Benvenuto/a nel mio blog

Benvenuto nel blog

Questo blog non ha alcuna finalità di "lucro".
Viene aggiornato di frequente e arricchito sempre di nuovi contenuti, anche se non in forma periodica.
Sono certo che navigando al suo interno potrai trovare ciò che cerchi.
Al momento sono presenti oltre 1600 post e molti altri ne verranno aggiunti.
Ti ringrazio per aver visitato il mio blog e di condividere con me la voglia di conoscere uno dei più grandi intellettuali del trascorso secolo.

sabato 25 ottobre 2025

Pasolini i dialoghi su Vie nuove - le "Belle bandiere", un esperimento di “democrazia intellettuale”.

"Le pagine corsare " 

dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro


Pasolini i dialoghi su Vie nuove
le "Belle bandiere"
un esperimento di 
“democrazia intellettuale”.


Tra il 1960 e il 1965 Pier Paolo Pasolini tenne sulla rivista «Vie nuove» una rubrica destinata a segnare un momento cardine sia nel giornalismo culturale italiano sia nell'evoluzione della sua stessa figura di intellettuale pubblico. Nei cosiddetti "Dialoghi", Pasolini si confrontò settimanalmente con i lettori, rispondendo a lettere e questioni provenienti dalle fasce più diverse della società italiana, spaziando con acume da temi letterari e religiosi al costume, dalla politica alla crisi del marxismo, dalla censura alla figura del sottoproletariato, dando voce a un’Italia in profonda mutazione. L’approccio di questa esperienza fu particolare perché mise in scena, in forma dialogica, il rapporto fra un intellettuale “organico”, come avrebbe detto Gramsci, e una comunità di lettori desiderosa non solo di informazioni ma anche di confronto e di orientamento. 

La collaborazione tra Pier Paolo Pasolini e la rivista Vie Nuove, costituisce uno snodo fondamentale nel percorso intellettuale dell’autore e nel dibattito culturale dell’Italia del boom economico. Vie Nuove, settimanale legato al Partito Comunista Italiano e fondato nel 1946 da Luigi Longo, si proponeva come “settimanale di orientamento e lotta politica”, per poi aprirsi progressivamente, negli anni ’50 e ’60, a temi di attualità, cultura e persino costume, nel tentativo di raggiungere un pubblico più vasto e di competere con le riviste di grande diffusione dell’epoca. La direzione di Maria Antonietta Macciocchi (1956-1961) segna un periodo di particolare dinamismo: è proprio su suo invito che Pasolini avvia i celeberrimi Dialoghi con i lettori. 

L’Italia degli anni ’60 attraversa una trasformazione profonda e rapida, quella del cosiddetto miracolo economico: industrializzazione, urbanizzazione accelerata, emergere della società dei consumi, esodo dalle campagne e affermazione della cultura di massa. Da un lato, cresce una nuova borghesia, dall’altro si assiste al declino irreversibile delle subculture popolari e rurali. Gli effetti di queste trasformazioni occupano una posizione centrale nella riflessione pasoliniana: egli vi scorge una “mutazione antropologica” senza precedenti, l’inizio di una fase di omologazione e perdita di identità culturale che egli denuncia come “nuovo fascismo” di segno consumistico. Questo contesto di cambiamento fornisce lo sfondo ai Dialoghi pasoliniani e al concetto stesso di “vie nuove”: la domanda urgente dell’epoca, infatti, riguarda la possibilità di individuare, nel caos della modernità, strade nuove e autentiche per la crescita umana e culturale, alternative rispetto all’omologazione e al conformismo dilaganti.

