegno degli oggetti (di famiglia). Resiste a lungo a tale “invito”, ma alla fine, dopo un lungo cerimoniale, cede. Egli ammazza così la madre. La madre che lo ossessiona con gli obblighi, che gli crea degli impegni, che lo umilia con la sua ansiosa comprensione, che lo mette di fronte alla propria impotenza: e che comunque, ancora prima, aveva suscitato in lui un amore che, per essere orrendamente colpevole, si era – come vuole il meccanismo – trasformato in odio..."
Il 5 gennaio 1974, su Paese Sera, "Pasolini e il nostro futuro"  - " << Poesie e appunti>> dello scrittore regista a proposito di un dibattito dell'<<Unità>>":

Il 18 gennaio 1974, sulla rivista Tempo,  viene pubblicata una recenzione a Roberto Longhi, con il titolo Illusioni storiche e realtà nell’opera di Longhi, ( poi in Descrizioni di descrizioni, con il titolo Da Cimabue a Morandi in Descrizioni di descrizioni. 

"Se penso alla piccola aula (con banchi molto alti e uno schermo dietro la cattedra) in cui nel 1938-39 (o nel 1939-1940?) ho seguito i corsi bolognesi di Rober­to Longhi, mi sembra di pensare a un'isola deserta, nel cuore di una notte senza più una luce. E anche Longhi che veniva, e parlava su quella cattedra, e poi se ne an­dava, ha l'irrealtà di un'apparizione. Era, infatti, un'apparizione. Non potevo credere che, prima e do­po aver parlato in quell'aula, egli avesse una vita pri­vata, che ne garantisse la normale continuità. Nella mia immensa timidezza di diciassettenne (che dimo­strava almeno tre anni di meno) non osavo nemmeno affrontare un tale problema. Non sapevo nulla di inca­richi, di carriere, di interessi, di trasferimenti, di inse­gnamenti. Ciò che Longhi diceva era carismatico..."

 

Sul numero 2 della rivista Playboy, di febbraio 1974, viene pubblicata la recenzione del trattamento di Amarcord, scritto a due mani da Federico Fellini e Tonino Guerra:
 
"Perché «Ci ricordiamo» e non «Mi ricordo»? Perché, nello stendere il libro, gli autori avevano creduto bene di rinunciare all'io narrante (del «Mi ricordo») né era sembrato loro il caso di sostituirlo con un eventuale «noi» simpatetico. E avevano così semplicemente chiamato in causa, o scritturato nell' équipe, il lettore stesso. Che, in tal modo coinvolto, si trovava a leggere un «vediamo Gradisca», o un «Bobo, come abbiamo già visto» eccetera, che lo rendeva testimone, autore, complice, conoscitore di questa chanson de geste riminese gaglioffa e un po' troppo poco antifascista. Ma, allora, che senso aveva l'assunzione anfitrionica del lettore nel testo? Probabilmente per dare a Rimini una aprioristica connotazione di «universalità»..."

Il 07/02/1974, va in onda sulla Rai, Pasolini e la forma della città, Io e…, un programma di Anna Zanoli regia di Paolo Brunatto.

"Io ho scelto la città, la città di Orte. Cioè, praticamente ho scelto, come tema, la forma di una città, il profilo di una città.

Ecco, quello che vorrei dire è questo: io ho fatto l’inquadratura che prima faceva vedere soltanto la città di Orte nella sua perfezione stilistica, cioè come forma perfetta assoluta ed è più o meno un’inquadratura così.

Basta che io muova questo affare qui nella macchina da presa ed ecco che la forma della città, il profilo della città, la massa architettonica della città è incrinata, è rovinata, è deturpata da qualcosa di estraneo..."

Corriere della sera
Il 21 febbraio partecipa al dibattito organizzato dalla Casa della Cultura di Milano: "Il problema del potere sotto processo". Partecipano: Cesare Musatti, Claudio Petruccioli, Giuliano Scabia e Vittorio Spinazzola.

