"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pier Paolo Pasolini
Orgia
Il teatro dell’impossibile
come esperimento di verità
oltre la forma borghese
L'Italia degli anni Sessanta si configura come un periodo cardine di transizione e di profonde contraddizioni socio-politiche e culturali. Gli anni tra il boom economico e il Sessantotto sono attraversati da grandi speranze di modernizzazione, da ansie di rinnovamento e, simultaneamente, da inquietudini latenti. A livello politico, questo fu un decennio in cui si consolidarono sia il riformismo dei governi di centro-sinistra sia i primi segnali di contestazione della società tradizionale, specialmente dal movimento studentesco. In queste tensioni si alimentano nuove forme di espressione artistica e letteraria che si caratterizzano per una lucidità critica verso la società borghese e il capitalismo industriale emergente. Il periodo è caratterizzato dalla trasformazione della struttura economica – il cosiddetto "miracolo economico" che porta il Paese dalla povertà contadina a una nuova borghesia urbana –, ma anche da una crescente estraniazione, omologazione dei costumi e perdita di riferimenti identitari. Questo è il terreno sul quale si innesta l’ansia della modernità, già avvertita nelle opere di Pasolini: il suo sguardo funge da specchio inclemente, in grado di cogliere tanto la vitalità quanto la decomposizione morale e antropologica dell’Italia contemporanea.
Orgia, composta nel 1966 e rappresentata per la prima volta nel 1968, nasce quindi in un preciso clima di inquietudine sociale. Il rifiuto del teatro borghese, l’urgenza di una "parola" nuova, critica e scandalosa, sono motivi che Pasolini teorizza nel Manifesto per un nuovo teatro, pubblicato sempre nel 1968 su "Nuovi Argomenti", con cui programmaticamente prende le distanze sia dal teatro di intrattenimento che da quello d’avanguardia pura. Il "teatro di parola" pasoliniano esprime così la necessità di una ritualità laica, che esalti il potere dissacrante e rivelatore del linguaggio, chiamato a smascherare i rapporti veri tra individui e potere.
Orgia si inscrive all’interno di gruppo di tragedie pasoliniane di cui fanno parte anche Pilade, Affabulazione, Porcile, Calderón e Bestia da Stile. Al centro del dramma, ambientato in una camera da letto borghese durante la notte di Pasqua, vi è un uomo e una donna, coniugi di mezza età, impegnati in un rituale di sadomasochismo. A loro si aggiunge, nella seconda parte, una giovane prostituta chiamata dall’uomo a replicare un rito fallito. La trama si struttura in sei episodi e un prologo, ma la vicenda supera di gran lunga l’aneddotica di una cronaca nera domestica. Al contrario, si configura come una potentissima allegoria della violenza insita nei rapporti di potere, nella claustrofobia della morale borghese, e nella ricerca – destinata al fallimento – di una autenticità. Il corpo rappresenta in Orgia un territorio di scontro, esposizione, degradazione e dissacrazione. Esso è contemporaneamente luogo di desiderio, colpa e punizione, e campo di battaglia tra morale borghese e pulsioni individuali. L’erotismo sadomasochista non è mai liberatorio, ma costantemente intriso di sofferenza e autoconsunzione. I corpi sono spettacolarizzati nei loro eccessi, come nella tradizione decadente e nichilista francese (Baudelaire, Genet, Bataille), e la pratica del feticismo sessuale diventa una metafora della riduzione dell’esistenza a oggetto di consumo e del linguaggio a mero segno merceologico.
