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Biografia, lavori in corso - a breve anche il 1974 e il 1975

mercoledì 15 maggio 2013

In viaggio con Pasolini e Levi

"Le pagine corsare " 
dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro





In viaggio con Pasolini e Levi


di Maurizio Camerini e Piero Pacione

Partiamo da Matera, destinazione Uganda. Con noi gli Appunti per un'Orestiade africana di Pier Paolo Pasolini, le cui scene furono girate in Uganda e in Tanzania. Tra le tante immagini conserviamo uno sguardo su di un piccolo villaggio nei pressi del lago Tanganika: è il luogo dove avvenne l'incontro tra Stanley e Livingstone. Il viaggiatore deve prestare attenzione ai luoghi che attraversa, e questo è certamente il luogo dove è stata incisa, nel cuore dell'Africa, la grande ferita del colonialismo.
Pasolini parte idealmente con noi da Matera, con la musica del Gloria della Missa Luba congolese, colonna sonora del Vangelo secondo Matteo. C'era già un pezzo di Africa quando Pasolini girava il Vangelo a Matera ed il coro della Missa Luba rappresenta nel film il tema della gioia: Gesù che guarisce il lebbroso.
Il tema del nostro viaggio è la guerra, è la violenza esercitata sui bambini anche con pratiche magiche e rituali in un luogo dove, ricorda Pasolini, “ le antiche divinità primordiali coesistono con il nuovo mondo della ragione”.
I volti dei contadini ugandesi del 1970, sono gli stessi dei contadini lucani inquadrati nel Vangelo nei Sassi di Matera, gli stessi volti ritratti da Carlo Levi: i volti del popolo, come scrive Levi nella prefazione ad Accattone:

“Un sottoproletariato di uomini non ancora entrati nell'esistenza e nella coscienza. La parola espressiva, che è libertà e coscienza, non esiste ancora in questo mondo. Questo mondo di “rumore e furore”… ha un aspetto, una apparenza, un discorso di gesti, di facce, di atteggiamenti…”. Questi volti che raccontano storie, nei cui occhi sono rappresi destini, sono i volti della Lucania che non esiste più. Ma sono anche i volti che abbiamo incontrato durante la lotta del popolo lucano contro le scorie nucleari, i volti dei bambini negli slums di Kampala e di Nairobi. I volti dei poeti, dei griot, dei cantastorie, di quel mondo nascosto alla Storia che continua a raccontare storie.

E così conclude Pasolini nei suoi Appunti:

“la conclusione ultima non c'è, è sospesa, una nuova nazione è nata, i suoi problemi sono infiniti, ma i problemi non si risolvono, si vivono e la vita è lenta; il procedere verso il futuro non ha soluzioni di continuità, il lavoro di un popolo non conosce né retorica né indugi, il suo futuro è nella sua ansia di futuro e la sua ansia è una grande pazienza”.
E poi nella sua Melopea per Levi, scritta per una mostra di quadri di Carlo Levi sulla Lucania:

Il sorriso spento non si estingue
Riposa in se stesso
Aspettando
Che i morti si alzino,
diano un'occhiata al cielo,
ripronuncino le vecchie preghiere,
rifacciano gli antichi sacrifici agli altari”.
E dunque partiamo, con Pasolini e con Levi.
“Sono passati molti anni pieni di guerra, e di quello che si usa chiamare la Storia” *.

Al mattino c'è la solita confusione allegra del mercato africano nei pressi della stazione dei matatu di Kampala. Alle sei del mattino il bus diretto a Gulu è già pieno e continuerà a riempirsi fino all'inverosimile per tutte le due ore di attesa della partenza, lentezza del partire in un tempo costruito a bolle, gassose, rarefatte, liquide. Nel sorriso disteso e bianco, luminoso e carezzevole delle ragazze c'è qualcosa di sospetto, aleggia l'incubo della guerra, e diventa più bruciante così l'ingiustizia. La metà dei passeggeri sono bambini, aria frizzante tra scaglie di sonno. Il verde fatale del paesaggio ugandese accompagna lo sguardo che non sosta dai finestrini aperti al vento caldo e alla polvere. Ad ogni breve fermata si ripete il rincorrersi di venditori di spiedini di carne, di cassava, di mais arrostito. I corpi si sistemano l'uno sull'altro, una bambina dorme col viso poggiato tra l'incavo del mio ginocchio ed il polpaccio, altri due bambini viaggiano abbarbicati sulle mie spalle. La loro mamma allatta al seno la bimba più piccola, e questo si ripete su tutti i sedili. Come faccio a spiegare a me e a queste bambine che la pace si sceglie e si fa in un luogo lontano da qui, in Sudan, e che il loro futuro è in una combinazione mostruosa di troppe variabili?