Il 23 febbraio, sul Corriere della sera, con il titolo: "Il problema del potere nel Calderon di Pasolini", dove l'intervento di Pasolini, viene riportato:

"Ho visto che i critici hanno incontrato notevoli difficoltà. Il testo li ha respinti come se fosse qualcosa di inafferrabile. Dicono che il libro si articoli in tre momenti, invece ce n'è un quarto. La nevrotica si adatta alle varie fasi. Nella prima edizione, nell'ultimo episodio, la protagonista si chiama Maria Rosa. Nella seconda edizione, Rosaura. Ho ripreso lo stesso nome che aveva negli altri episodi. La protagonista sogna di essere ricca, sottoproletariata, piccolo borghese e in un Lager..."




Oltre Le Rabbie Manichee

Nel dicembre 1973, sulla rivista "Il Dramma", vengono pubblicati una serie di interventi di Signorile, Plebe, Piccoli, Bignardi, Mammì, Orlandi, con il titolo: " I politici giudicano la cultura italiana: "Gli intellettuali del silenzio", curati da Nino Andreoli. 
Nel marzo del 1974, sulle stesse pagine e a cura di Giacomo Carioti, vengono pubblicati gli interventi di Pasolini, Bevilacqua, Gianfranceschi, Gervaso, dal titolo: "Le barbarie degli equivoci. Questo dibattito precede quello che sarà l'articolo di Pasolini riportato negli Scritti Corsari con il titolo di: 
"Marzo 1974. Gli intellettuali nel '68: manicheismo e ortodossia della «Rivoluzione dell'indomani» (Sul «Dramma» per un'inchiesta sugli interventi politici degli intellettuali)":

"Gli ultimi cinque o sei anni della vita letteraria e politica italiana sono stati caratterizzati dalla paura degli intellettuali italiani a essere disprezzati dai giovani. Diminuita la paura in proporzione della rinuncia dei giovani a quella lotta che avevano cominciato con tanta ingenuità e presunzione, un senso liberatorio (dal ricatto, dal linciaggio) ridà animo agli intellettuali, che vivono così la restaurazione come una rivincita. Ritornano fuori antiche disinvolte idee di « libertà » dell’intellettuale, la legittimità del suo giocare ambiguo o divertito col disinteresse e l'interesse politico, la sua indipendenza ecc..."

Immagini di Roberto Villa
Il 
28 aprile 1974, sul settimanale Tempo, viene pubblicata un'intervista dal titolo "PER ESORCIZZARE UN FUTURO DI INTOLLERANZA":

"...Con Le mille e una notte finisce la mia trilogia, cioè il mio più ambizioso esperimento. Il prossimo film sarà addirittura un film sull‟ideologia. Quindi esplicitamente ideologico. Ma non sarò forse mai più così profondamente e radicalmente ideologico come sono stato in questi miei tre ultimi film, e specialmente nelle Mille e una notte."
 
L'Unità - mercoledì 8 maggio 1974


Immagini di Roberto Villa
Il 31 maggio 1974, su Tempo, Viene pubblicata un'intervista dal titolo "
IL MIO LUNGO VIAGGIO":

"È stato il mio tentativo più ambizioso, quello che mi è costato più attenzione formale e impegno stilistico. È facile il film politico-ideologico. Assai più difficile è fare il film puro, ricercare la pura affabulazione come nei classici, tenendosi fuori dalle ideologie ma evitando al tempo stesso di cedere all'evasione. Più di un elemento ideologico è nascosto in questi miei tre film: il principale è la nostalgia di quel passato che ho cercato di ricreare sullo schermo..."



Festival di Cannes 27e - 1974
  Il 20 maggio Il Fiore delle Mille e una notte viene presentato a Cannes dove ottiene il Gran Premio speciale della Giuria.

  Il 20 giugno 1974 il film debutta al cinema Capitol di Milano, seguito dalla proiezione delle Mura di Sana’a e da un dibattito con la partecipazione del regista. 