Inevitabilmente, il rapporto tra i due protagonisti è una spirale di dominio e sottomissione in cui i ruoli si interscambiano senza una vera dialettica: l’uomo, borghese decadente, cerca la liberazione nel degrado, la donna, abbassata a oggetto, partecipa ma non conquista mai il controllo. In questa dinamica disturbante, Pasolini mette a nudo la crisi della borghesia, incapace di dare senso alla propria esistenza e alla propria identità, consumando la propria pulsione di morte attraverso il simulacro di una trasgressione sempre fallimentare. Il tema della “diversità” innerva tutta la drammaturgia. La diversità, che può essere sessuale, di genere o semplicemente etica, si scontra con la pretesa omologante della società borghese o neocapitalista. I protagonisti cercano una fuga dal loro ruolo sociale insopportabile: la donna si suicida dopo aver ucciso i figli; l’uomo, rimasto solo, si traveste da donna e si impicca, in un estremo gesto di rivendicazione della sua identità negata. Il dramma acquisisce così valore “sacrificale”, con il rito orgiastico che si trasforma in autodistruzione e in una mimesi dolente della tragedia antica: il piacere è contaminato dal dolore e dalla morte, la ricerca di autenticità è destinata a fallire. La violenza, esibita o evocata, non è mai gratuita ma ineludibilmente inscritta nel rituale sociale, sessuale, linguistico. Negli ultimi monologhi, la parola si fa carne, la parola si fa corpo, persino il suicidio finale dell’uomo è un atto performativo rivolto al pubblico come una rottura definitiva della quarta parete, un requiem per la diversità e il desiderio strangolati dalla Storia.
L’innovazione principale di Orgia e delle tragedie pasoliniane risiede nel radicale ripensamento del linguaggio teatrale. Pasolini, polemizzando con la tradizione borghese e il suo “teatro di chiacchiera”, propone il “teatro di parola”, ossia una forma in cui l’azione si sublima nella parola, la messa in scena si rarefà e l’interiorità si esprime attraverso un linguaggio violento, spezzato, lirico–ma anti-letterario al tempo stesso. In Orgia manca qualsiasi “azione” teatrale tradizionale: tutto si svolge nella parola e attraverso la parola. Le didascalie pasoliniane sono volutamente invadenti, quasi a frustrate l’estetica naturalistica e a impedire una rappresentazione mimetica. Gli atti sono evocati piuttosto che agiti, la scena coincide spesso con il linguaggio stesso, che si fa corpo e rito. Il parlato è intriso di una violenza formale: ripetizioni ossessive, silenzi, digressioni, monologhi che si frantumano nella ricerca di una verità “altra”, nella difficoltà di rappresentare l’irrappresentabile. La parola non spiega: la parola mostra, a volte scandalizza, soprattutto costringe lo spettatore a interrogarsi, a entrare in crisi. Pasolini consiglia esplicitamente una “messa in scena a nudo”: il teatro di parola rifiuta costumi elaborati, orpelli scenografici, illusioni mimetiche. Gli attori dovrebbero essere più veicoli che personaggi, corpi nudi o quasi, impegnati in una performance che è prima di tutto un atto di denuncia civile, un evento rituale e non uno spettacolo di intrattenimento. Mentre il Manifesto per un nuovo teatro propugna la parola come strumento di dibattito razionale, Orgia e le altre tragedie in versi sono pervase proprio da ciò che la parola non riesce a rappresentare: afasia, urlo, silenzio e soprattutto il corpo, che diventa il vero “linguaggio primario”. Il conflitto tra parola e corpo, ragione e pulsione, poesia e oscenità è al cuore del dramma: la “contraddizione coerente” della drammaturgia pasoliniana, è il tratto distintivo del suo teatro. In diverse versioni di scena (e anche nei manoscritti originali) compaiono “cori” che aprono e chiudono il dramma, accentuandone il tono rituale e l’ambizione di un teatro come "rito laico" in cui la collettività è chiamata a partecipare, non solo a osservare. Questa sperimentazione formale mirava a scardinare tanto la passività del pubblico quanto le consuetudini dell’attore, imponendo una relazione frontale e dialogica tra scena e platea – notevole la consuetudine, nelle prime repliche torinesi, di aprire un dibattito tra Pasolini, attori e spettatori subito dopo la rappresentazione.