Dal punto di vista politico, si esce faticosamente dall’età del centrismo per avvicinarsi alle sperimentazioni e alle tensioni della formula di centro-sinistra, culminata nella crisi Tambroni, nelle proteste del luglio 1960 e nell’apertura ai socialisti nelle compagini di governo — eventi che segnarono una cesura rispetto sia al clima repressivo degli anni Cinquanta che all’immobilismo delle classi dirigenti. Culturalmente, l’Italia è attraversata dalla crescita esponenziale del sistema mediatico, dallo sviluppo delle industrie editoriali e audiovisive, dall’espansione dell’istruzione e da una nuova centralità dei giovani nel dibattito nazionale. In questo scenario, accanto alle spinte progressive, emergono tensioni e contraddizioni: la paura del neofascismo, la spaccatura fra mondo cattolico e laico, l’ombra lunga della guerra fredda e le prime avvisaglie dei fenomeni di contestazione (che esploderanno nel 1968). A questa complessità si aggiunge la crisi interna dei partiti di massa, in particolare del PCI, che dopo la svolta post-staliniana del 1956 fatica ad aggiornare il proprio ruolo di guida culturale. La rivista «Vie nuove», è un perfetto osservatorio di tali dinamiche.

La scelta di affidare la rubrica a Pasolini coincide con la volontà di introdurre nella discussione comunista una voce eretica, capace di “scuotere” e di parlare con linguaggi e toni nuovi a un pubblico popolare ma culturalmente articolato. La natura della rivista — uno strumento insieme popolare e di riflessione, non completamente omologo ai rigidi canoni del partito — offre lo spazio ideale per l’esperimento di “democrazia intellettuale” tentato da Pasolini, che dialoga realmente con un pubblico di massa, spesso polemico e dialettico.

I “Dialoghi” di Pasolini assumono una struttura inedita per l’epoca: l’autore risponde pubblicamente, di settimana in settimana, alle lettere dei lettori, instaurando una forma di rapporto quasi diretto, “orizzontale” e accessibile tra intellettuale e popolo. La scelta di ricorrere al dialogo – invece della tradizionale rubrica saggistica o del pamphlet – tradisce la volontà di abbattere la barriera tra pubblico “specializzato” e pubblico più ampio, e di “democratizzare” la riflessione critica. L’espediente retorico della “conferenza stampa pubblica”, dove i lettori assumono il ruolo di interlocutori attivi e provocatori, consente a Pasolini di affrontare temi scomodi e di posizionare il proprio discorso controcorrente rispetto alla cultura ufficiale. La sua autonomia rispetto alla linea del PCI emerge con forza, come si legge nel primo intervento sulla rivista:

«So quanto l’operazione giornalistica sia falsa: prende, della realtà, dei brani isolati, appariscenti, il cui significato sia immediatamente accettabile, diventi subito una specie di formula: e poi li ricuce insieme malamente attraverso un “tono” moralistico che è al puro e semplice servizio del lettore. Non pensa, il giornalista borghese, nemmeno per un istante, a servire la verità: a essere in qualche modo onesto: cioè personale. Egli si spersonalizza totalmente, per far parlare al suo posto un ipotetico pubblico, che egli naturalmente considera benpensante ma idiota, normale ma feroce, incensurato ma vile.»

Sin dall’inizio, dunque, Pasolini si presenta come un intellettuale “diffrangente”, che non desidera compiacere il lettore, ma educarlo e provocarlo, stimolando un processo di maturazione critica. L’intenzione pedagogica – tanto nella forma quanto nella sostanza – si combina con il rifiuto dell’ideologia dominante e con uno sforzo di sincerità personale che raramente si riscontra nei giornalismi dell’epoca. In queste risposte pubbliche, spesso agitate da passione e polemica, Pasolini affronta temi come la sessualità, il rapporto con la religione, la questione operaia e sottoproletaria, la critica al potere e ai media, il razzismo, la pedagogia, la letteratura, e non di rado anche gli attacchi personali e i processi intentati contro di lui per “scandalo” o offesa al pudore pubblico.

Pasolini risponde con attenzione, alternando riflessioni analitiche ad aperture emotive, talora usando il tono del polemista, talora quello del consigliere o addirittura del “confidente di famiglia”. Le lettere ricevute sono di due tipi principali: da una parte richieste di aiuto personale, esistenziale o economico, spesso inviate da giovani, lavoratori, disoccupati o studenti con storie di difficoltà; dall’altra missive di taglio più culturale, politico, letterario (ad esempio questioni su censura, letteratura contemporanea, religione, rapporti tra PCI e società, sessualità). A queste si aggiunge un terzo filone, rappresentato da proposte e manoscritti di esordienti desiderosi del giudizio di Pasolini, oppure richieste da ambienti extra-urbani, periferici o giovanili, che si riconoscono nella voce “altra” incarnata dallo scrittore.

