"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pier Paolo Pasolini
Gli anni della rabbia
Vie nuove
numero 38
20 settembre 1962
pag.35
( © Questa trascrizione da cartaceo è stata curata da Bruno Esposito )
Vie nuove
numero 38
20 settembre 1962
pag.35
( © Questa trascrizione da cartaceo è stata curata da Bruno Esposito )
L'Italia degli anni Sessanta si configura come un periodo cardine di transizione e di profonde contraddizioni socio-politiche e culturali. Gli anni tra il boom economico e il Sessantotto sono attraversati da grandi speranze di modernizzazione, da ansie di rinnovamento e, simultaneamente, da inquietudini latenti. A livello politico, questo fu un decennio in cui si consolidarono sia il riformismo dei governi di centro-sinistra sia i primi segnali di contestazione della società tradizionale, specialmente dal movimento studentesco. In queste tensioni si alimentano nuove forme di espressione artistica e letteraria che si caratterizzano per una lucidità critica verso la società borghese e il capitalismo industriale emergente. Il periodo è caratterizzato dalla trasformazione della struttura economica – il cosiddetto "miracolo economico" che porta il Paese dalla povertà contadina a una nuova borghesia urbana –, ma anche da una crescente estraniazione, omologazione dei costumi e perdita di riferimenti identitari. Questo è il terreno sul quale si innesta l’ansia della modernità, già avvertita nelle opere di Pasolini: il suo sguardo funge da specchio inclemente, in grado di cogliere tanto la vitalità quanto la decomposizione morale e antropologica dell’Italia contemporanea.
Orgia, composta nel 1966 e rappresentata per la prima volta nel 1968, nasce quindi in un preciso clima di inquietudine sociale. Il rifiuto del teatro borghese, l’urgenza di una "parola" nuova, critica e scandalosa, sono motivi che Pasolini teorizza nel Manifesto per un nuovo teatro, pubblicato sempre nel 1968 su "Nuovi Argomenti", con cui programmaticamente prende le distanze sia dal teatro di intrattenimento che da quello d’avanguardia pura. Il "teatro di parola" pasoliniano esprime così la necessità di una ritualità laica, che esalti il potere dissacrante e rivelatore del linguaggio, chiamato a smascherare i rapporti veri tra individui e potere.
PIER PAOLO PASOLINI
tratto da "Affabulazione".
Garzanti
( dopo i versi segue breve commento)
Nel 1968, sul settimanale «Tempo, diretto da Arturo Tofanelli ( vice direttore Nicola Cattedra)», Pasolini inaugura, il 6 agosto 1968, la rubrica "Il caos". Il nome stesso della serie di interventi funge da dichiarazione programmatica. Il biennio 1968-70, gli anni delle contestazioni giovanili, dell’emergere della società dei consumi, della crisi delle istituzioni tradizionali, era vissuto da Pasolini come un’esperienza di rottura epocale. Pasolini percepisce il «caos» come il risultato di una società lacerata e in tumulto, investita centralmente dal collasso delle distinzioni tra ordine e disordine. Il titolo stesso della rubrica rivela la volontà di assumere un punto di vista che fosse alieno rispetto a ogni tentazione di ordine o dogma. Come egli stesso scrive nel primo numero della serie, il caos è anche la cifra della sua strategia comunicativa: una miscellanea di temi, linguaggi e toni. Pasolini parte dalla consapevolezza di essere in una radicale solitudine rispetto alle posizioni dominanti:
«Il mio non è qualunquismo né indipendenza: è solitudine. [...] Mi preparo a lottare, come posso, e con tutta la mia energia, contro ogni forma di terrore».
Questo caos, nella prosa giornalistica di Pasolini, si fa dispositivo conoscitivo, la sua è una scrittura-messaggio lanciata nel mare del disordine, “un messaggio nella bottiglia”, destinato forse a non essere mai raccolto e a testimoniare una condizione umana e storica senza soluzioni precostituite. Dentro questa dimensione caotica, Pasolini individua sia un rischio distopico – la fine della Storia, la dissoluzione delle identità, la minaccia della società di massa – sia una energia impronosticabile, rivoluzionaria e vitale. La crisi e il caos, secondo Pasolini, possono anche funzionare come leve per il rovesciamento di un ordine ingiusto, come possibilità di nuova umanità, purché questa sappia opporsi all’omologazione, alle strutture del potere, al vuoto sembiante delle ideologie perse.