  Cinque giorni dopo la prima milanese, una certa Angelina Brioschi di Milano denunciò Il fiore delle Mille e una notte alla locale procura come: 
  “niente altro che un susseguirsi di volgarità e di esibizioni di organi sessuali, il tutto ben chiaramente fotografato”.
  In qualche modo lo aveva visto in anteprima, e il film venne bloccato prima ancora di entrare nel circuito nazionale; una sorta di record.


Il 12 e 13 maggio del 1974, si tiene il referendum abrogativo sul divorzio in Italia. Al referendum bisognava votare Si, per abrogare la «legge 1º dicembre 1970, n. 898», nota anche come «legge Fortuna-Baslini» e votare No, per mantenerla.




Il 10 giugno è in Marocco, a Marrakech. Lo stesso giorno esce sul «Corriere della Sera» l’articolo "Gli italiani non sono più quelli", 
in cui Pasolini interviene sul referendum sul divorzio e sulla strage di Piazza della Loggia a Brescia ecc...
 
"...L’Italia non è mai stata capace di esprimere una grande Destra. E’ questo, probabilmente, il fatto determinante di tutta la sua storia recente. Ma non si tratta di una causa, bensì di un effetto. L’Italia non ha avuto una grande Destra perché non ha avuto una cultura capace di esprimerla. Essa ha potuto esprimere solo quella rozza, ridicola, feroce destra che è il fascismo. In tal senso il neo-fascismo parlamentare è la fedele continuazione del fascismo tradizionale. Senonché, nel frattempo, ogni forma di continuità storica si è spezzata. Lo «sviluppo», pragmaticamente voluto dal Potere, si è istituito storicamente in una specie di epoché, che ha radicalmente «trasformato», in pochi anni, il mondo italiano.
Tale salto «qualitativo» riguarda dunque sia i fascisti che gli antifascisti: si tratta infatti del passaggio di una cultura, fatta di analfabetismo (il popolo) e di umanesimo cencioso (i ceti medi) da un’organizzazione culturale arcaica, all’organizzazione moderna della «cultura di massa». La cosa, in realtà, è enorme: è un fenomeno, insisto, di «mutazione» antropologica. Soprattutto forse perché ciò ha mutato i caratteri necessari del Potere. La «cultura di massa», per esempio, non può essere una cultura ecclesiastica, moralistica e patriottica: essa è infatti direttamente legata al consumo, che ha delle sue leggi interne e una sua autosufficienza ideologica, tali da creare automaticamente un Potere che non sa più che farsene di Chiesa, Patria, Famiglia e altre ubbìe affini..."
( in Scritti corsari con il titolo 


Quest'articolo di Pasolini è il detonatore che fa scoppiare una raffica di polemiche, a più riprese, che dureranno fino alla notte tra l'1 e il 2 novembre del 1975 - e anche oltre.
Intervengono tra gli altri Maurizio Ferrara, Franco Ferrarotti, Italo Calvino, Alberto Moravia, Franco Fortini, Leonardo Sciascia, Luigi Coletti, Giorgio Bocca, Tullio De Mauro,  Alberto Bevilacqua ecc...
Una serie di botta e risposta, attacchi personali e critiche intellettuali, ai quali e alle quali, Pasolini risponde con un coraggio intellettuale e una lucidità di analisi, estremamente sorprendente.

Maurizio Ferrara, il 12 giugno 1974, dalle pagine dell'Unità, con un articolo intitolato "I pasticci dell'esteta", risponde a Pasolini:

"Non si può negare a Pier Paolo Pasolini il fiuto per le anomalie e le contraddizioni affioranti dal magma della società. Quel che preoccupa, tuttavia, quasi la spia di una crisi di involuzione profonda, è che i congegni di ragionamento politico che Pasolini costruisce con fluviale generosità, raramente ormai sfuggono all'ambiguità. Forse per Pasolini si può cominciare a pensare ciò che Mario Spinella ha scritto del « Corporale » di Volponi. E cioè che muovendosi in una ispirazione apparentemente democratico - estremistica, e anatomizzando i meccanismi di crisi della società, il risultato è un anelito che richiama le voglie della migliore intellettualità reazionaria fissata in un rimpianto oscuro per l'età dell'oro perduta.