Il “contratto di lettura” che si stipa in questa rubrica, come sottolineato dagli studi recenti di semiotica del testo giornalistico, si fonda su una forma di autorità dialogica: Pasolini negozia costantemente il suo ruolo di intellettuale, accettando un continuo spostamento di prospettiva, tra la figura del maestro tradizionale e quella dell’amico solidale, tra polemista e pedagogo, fino al ruolo di “destinatario di massa”. La presenza e la ricezione dei lettori diventano così parte integrante della scrittura: spesso le sue risposte sono rivolte non tanto al singolo lettore, quanto all’intera comunità immaginaria dei lettori stessi, innescando una sorta di “agorà” popolare e progressista, in cui la discussione si alimenta anche di rimandi a precedenti lettere o ad altri interventi di rubrica.

L’interlocutore primario e imprescindibile è la massa dei lettori del giornale. Si tratta in prevalenza, come testimoniano le lettere pubblicate e i dossier raccolti, di giovani comunisti, operai, studenti, apprendisti e lavoratori precari, ma anche impiegati, maestre, madri e adolescenti della provincia italiana o delle periferie urbane. Nel quadro offerto dai “Dialoghi” emerge una mappa reale e trasversale dell’Italia popolare di quegli anni, costellata di ansie sociali, richieste di orientamento, proteste, confessioni e domande sulla società ma anche sulla vita personale. Moltissime lettere sorprendono Pasolini per la loro sincerità, mostrando spesso un’Italia ancora ai margini della modernizzazione, ma anche desiderosa di partecipare a cambiamenti politici e culturali. Le richieste spaziano dal bisogno di consigli sulla scuola o sul lavoro alle questioni di carattere affettivo, passando per domande sulla fede, sulla sessualità, sulla giustizia sociale e sulla legittimità delle scelte politiche del Partito Comunista.

Pur essendo il lettore l’interlocutore principe, con Pasolini si sviluppano talvolta dialoghi polemici o collaborativi anche con altre personalità intellettuali. Un esempio è la famosa polemica con Carlo Salinari, critico e dirigente culturale del PCI, sulle questioni di ortodossia nel marxismo italiano. Non sono rari inoltre gli scambi con altri intellettuali, scrittori, direttori di riviste (spesso in relazione a prese di posizione pasoliniane giudicate “eretiche” o troppo anticonformiste rispetto alle direttive del partito), che prendono la forma di confronti indiretti ma serrati. Il vero dialogo, tuttavia, resta quello con la moltitudine dei lettori−cittadini, ai quali Pasolini offre una forma di “maieutica pubblica”, sollecitando ragionamenti personale e collettivi piuttosto che fornire risposte apodittiche o dogmatiche.

Uno dei fili conduttori dei Dialoghi e dell’intera opera pasoliniana è la riflessione sul cambiamento, inteso sia come transizione epocale sia come dramma antropologico. Pasolini individua la peculiarità della modernità italiana non tanto nell’industrializzazione in sé, quanto nella sua irruenza e nell’incapacità della società di elaborare nuovi modelli culturali capaci di accompagnare il trauma:

«Per Pasolini la diffusione del consumismo – determinato dal cambiamento nei modi di produzione conseguente al boom economico – ha causato una mutazione antropologica negli italiani, la quale è un fenomeno di omologazione culturale totale e di conseguente genocidio culturale. [...] Le culture particolari, regionali, tramite la rivoluzione delle infrastrutture e la rivoluzione del sistema d’informazione, vengono travolte e distrutte da una nuova cultura omologatrice, edonistica e neo-laica, che provoca un radicale mutamento negli usi e nei costumi, nelle pratiche di vita».

La modernità, nella visione pasoliniana, non è mai un valore assoluto, né oggetto di celebrazione acritica. Al contrario, il cambiamento viene sottoposto ad un interrogatorio severo, che mette in discussione le sue premesse, le sue forme e le sue conseguenze.

Nei Dialoghi, il progresso “tecnico” senza progresso morale porta all’alienazione, all’infelicità collettiva, alla perdita dei legami identitari, per cui la ricerca di “vie nuove” coincide con la necessità di una nuova genealogia della modernità, fondata su scelte consapevoli e sulla capacità di preservare la diversità contro la dittatura dell’omologazione.