Tra il 1960 e il 1965 Pier Paolo Pasolini tenne sulla rivista «Vie nuove» una rubrica destinata a segnare un momento cardine sia nel giornalismo culturale italiano sia nell'evoluzione della sua stessa figura di intellettuale pubblico. Nei cosiddetti "Dialoghi", Pasolini si confrontò settimanalmente con i lettori, rispondendo a lettere e questioni provenienti dalle fasce più diverse della società italiana, spaziando con acume da temi letterari e religiosi al costume, dalla politica alla crisi del marxismo, dalla censura alla figura del sottoproletariato, dando voce a un’Italia in profonda mutazione. L’approccio di questa esperienza fu particolare perché mise in scena, in forma dialogica, il rapporto fra un intellettuale “organico”, come avrebbe detto Gramsci, e una comunità di lettori desiderosa non solo di informazioni ma anche di confronto e di orientamento.
La collaborazione tra Pier Paolo Pasolini e la rivista Vie Nuove, costituisce uno snodo fondamentale nel percorso intellettuale dell’autore e nel dibattito culturale dell’Italia del boom economico. Vie Nuove, settimanale legato al Partito Comunista Italiano e fondato nel 1946 da Luigi Longo, si proponeva come “settimanale di orientamento e lotta politica”, per poi aprirsi progressivamente, negli anni ’50 e ’60, a temi di attualità, cultura e persino costume, nel tentativo di raggiungere un pubblico più vasto e di competere con le riviste di grande diffusione dell’epoca. La direzione di Maria Antonietta Macciocchi (1956-1961) segna un periodo di particolare dinamismo: è proprio su suo invito che Pasolini avvia i celeberrimi Dialoghi con i lettori.
1976
Tutto inizia nel marzo 1976, durante un incontro casuale in treno: Laura Betti chiede a La Malfa di contribuire a una raccolta di scritti firmati da intellettuali, filosofi e poeti, «testimonianze che andranno depositate in Tribunale al posto dell’arringa finale». Era in corso il processo per la morte di Pasolini e Betti, nella lettera del 10 marzo, avverte l’urgenza di «non lasciare Pier Paolo solo in un luogo che non gli compete, in un luogo che lo riguarda solo in quanto egli ha troppo amato e troppo parlato».
L’invito di Betti viene raccolto da La Malfa che, il 12 maggio, le invia un ricordo in forma epistolare, rievocando l’unico incontro intellettuale avuto con Pasolini. Risale al 28 settembre 1975, quando Pasolini pubblicò sul Corriere della Sera, a nome dei cittadini italiani, una serie di domande ai politici sul fallimento civile, economico e morale dei «dieci anni di cosiddetto benessere». La Malfa rispose inviando a Pasolini una copia del suo libro "L’altra Italia: documenti su un decennio di politica italiana", appena pubblicato, spiegando che non poteva fare diversamente «quando ogni punto aveva costituito oggetto di una mia battaglia decennale». L’altra Italia rappresentava l’Italia che egli sognava, costruita dalle forze politiche contro l’Italia che Pasolini descriveva come frutto di errori, trascuratezze, egoismi e malgoverno. Betti conserva il ricordo dell’«autentica gioia di Pier Paolo» alla ricezione del libro.
In altre lettere Betti ringrazia La Malfa per la testimonianza e per il «Suo essermi vicino così come capita quando la vita la si vive ancora credendo ai valori essenziali». Nell’epistola del 10 marzo scrive: «La ringrazio per la Sua cortesia e la Sua poeticità – come avrebbe detto Pier Paolo».
Da queste pagine affiora uno scambio emotivo intenso che rivela il rimpianto di La Malfa, a pochi mesi dal brutale assassinio di Pasolini, per un dialogo «appena iniziato e subito spentosi».
Tempo
20 agosto 1968
numero 34
pag. 20
( © Questa trascrizione da cartaceo è stata curata da Bruno Esposito )
Nei "Cani del Sinai" (De Donato editore) Fortini fa, nel corpo del suo discorso personale e non molto limpido, sulla guerra tra Israele e gli arabi, una osservazione: nel futuro il razzismo aumenterà di intensità e di frequenza, anziché diminuire: e ciò a causa della pressione di un potere, che essendo meno visibile e personale, non sarà però meno schiacciante: anzi, sarà così schiacciante, da frantumare e polverizzare la collettività che fa da tessuto connettivo al processo di produzione e consumo; tale polverizzazione della società in tante forme diverse, ugualmente oppresse, farà appunto moltiplicare il razzismo, perché tutte le piccole parti separate, in cui si frantumerà il mondo schiacciato, si odieranno razzialmente fra loro.
É un odio razziale difficile da immaginare.
É, in generale, difficile, anche adesso che vige con tanto furore, e noi ne siamo appena sopravvissuti, immaginare che cosa sia l'odio razziale. Esso è, in realtà, costituito da molti odi razziali, differenti e qualche volta anche contraddittori.