Arriviamo a Gulu, dove, solo qualche anno fa, nei campi profughi c'è stata la più vasta epidemia del virus Ebola.

“Cristo non è mai arrivato qui… Le stagioni scorrono sulla fatica contadina, oggi come tremila anni prima di Cristo… in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso”.

Il viaggio era cominciato il giorno precedente quando abbiamo attraversato la frontiera tra il Kenia e l'Uganda. Si scende dall'autobus, partito otto ore prima dall'affollatissima stazione della Scandinavia Express di Nairobi e si percorre a piedi il ponte che scavalca un pigro ruscello. Sono due-trecento passi all'alba, con le lunghe ombre disegnate su questa striscia di nessuno a poca distanza dal lago Vittoria. Al di là di questo confine naturale e della dogana, con la sua confusa coorte di venditori e di cambiavalute, ad accoglierti c'è una vegetazione lussureggiante, quel verde brillante e caldo di alberi e piantagioni che ci accompagnerà fino a Kampala.
La seconda frontiera non ha dogane, è il confine naturale tracciato dallo scorrere maestoso del Nilo bianco che regala ai viaggiatori lo spettacolo spumeggiante delle sue cascate.

“Quell'altro mondo, serrato nel dolore e negli usi, negato alla Storia e allo Stato… dove il contadino vive, nella miseria e nella lontananza… nella presenza della morte”.

Il fiume separa la terra abitata dagli Acholi del Nord dal resto dell'Uganda. E' questo il confine invisibile di una guerra che dura da venti anni, un confine che in questi giorni potrebbe trasformarsi in una nuova frontiera di pace. Dall'autobus scendono per primi i bambini; ne incontreremo ancora numerosissimi nei campi profughi dei dintorni di Gulu, e sono bambini sorridenti e malati, molti dei quali nati negli stessi campi di accoglienza. Quasi cinquecentomila persone dislocate in circa ottanta campi, in fuga da una guerra devastante e crudele che ha mietuto vittime innocenti, soprattutto bambini. Questi, malnutriti e dalla salute minata da malaria, diarree, casi di meningite, sono i bambini del giorno, conteggiati dalle statistiche delle organizzazioni umanitarie che li sostengono.

“Dall' uscio mi giungeva un suono di voci femminili ed un pianto di bambino. Una diecina di donne, con i bimbi in collo o per mano, aspettavano, pazienti… Volevano mostrarmi i loro figli… Erano tutti pallidi, magri, con dei grandi occhi neri e tristi sui visi cerei, con le pance gonfie e tese come tamburi sulle gambette storte e sottili. La malaria, che qui non risparmia nessuno, si era già insediata nei loro corpi denutriti e rachitici”.

Poi ci sono i bambini della notte, i bambini invisibili che al calare dell'oscurità fuggono dai propri villaggi per rifugiarsi tutti insieme nelle tende allestite nel centro di Gulu. Cercano rifugio e protezione ogni notte, camminando per ore nella notte che li rende invisibili agli assalti dei miliziani dell'Esercito di Resistenza del Signore (LRA). Fino a poco tempo fa si calcolava che fossero quarantamila, in fuga dalle razzie che i guerriglieri continuano a compiere in tutti i villaggi allo scopo di rendere schiavi i bambini e trasformarli in spietati combattenti al proprio servizio. Noi siamo arrivati fin qui per incontrare loro, i bambini-soldato sfuggiti ai loro padroni e signori di morte, fuggiti dalle mani insanguinate che li hanno usati come micidiali automi guerrieri, bambini costretti a violentare ed uccidere. I pochi bambini che riescono a fuggire vengono accolti nel centro di GUSCO (l'organizzazione di Gulu per il sostegno dei bambini, una Ong fondata nel 1994) dove vengono inseriti in un difficilissimo programma di riabilitazione e reinserimento. In questi giorni sono presenti nel centro quindici bambini, di un'età compresa tra i 9 ed i 16 anni, molti dei quali hanno trascorso anche più di un anno nelle mani dei ribelli. La responsabile delle attività di recupero, la signora Christine, ci racconta con sofferenza storie degne di un film dell'orrore e con lo stesso sguardo carico di compassione profonda ci parla dei risultati positivi ottenuti nel reinserimento dei bambini nelle famiglie e nella comunità.