La prima rappresentazione di ‘Orgia’ nel novembre 1968 al Deposito d’Arte Presente di Torino, diretta dallo stesso Pasolini, fu accolta da forti reazioni di scandalo, disagio e rifiuto. Le vicende di sadomasochismo, suicidio e transessualità, unite alla crudezza linguistica e alla rarefazione drammaturgica, provocarono nella maggior parte dei critici e del pubblico una sensazione di imbarazzo e di rifiuto, non dissimile da quella che aveva caratterizzato la ricezione dei primi film e romanzi pasoliniani. La stampa del tempo sottolineò l’eccessiva astrattezza della messinscena, l’inquietudine della recitazione e la provocazione gratuita. Solo una parte della critica più attenta – tra cui spiccano Gastone Geron e successivamente Stefano Casi e Marco De Marinis – colse la volontà pasoliniana di usare la scena come luogo di interrogazione radicale dei rapporti tra individuo, potere e linguaggio, e la novità della scrittura tragica rispetto alla tradizione italiana contemporanea. La ricezione risentì non solo dei temi urticanti, ma anche di una difficoltà di lettura della nuova forma teatrale, che si sottraeva sia alla spettacolarità sia alla finzione naturalistica. Il pubblico fu inizialmente disorientato e infastidito dal coinvolgimento diretto che lo spettacolo imponeva – l’invito a discutere con Pasolini dopo la rappresentazione era a sua volta percepito come violenza e messa in crisi della posizione di spettatore.
Sul piano internazionale, negli anni successivi, il teatro di Pasolini ha faticato a farsi largo tra le grandi scene europee, anche a causa della poca “rappresentabilità” dei testi e della necessità di una profonda contestualizzazione storica e politica delle sue opere. Tuttavia, le letture performative in Francia (ad esempio quella diretta da Mario Missiroli al Centre Pompidou per il Festival d’Automne nel 1984-85) hanno trovato critici d’elezione come Roland Barthes e Jacques Derrida, che hanno analizzato la portata innovativa del “teatro di parola” pasoliniano e la sua straordinaria capacità di smascheramento delle relazioni di potere attraverso la corporeità e il linguaggio. Numerosi saggi su Pasolini hanno enfatizzato il valore di ‘Orgia’ anche come documento della crisi del soggetto nella modernità e come exemplum della crisi della rappresentazione occidentale: temi come il “diverso”, il “potere”, il “corpo” e il “linguaggio” sono stati studiati in relazione alla cultura francese post-strutturalista (Foucault, Deleuze, Bataille), alla psicoanalisi (Lacan), all’antropologia teatrale (Barba) e alla teoria critica.
Negli ultimi vent’anni, complici la pubblicazione integrale dei testi teatrali, la ripresa di studi dedicati (si veda Stefano Casi, “I teatri di Pasolini”) e una generale rivalutazione del teatro contemporaneo italiano, ‘Orgia’ ha progressivamente guadagnato statuto di opera centrale sia nella riflessione accademica che nell’attività teatrale. L’opera viene oggi letta come un potente affresco sulle dinamiche del potere, della repressione del desiderio e dell’impossibilità di autenticità nella società ipermoderna, trovando assonanze con i discorsi attuali sulla fluidità di genere, il trauma e l’autorappresentazione del corpo. In particolare, la figura della Donna è divenuta emblematica della resistenza e della marginalità; la sua scelta suicida, così come la metamorfosi dell’Uomo, sono oggi interpretate come forme di ribellione estreme, e comunque non più intrise della sola disperazione, ma anche di possibile riappropriazione del sé in una società che ancora oggi fatica ad accettare la vera diversità.
L’evoluzione delle rappresentazioni di Orgia segnala non solo la persistenza del testo negli anni, ma anche il suo continuo riadattamento alle sensibilità artistiche e culturali delle nuove generazioni. Nella messa in scena del 1968 a Torino, con scene di Mario Ceroli e musiche di Ennio Morricone, la regia di Pasolini sottolineò i toni del “rito laico”, introducendo elementi simbolici estremi e, soprattutto, instaurando un dialogo diretto con il pubblico, esperienza documentata da rare registrazioni audio e dalle riflessioni pubblicate dallo stesso autore.