C'è un primo livello storico - che è rimasto quello popolare - in cui l'odio razziale è magico: e, come tale, sopravvive in ognuno di noi (che, nei nostri strati profondi, rimaniamo preistorici e popolari). Questo tipo di odio razziale è l'unico che sia abbastanza possibile immaginare, e che sia anche, in qualche modo, giustificabile, dato che precede la fase della ragione.
Le nostre "antipatie" per certi tipi di persone, il fastidio violento che ci danno certi "corpi", sono archetipi di un tale odio razziale, che proviamo, in modo sia pure monco o embrionale, e che cade quindi sotto il dominio della nostra esperienza.
|  | 
| Biblioteca nazionale centrale di Roma Copia di "Empirismo eretico" con dedica di Pasolini a Elsa Morante  | 
Garzanti, 1972
Nel 1972 Pier Paolo Pasolini pubblica Empirismo eretico, una delle raccolte saggistiche più discusse e innovative del secondo Novecento italiano. Quest’opera si impone nel panorama intellettuale come un laboratorio teorico che attraversa le discipline della linguistica, della critica letteraria e della semiologia cinematografica, ma anche come una testimonianza del disagio civile, politico e culturale di un’epoca in rapida e tumultuosa trasformazione. Nel cuore del libro c’è la tensione tra una fede marxista vissuta in modo eretico e il bisogno costante di portare la speculazione sull’arte, sul linguaggio e sugli strumenti di rappresentazione oltre i confini della tradizione e del conformismo accademico o ideologico. Pasolini si configura qui come uno dei rari intellettuali capaci di intrecciare azione artistica e riflessione teorica, con una scrittura sempre polemica, spesso frammentaria, disorganica, tale da richiedere la partecipazione attiva e filologica del lettore per ricostruire il senso profondo e i nodi tematici dell’opera. Non è un caso che la raccolta venga identificata dagli studiosi come «opera per costellazioni», fatta di nuclei argomentativi attorniati da testi satellite (repliche, sviluppi, correzioni) che testimoniano la natura "vivente" della ricerca pasoliniana. Empirismo eretico si propone così come un punto di snodo in cui confluiscono questioni linguistiche, dibattiti marxisti, riflessione avanguardista, critica della società dei consumi e teorizzazione dell’arte come atto civile. L’eresia, centrale nel titolo, indica per Pasolini non solo la volontà di contrapporsi all’ortodossia (letteraria, politica, teorica), ma la pratica di uno stile conoscitivo e argomentativo che accoglie la contraddizione, il conflitto, la parresia – quella “verità rischiosa” che Michel Foucault individuerà come cifra dei grandi intellettuali testimoni di verità sgradite al potere. Siamo di fronte alla testimonianza simultaneamente personale, politica e stilistica di una crisi: quella della cultura italiana nell’era del boom e della società di massa, quella del ruolo tradizionale dell’intellettuale, quella delle lingue (e dei linguaggi) d’Italia nel momento della loro modernizzazione/omologazione.
7 gennaio 1955
( © Questa trascrizione da cartaceo è stata curata da Bruno Esposito )
Fin dalle prime prove di Pier Paolo Pasolini, che risalgono al '41 (Poesie a Casarsa, 1941-1943 ma l'edizione bolognese della Libreria Antiquaria ha per millesimo il 42), pur nel fresco sensibilismo di quelle sue pungenti e stupefatte annotazioni non era difficile notare in lui l'intento, certo istintivo e calcolato insieme, d'uscire dall'impressionismo amorfo del frammento lirico per ritentare (con un pudore che ricorda, mutato il secolo, la verdezza di certe origini nostre e occitaniche) la ricomposizione d'un discorso poetico chiuso, per non dir proprio, tout court, la composizione.
(Le immagini sono prese dall'edizione Garzanti 2022, a cura di Maria Careri e Walter Siti)
Nel 1992 Einaudi pubblicò per la prima volta "Petrolio" di Pier Paolo Pasolini (si ringrazia Graziella Chiarcossi ), l’Italia e il mondo letterario furono costretti a fare i conti non solo con un’opera monumentale – benché incompiuta – ma con un vero e proprio enigma che ancora oggi, a distanza di oltre trent’anni, resta oggetto di controversie e continue reinterpretazioni critiche. "Petrolio" si presenta come un romanzo-summa, un’opera magmatica e sperimentale, spesso definita “preambolo di un testamento” dallo stesso autore, un saggio poetico, filosofico e politico che cerca di inglobare e superare i generi. Questa ambizione si riflette nella struttura, nei temi e nel linguaggio, così come nella sua ricezione lacerante nel panorama letterario e sociale italiano.