Anche Pasolini sembra giunto su questo crinale, sospeso nel vuoto: e vi giunge con una carica evidente di estetismo insoddisfatto, di un manicheismo intellettualistico che si nega, stizzosamente, al riconoscimento che qualsiasi età dell'oro — se mai ne è esistita una — è improponibile. E che, quindi, l'epoca migliore per fare politica non era quella, sognata, dei conti che tornavano sempre ma, piuttosto, quella in cui è dato vivere e nella quale, sfumati gli schemi delle mitologie (la visiera di Stalin, di Volponi, il sottoproletario santo di Pasolini) la cosa fondamentale è vivere e lottare con gli occhi aperti..." 
Franco Ferrarotti, dal canto suo, nell’articolo "Gli italiani di Pasolini" («Paese sera», 14 giugno 1974) afferma che l’analisi di Pasolini è 
«tutta culturologica» 
e non tiene conto delle reali tensioni presenti in Italia, poiché il fascismo non è solo 
«un sentimento di giovani nevrotici che buttano bombe», 
ma al contrario ha 
«una matrice di vertici, precisa e individuabile, che si muove sul piano internazionale con una straordinaria ricchezza di trame.»

Italo Calvino (nel corso di un’intervista di Ruggero Guarini, uscita il 18 giugno
sul «Messaggero» con il titolo Quelli che dicono no), dice:
Non condivido il rimpianto di Pasolini per la sua Italietta contadina quale abbiamo avuto modo di conoscerla a fondo nella nostra giovinezza e che ha continuato a sopravvivere per buona parte degli anni cinquanta. Questa critica del presente che si volta indietro non porta a niente […]. Quei valori dell’Italietta contadina e paleocapitalistica comportavano aspetti detestabili per noi che la vivevamo in condizioni in qualche modo privilegiate; figuriamoci cos’erano per milioni di persone che erano contadini davvero e ne portavano tutto il peso. È strano dire queste cose in polemica con Pasolini, che le sa benissimo, ma lui […] ha finito per idealizzare un’immagine della nostra società che, se possiamo rallegrarci di qualche cosa, è di aver contribuito poco o tanto a farla scomparire.
Piero Sanavio, Il 18 giugno su Il Globo, afferma che 
"Pasolini ha commesso un errore culturale e uno sociologico".

Andrea Barbato, il 23 giugno, su AUT, dice: 
"il declino intellettuale di Pasolini è più penoso che allarmante".
 

 La risposta di Pasolini non si fa attendere, Il 24 giugno sul corriere viene pubblicato un articolo dal nome: Il Potere senza volto 
( Il vero fascismo e quindi il vero antifascismo in Scritti corsari ): 

"...Scrivo "Potere" con la P maiuscola - cosa che Maurizio Ferrarà accusa di irrazionalismo, su «l’Unità» (12-6-1974) - solo perché sinceramente non so in cosa consista questo nuovo Potere e chi lo rappresenti. So semplicemente che c’è. Non lo riconosco più né nel Vaticano, né nei Potenti democristiani, né nelle Forze Armate. Non lo riconosco più neanche nella grande industria, perché essa non è più costituita da un certo numero limitato di grandi industriali: a me, almeno, essa appare piuttosto come un tutto (industrializzazione totale), e, per di più, come tutto non italiano (transnazionale)..."

[...] 

"...Questo un giovane può non saperlo. 

Ma tu no. 

Può darsi che io abbia avuto quel minimo di dignità che mi ha permesso di nascondere l'angoscia di chi per anni e anni si attendeva ogni giorno l'arrivo di una citazione del tribunale e aveva terrore di guardare nelle edicole per non leggere nei giornali atroci notizie scanda­lose sulla sua persona. Ma se tutto questo posso dimenti­carlo io, 

non devi però dimenticarlo tu...