Lo spettacolo del 1982 a Roma, diretto da Lorenzo Salveti, si distinse per una lettura più “da camera”, che cercava nel tono oratoriale e nella rarefazione dei gesti una fedeltà al “teatro di parola”. Quanto alla produzione del 1984, la regia di Mario Missiroli, andata in scena tra Parigi e Torino, evidenziò la dimensione intellettuale e provocatoria del testo, con Laura Betti e Alessandro Haber interpreti di una Donna e un Uomo quasi marmorei, sospesi tra memoria e astrazione scenografica. La versione del 1998 a Prato con Massimo Castri, premiata per la scenografia da Maurizio Balò, radicalizzò la lettura tragica e funerea: una distesa di letti “cimiteriali” suggeriva già all’occhio dello spettatore la morte come orizzonte inesorabile della vicenda. Castri definì il testo di Orgia come un “cimitero di letti”, un purgatorio erotico dove i corpi inseguono un’impossibile redenzione, immergendo i protagonisti in gesti ovattati, ma di una dolorosa fisicità. Nel 2002, Valter Malosti reinventò la messinscena per il Teatro di Dioniso di Torino: in uno spazio geometrico e essenziale, con pochi arredi e concentrazione attorica, la recitazione si caricava di valenze rituali e la parola ritornava centrale, incarnandosi nei corpi e negli scambi tra i tre personaggi, in una sorta di danza tragica dalle molteplici identità. Interessante, in questa versione, l’inserimento dei “cori”, ricavati da manoscritti inediti, che accentuano la dimensione corale e performativa, coinvolgendo il pubblico come parte attiva del rito. Negli anni Duemiladieci e Venti, il testo viene riscoperto sia all'interno di progetti dedicati a Pasolini (si veda il progetto ERT “Come devi immaginarmi” nel 2023-2024, con Federica Rosellini e Gabriele Portoghese, regia di Malosti) sia in versioni più sperimentali, come quelle della compagnia Fibre Parallele diretta da Licia Lanera, che accentuano la fluidità tra i generi dei personaggi e l’ibridazione tra teatro, performance e video-arte. Le messe in scena recenti di Orgia spesso prevedono una disposizione degli spettatori in scena, la drammatizzazione delle didascalie, l’uso di microfoni e proiezioni, la dissoluzione del confine spettacolo/platea.
La peculiarità di Orgia consiste nella sua polifonia di livelli di lettura – esistenziale, sociale, politica, antropologica e metateatrale – che ne hanno fatto uno dei testi più indagati dalla critica e dalla teoria teatrale contemporanea. Stefano Casi sottolinea come Orgia sia la tragedia non tanto della Diversità, ma della sua rappresentazione pubblica e rituale: la Diversità, travestendosi, si esibisce, ma è destinata alla sconfitta di fronte all’ordine sociale. Il gesto suicida e il travestimento finale dell’Uomo sono l’epifania di una scissione insanabile tra il sé profondo e i ruoli imposti dalla società borghese e patriarcale. La critica ha spesso evidenziato la natura “epifanica” del dolore in Pasolini: il corpo subisce, si spezza, trapassa i limiti tra piacere e morte, agito dalle forze storiche, linguistiche, sessuali che lo attraversano. La centralità del corpo si fa metafora della condizione dell’individuo moderno, schiavo della mercificazione e della perdita del sacro: il sadomasochismo diventa così rito di espiazione e tentativo estremo di conoscere e superare se stessi e i limiti dell’umano. Il testo, oltre a essere laboratorio della crisi dei ruoli, è anche riflessione sulla crisi del linguaggio: la parola non dà più accesso alla verità ma — come il corpo — si mostra nelle sue mancanze, nei suoi vuoti, nella sua incapacità a comunicare il sentimento originario. L’alternanza di confessione, delirio, silenzio e ripetizione nel testo rispecchia la tensione pasoliniana tra una poesia delle origini e una prosa della disillusione, tra urgenza di senso e sua perdita. Orgia richiama, secondo più studiosi, suggestioni dal teatro greco tragico (Euripide, Sofocle), traduce motivi baudelairiani (Viaggio a Citera, Fleurs du Mal), si confronta con la letteratura francese decadente e inquieta (Genet, Bataille, Klossowski), il tutto filtrato da una sensibilità profondamente autobiografica e storicizzata. Oggi, in un contesto di esasperata mediatizzazione e perdita del senso del sacro, Orgia mantiene una forza dirompente sia per l'attualità dei temi trattati (identità, potere, corpo, suicidio, diversità), sia per la capacità di suggerire interrogativi sulle derive dell’omologazione e sulle nuove forme di subalternità e dominio. L’interpretazione contemporanea enfatizza tanto la dimensione queer del testo, quanto la sua capacità di costruire uno spazio critico contro tutte le forme di normalizzazione coatta.