“Questa fraternità passiva, questo patire insieme, questa rassegnata, solidale, secolare pazienza è il profondo sentimento comune dei contadini… in essi è vivo il senso umano di un comune destino, e di una comune accettazione… il senso sacro, arcano e magico di una comunanza. E' un senso… non si esprime in discorsi o parole, ma si porta momenti, in tutti i gesti della vita, in tutti i giorni uguali che si stendono in questi deserti”.

A Nairobi, la strada da “Shalom House”, la struttura di accoglienza e formazione aperta dalla comunità Koinonia di padre Kizito, e il centro di Kivuli, è un sentiero nello slum, in bilico tra i colori e la fogna a cielo aperto.

“Le giornate cominciavano, lentamente ad allungarsi… La primavera non era più molto lontana e io pensavo che si sarebbe dovuto provvedere in tempo, prima che il sole riportasse le zanzare, a fare tutto quello che era possibile per combattere la malaria…”

L'arrivo a Kivuli è segnato dalla gente dello slam che, in fila, con le taniche, raccoglie acqua potabile che scorre libera da Koinonia ovvero dalla comunità.

“…un senso naturale del diritto,… una spontanea intuizione di quello che, per loro dovrebbe essere veramente lo Stato: una volontà comune, che diventa legge.”

Kivuli ospita bambini di strada e profughi. Molti tra i primi bambini accolti nella comunità oggi sono studenti universitari, operatori di strada, attori essi stessi della propria trasformazione. Quello che colpisce è il senso esplicito e profondo di autonomia e autorganizzazione. Nella palestra di fronte all'ingresso un gruppo di ragazzi si esercita in spericolate danze acrobatiche, sulla sinistra un piccolo negozio di artigianato e poi ancora il campo da gioco (come una piccola piazza), l'officina meccanica, l'artigianato del legno ed altro, altro ancora fino al puzzo dei cessi e al suono dei tamburi. Li costruiscono con bidoni di latta, esattamente come noi costruiamo la cupacupa.

“Il cupo-cupo è uno strumento rudimentale, fatto di una pentola o di una scatola di latta, con l'apertura superiore chiusa da una pelle tesa come un tamburo”.

I danzatori acrobatici e i suonatori di tamburo non hanno mai studiato danza o musica, semplicemente si sono costruiti la loro scuola di danza e di musica. Studiano e si allenano come dei matti perché non è facile salire a piramide, a gruppi di due o tre e consentire all'ultimo, in cima, di giocare con il fuoco e con i colori della pace. Esiste in questi ragazzi la consapevolezza di costruire legami tra la tradizione degli antenati, il senso magico dell'esistenza e l'essere nella contemporaneità. Non è forse questa una traccia da seguire? Sete di giustizia e di riscatto che indossa i liberi panni dell'arte popolare?

“Era, quello schema classico, un ricordo di un'arte antica, ridotto al povero residuo dell'arte popolare, o uno spontaneo, originario rinascere, un linguaggio, naturale in queste terre, dove la vita è tutta una tragedia senza teatro?”

* I testi in corsivo sono di Carlo LEVI, Cristo si è fermato a Eboli, Einaudi, Torino 1990.

M.A.P.P. (Matera Africa Peace Point) lavora come gruppo di sostegno alle attività della comunità Koinonia (Nairobi, Kenia) fondata dal missionario comboniano padre Renato Kizito Senana.
Attraverso viaggi di conoscenza e iniziative locali il M.A.P.P. lavora sui temi della in-formazione e della comunicazione nel tentativo di parlare di Africa per imparare dall'Africa.
Nel giugno del 2006 il M.A.P.P., in collaborazione con il gruppo musicale dei TerraGnora (Matera), ha ospitato i “Nafsi Africa”, un gruppo di 16 ragazzi/e che, partendo dallo slum di Kibera (Nairobi) lavorano sulla risoluzione dei conflitti sociali e politici con un messaggio di pace, veicolato attraverso varie forme d'arte: danza, musica, canto, acrobazie. Da quell'incontro è nata l'idea di una possibile “rilettura africana” del racconto che Pasolini, Levi, Scotellaro hanno dato della Lucania. Lo scritto In viaggio con Pasolini e Levi è un primo tentativo di dare vita al progetto “MATER – AFRICA” con i TerraGnora, i Nafsi e l'attore lucano Ulderico Pesce.

Fonte:
http://digilander.libero.it/lepassionidisinistra/n_14/inviaggio.htm


@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare

Curatore, Bruno Esposito

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