D'altra parte questa «Italietta», per quel che mi ri­guarda, non è finita. 

Il linciaggio continua. 

Magari ades­so a organizzarlo sarà 

l'«Espresso», 

vedi la noterella in­troduttiva 

(«Espresso», 23 giugno 1974) 

ad alcuni inter­venti sulla mia tesi 

(«Corriere della Sera», 10 giugno 1974): 

noterella in cui si ghigna per un titolo non dato da me, si estrapola lepidamente dal mio testo, natural­mente travisandolo orrendamente, e infine si getta su me il sospetto che io sia una specie di nuovo Plebe: 

operazione di cui finora avrei creduto capaci solo i tep­pisti del «Borghese»..."

La polemica si allarga:
 

«L’Espresso», 23 giugno 1974 - L. Colletti:
"Che bella époque! Peccato che sia un fantasma." Colletti accusa Pasolini di avere nostalgia di un'Italia rustica e paesana.

«L’Espresso», 23 giugno 1974 - F. Ferrararotti:
"Una volta un professore fece un sogno."

«L’Espresso», 23 giugno 1974F. Fortini:
"Ma smettila di dire che la storia non c’è più." 
Per Fortini esiste in Italia una nuova cultura critica che non si identifica con quella del "gruppettismo" o degli «studenti», e questa cultura avrà la meglio sulle concordanze conformistico-nevrotiche dei giovani di destra e di sinistra.

Fortini non riconosce e non riconoscerà mai a Pasolini, una minima capacità di analisi politica: “una delle operazioni di bonifica intellettuale e politica in Italia debba cominciare con la demolizione rappresentata da Pasolini politico” (Fortini, Attraverso Pasolini, p. 205.)

  

«L’Espresso», 23 giugno 1974 - Alberto Moravia:
"Lascia che ti spieghi la differenza tra noi due." 
Moravia rimprovera a Pasolini di non riconoscere l’importanza delle scelte ideali che distinguono fascisti e antifascisti.
L’analisi di Pasolini, che per lui, sul piano politico è  fondamentalmente sterile , “può avere”, anzi “ha senz’altro un suo valore di verità”, ma soltanto “sul piano esistenziale cioè premorale e preideologico"
«L’Espresso», 23 giugno 1974 - L. Sciascia:
"Lui sbaglierà, ma almeno continua a pensare." 
Sciascia, dichiara di essere in parte d'accordo con Pasolini:

"...Entrerei in contraddizione con me stesso se dicessi di non essere d’accordo con l’articolo di Pasolini […]. Forse la mia visione delle cose […] è meno radicale della sua, nel senso che mi pare di non dover perdere di vista il fascismo come fenomeno di classe, di una classe; ma la paura più profonda è tanto vicina alla sua..."

Il 24 giugno 1974, arriva la risposta di Pasolini:



Una risposta secca e decisa a Maurizio Ferrara e Franco Ferrarotti.

"...Scrivo "Potere" con la P maiuscola - cosa che Maurizio Ferrara accusa di irrazionalismo, su «l’Unità» (12-6-1974) - solo perché sinceramente non so in cosa consista questo nuovo Potere e chi lo rappresenti. So semplicemente che c’è. Non lo riconosco più né nel Vaticano, né nei Potenti democristiani, né nelle Forze Armate. Non lo riconosco più neanche nella grande industria, perché essa non è più costituita da un certo numero limitato di grandi industriali: a me, almeno, essa appare piuttosto come un tutto (industrializzazione totale), e, per di più, come tutto non italiano (transnazionale)..."






Maurizio Ferrara, insiste nella polemica:

«L’Unità», 27 giugno 1974 - M. Ferrara:

"...Vivere esteticamente la vicenda politica, aiutandosi con un po' di semiologia, può essere elegante, ma è un errore. Pier Paolo Pasolini torna a compierlo questo errore. Replicando a un nostro intervento sull'Unità {Corriere della Sera, 24 giugno) egli conferma — con qualche estrosità facile in meno e qualche concessione alla ragione politica in più — che, in fondo, il potere va trattato con la P maiuscola perchè è «un tutto » indefinibile..."