Negli ultimi anni Orgia è stato oggetto di nuove letture, reinterpretazioni e persino riscritture sceniche, spesso in ambienti non tradizionalmente teatrali e attraverso dispositivi performativi che esplorano la destrutturazione dello spazio e del tempo scenico. Un caso particolarmente significativo è il riallestimento del 2023 al Teatro delle Moline di Bologna e al Teatro Storchi di Modena (progetto "Come devi immaginarmi" di ERT), con Federica Rosellini e Gabriele Portoghese. Si tratta di una forma “ibrida” tra reading, mise-en-espace e happening partecipativo in cui attori e spettatori si ritrovano seduti attorno a un tavolo, condividendo spazio, parole e corpi. Questa vicinanza spaziale tende a dissolvere le barriere tradizionali del teatro, coinvolgendo il pubblico come testimone e, metaforicamente, come complice e parte dell’orgia rappresentata. Il riallestimento ha portato in scena le tensioni tra testo e corpo, tra parola e gesto, accentuando la dimensione politica e comunitaria della performance, spesso accompagnata da momenti di discussione con il pubblico, fedeli all’intento pasoliniano. La ricezione critica, in queste riproposizioni, ha evidenziato come la qualità disturbante e la forza abrasiva del testo siano rimaste intatte, anzi accresciute dal confronto con le ansie del presente, dalla crisi delle identità e dalla crescente attenzione ai temi del corpo come campo di lotta sociale e simbolica. Parallelamente, versioni più sperimentali – come quella di Licia Lanera con Fibre Parallele (2016) o gli interventi di giovani compagnie – accentuano gli aspetti di performance art: uso di microfoni, sdoppiamento dei ruoli, trasgressione dei generi, contaminazione con altri linguaggi artistici. L’intuizione pasoliniana del teatro non come luogo di rappresentazione, ma come campo della parola "incarnata", trova così piena realizzazione nelle pratiche teatrali contemporanee, specialmente all’interno di festival e rassegne di ricerca. Anche le pubblicazioni e i dibattiti accademici si sono intensificati: negli ultimi vent’anni, sono apparsi nuovi saggi, raccolte e analisi intertestuali, confermando il costante interesse per la figura di Pasolini drammaturgo e, in particolare, per la performatività della lingua e del corpo in Orgia
A quasi sessant’anni dalla sua composizione, Orgia di Pier Paolo Pasolini si rivela ancora un testo vivo, inquietante, scomodo, capace di interrogare la società contemporanea nei suoi aspetti più oscuri: la crisi del soggetto, la debolezza della parola, la violenza del potere sul corpo e sulle identità altre. La storia della ricezione e delle rappresentazioni di Orgia testimonia la capacità dell’opera di parlare “alla ferita” della nostra epoca, là dove la tragica insoddisfazione del desiderio, la solitudine esistenziale, l’omologazione consumistica e la ricerca di senso sembrano più attuali che mai. Il lascito pasoliniano risiede esattamente in questa impossibilità di rimuovere il disagio – personale, sociale, estetico – che la sua opera produce, ma che proprio in questo risiede la grandezza e l’attualità della sua visione. La dimensione universale e, al tempo stesso, profondamente autobiografica di Orgia produce molte delle tensioni che caratterizzano il nostro presente: tra dominio e resistenza, ironia e dolore, riflessione e azione performativa. In tal modo, l’opera di Pasolini si offre a una prassi critica inesauribile, laddove ogni nuova rappresentazione è chiamata a scegliere: riprodurre i suoi gesti disperati o tentare, radicalmente, di reinventarne la forza incendiaria della parola.















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