«La mia è una visione apocalittica. Ma se accanto ad essa e all’angoscia che la produce, non vi fosse in me anche un elemento di ottimismo, il pensiero cioè che esiste la possibilità di lottare contro tutto questo, semplicemente non sarei qui, tra voi, a parlare.»

Nei Dialoghi, il tono pedagogico non si accompagna mai a un atteggiamento paternalistico o dogmatico. Al contrario, Pasolini esercita una pedagogia della crisi e della responsabilità, che spinge i suoi interlocutori a una messa in discussione radicale delle proprie certezze. L’educazione, intesa in senso gramsciano, si presenta come un processo di emancipazione critica, di consapevolezza del sé e degli altri. L’intellettuale, per Pasolini, ha il compito di scuotere le coscienze dal torpore, di “creare artificialmente lo stato di emergenza”: 

“Bisogna avere la forza della critica totale, del rifiuto, della denuncia disperata e inutile”.

Numerosi studi recenti hanno messo in luce la centralità dell’esperienza pedagogica nel percorso pasoliniano, dalla fondazione della scuola a Casarsa alla riflessione sulla scuola pubblica come strumento di conformismo e omologazione, fino alle proposte provocatorie di abolire l’istruzione per poterla rifondare su basi nuove e autentiche. Al centro dell’etica pedagogica sta il rifiuto dell’autoritarismo e la promozione della critica come primo dovere dell’educatore:

«La funzione dell’educatore-insegnante [...] dovrebbe essere un lavoro di liberazione e di depurazione [...] in seguito a cui venga riprovocata nell’impube la sua vera natura, ripercorrendo à reburs le cristallizzazioni dell’autorità. [...] La critica dovrebbe essere la prima cosa da coltivare in un ragazzo, anche se questo dovesse costare la caduta di un’infinità di idoli».

Questa pedagogia si riflette, per analogia, nella forma dei Dialoghi: il rapporto tra scrittore e pubblico è sempre impostato come relazione educativa – fatta di stimolo, di ribaltamento delle certezze, di sollecitazione, mai di imposizione dogmatica – orientata alla riattivazione della coscienza critica.

I Dialoghi trovano la loro funzione e il loro senso pieno all’interno di una storia italiana segnata dalla fine della Resistenza, dalla ricostruzione postbellica, dagli anni del miracolo economico, dai contrasti tra cattolici e comunisti, dalla crisi del PCI e dalla progressiva perdita d’influenza delle culture popolari. La spoliticizzazione, la perdita di memoria storica (“la strada maestra, fatta di qualunquismo e di alienante egoismo, è già tracciata”), la reificazione delle coscienze vengono registrate con lucidità profetica da Pasolini. Le sue risposte ai lettori sono spesso segnate dalla rabbia morale e dalla consapevolezza della propria posizione di esiliato, “eretico” e outsider:

“La mia indipendenza, che è la mia forza, implica la solitudine, che è la mia debolezza.”

Agli attacchi dei giornali e dei benpensanti, Pasolini risponde con un misto di autoironia e spirito di lotta, consapevole di essere bersaglio perfetto in quanto artista, omosessuale, comunista fuori dal partito, intellettuale non allineato. La sua difesa pubblica si trasforma in una pedagogia del conflitto:

“Non rinuncerò mai a nulla per la reputazione [...] la lotta più dura è quella che si svolge nell’intimo delle coscienze, nelle suture più delicate dei sentimenti.”

I Dialoghi di Pier Paolo Pasolini su Vie Nuove restano un’opera di straordinaria attualità e complessità. Essi incarnano la tensione permanente tra desiderio di cambiamento e disillusione, tra utopia e denuncia, tra pedagogia e provocazione. Le “vie nuove” di Pasolini non sono percorsi lineari: sono, piuttosto, tentativi di attraversamento del caos moderno, aperture verso la differenza, la verità, e la bellezza di una parola che sappia ancora raccontare, resistere, educare, scandalizzare.

Bruno Esposito


 

Curatore, Bruno Esposito

Grazie per aver visitato il mio blog

Nessun commento:

Posta un commento