 «Rinascita», 28 giugno 1974 - Fabio Mussi:

"Americanismo e disperazione."  
Mussi, con un intervento meno giornalistico, rintraccia le radici della posizione pasoliniana nella sociologia americana e nella teoria critica di Horkheimer e Adorno.

 Se «l’Italia scomoda e rustica non c’è più» è anche perché le classi subalterne hanno lottato per superarla, e dunque nei caratteri nuovi degli italiani c’è anche il segno della loro storia e della storia degli intellettuali che hanno saputo svincolarsi dalla soggezione ai gruppi dominanti […] Pasolini non capisce che la scelta soggettiva può […] liberare dal conformismo e aiutare la ragione a vincere la nevrosi.

Mussi lo accusa di «voler tradurre le sue curiosità e i suoi liberi scandagli in linguaggio direttamente politico»

 «Il Messaggero», 30 giugno 1974 - A. Bevilacqua:

"Il nero è sempre il nero." In questa intervista Bevilacqua,pur ribadendo che c'è una coerenza della tradizione fascista che la rende impermeabile all'omologazione culturale, difende Pasolini dalle aggressioni e dall'ironia. 

«L’Espresso», 30 giugno 1974 - Giorgio Bocca:

"A proposito di Pasolini." Nel suo articolo Bocca parla  di:

 "...uso del sofisma come primo segno di una intelligenza che non ha più il coraggio della verità...”

di lasciare “...ai Giannettini […] e a tutti gli altri, che siano mitomani o prezzolati o canaglie, di strisciare tra il finto rosso e il vero nero, di rivoltarsi nel tritume ideologico della falsa rivoluzione e della sperata restaurazione...”

di smetterla con “...le ambiguità sull’antifascismo che è fascismo e sulla sovversione nera o rosso-nera che sarebbe rivoluzione...”

«Paese sera», 2 luglio 1974 - F. Valentini:

"Potere e fascismo."

«Il Giorno», 7 luglio 1974 - G. Bocca:

"L’acqua calda di Pasolini."

 In questo articolo Bocca sostiene che  Pasolini è 

“...andato in orbita” dopo esser stato accolto “a fischi e pernacchie” da un’assemblea studentesca nel 1968, e da allora “si è messo […] a insolentire” e “a scoprire l’acqua calda” dicendo che “gli studenti contestatori sono i nuovi squadristi, l’antifascismo è una minestra fredda, fascisti e antifascisti sono irriconoscibili...”

 

L'8 luglio 1974, su "Paese Sera", arriva la rispota di Pasolini  a Italo Calvino: 

Lettera aperta a Italo Calvino. Pasolini: quello che rimpiango

"Caro Calvino,

Maurizio Ferrara dice che io rimpiango un'«età del­l'oro», tu dici che rimpiango l'«Italietta»: tutti dicono che rimpiango qualcosa, facendo di questo rimpianto un valore negativo e quindi un facile bersaglio. Ciò che io rimpiango (se si può parlare di rimpianto) l'ho detto chiaramente, sia pure in versi 

(«Paese Sera», 5 gennaio 1974). 

Che degli altri abbiano fatto finta di non capire è naturale. Ma mi meraviglio che non abbia voluto capire tu (che non hai ragioni per farlo). 

Io rimpiangere l'«Italietta»? 

Ma allora tu non hai letto un solo verso del­le Ceneri di Gramsci o di Calderón, non hai letto una sola riga dei miei romanzi, non hai visto una sola inquadratu­ra dei miei films, non sai niente di me!..." 

suscitando le repliche di Moravia, e ancora di Calvino, Fortini, Eco, Bocca, Natalia Ginzburg ecc...

La biografia breve del 1974, risulta troppo lunga per poterla articolare in modo corretto in un unico post e quindi, si è reso indispensabile dividerla in due parti. 

Continua nella seconda parte.

@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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