"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pier Paolo Pasolini
Empirismo Eretico
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Biblioteca nazionale centrale di Roma Copia di "Empirismo eretico" con dedica di Pasolini a Elsa Morante |
Il pensiero "ribelle"
come laboratorio di verità scomode
Garzanti, 1972
Nel 1972 Pier Paolo Pasolini pubblica Empirismo eretico, una delle raccolte saggistiche più discusse e innovative del secondo Novecento italiano. Quest’opera si impone nel panorama intellettuale come un laboratorio teorico che attraversa le discipline della linguistica, della critica letteraria e della semiologia cinematografica, ma anche come una testimonianza del disagio civile, politico e culturale di un’epoca in rapida e tumultuosa trasformazione. Nel cuore del libro c’è la tensione tra una fede marxista vissuta in modo eretico e il bisogno costante di portare la speculazione sull’arte, sul linguaggio e sugli strumenti di rappresentazione oltre i confini della tradizione e del conformismo accademico o ideologico. Pasolini si configura qui come uno dei rari intellettuali capaci di intrecciare azione artistica e riflessione teorica, con una scrittura sempre polemica, spesso frammentaria, disorganica, tale da richiedere la partecipazione attiva e filologica del lettore per ricostruire il senso profondo e i nodi tematici dell’opera. Non è un caso che la raccolta venga identificata dagli studiosi come «opera per costellazioni», fatta di nuclei argomentativi attorniati da testi satellite (repliche, sviluppi, correzioni) che testimoniano la natura "vivente" della ricerca pasoliniana. Empirismo eretico si propone così come un punto di snodo in cui confluiscono questioni linguistiche, dibattiti marxisti, riflessione avanguardista, critica della società dei consumi e teorizzazione dell’arte come atto civile. L’eresia, centrale nel titolo, indica per Pasolini non solo la volontà di contrapporsi all’ortodossia (letteraria, politica, teorica), ma la pratica di uno stile conoscitivo e argomentativo che accoglie la contraddizione, il conflitto, la parresia – quella “verità rischiosa” che Michel Foucault individuerà come cifra dei grandi intellettuali testimoni di verità sgradite al potere. Siamo di fronte alla testimonianza simultaneamente personale, politica e stilistica di una crisi: quella della cultura italiana nell’era del boom e della società di massa, quella del ruolo tradizionale dell’intellettuale, quella delle lingue (e dei linguaggi) d’Italia nel momento della loro modernizzazione/omologazione.
Per inquadrare Empirismo eretico occorre comprendere la realtà italiana tra la fine degli anni ’50 e la metà degli anni ’70: un’epoca segnata dal boom economico, dalla nascita della società dei consumi, dalle grandi trasformazioni di massa e dal trauma del 1968. l “miracolo economico” (1958-1963) trasforma l’Italia in una società industriale. Ne conseguono urbanizzazione, scolarizzazione di massa, la crisi delle culture rurali e identitarie, la diffusione dei media (televisione, stampa, radio) come nuovi vettori dell’italiano standard, la centralità crescente della famiglia nucleare e l’affermarsi di nuovi attori sociali: donne, operai specializzati, giovani in lotta per nuovi diritti. Questa crescita produce tensioni profonde: alla promessa di benessere si accompagnano ansie di omologazione, emarginazione degli ultimi, perdita di valori e culture popolari. L’Italia appare sospesa fra la promessa modernizzatrice e le sue contraddizioni (classismo, gap Nord-Sud, sradicamento culturale). Empirismo eretico nasce quando Pasolini avverte nel boom un processo di “genocidio culturale”, inaugurando il suo sguardo polemico e inaugurando un filone di critica alla modernità italiana che resterà centrale fino agli Scritti corsari e alle Lettere luterane.
Gli anni Sessanta culminano nel Sessantotto: un’esplosione di proteste studentesche, operaie, intellettuali contro il sistema universitario, sociale, culturale. Il movimento giovanile, le rivoluzioni nei costume e nella politica (divorzio, riforma del diritto di famiglia, avanzamento dei diritti delle donne, delle minoranze sessuali), la contestazione della scuola e dei mass media travolgono la società e la cultura ufficiale. Pasolini partecipa al dibattito, ma da una posizione personale e indipendente. Critica sia la società dei consumi sia i limiti della contestazione, da cui si sente distante quando percepisce la borghesizzazione delle nuove lotte studentesche. Nei suoi saggi, e anche nelle poesie come Il PCI ai giovani!!, l’analisi diventa denuncia amara e lucida della perdita delle radici popolari e della cooptazione di tutte le culture nella logica borghese dominante.
La raccolta Empirismo eretico nasce dalla riorganizzazione di scritti apparsi fra 1964 e 1971 su riviste e quotidiani (tra cui «Nuovi Argomenti», «Rinascita», «Paragone», «Cinema nuovo», «Paese sera», «Bianco e nero», «Cinema e Film», «Filmcritica» ecc.), oltre ad alcuni inediti e materiali fino a quel momento dispersi. Il lavoro redazionale fu lungo e travagliato: Pasolini, come ricordato da Siti e altri, concepiva la raccolta come laboratorio operativo, non come sistema. La prima edizione vede la luce nel 1972 per Garzanti, divenendo subito un testo di riferimento sia in ambito artistico che nel dibattito sulla modernità culturale italiana. Oltre alle edizioni successive (1977, 1991, 2000, 2015), l’opera è stata più volte ristampata, commentata e aggiornata, incorporando materiali critici e prefazioni che ne sottolineano l’importanza.
Il volume è articolato in tre sezioni principali: Lingua, Letteratura, Cinema, a ognuna delle quali corrispondono costellazioni di testi principali e appendici. Tale disposizione riflette la pluralità dei temi e la logica “aperta” del pensiero pasoliniano. Ogni scritto introduce una questione, seguita da “satelliti” in cui l’autore sviluppa, replica, corregge, risponde a obiezioni di critici e interlocutori: questo andamento “frammentario” e discorsivo potenzia il coinvolgimento interpretativo del lettore.
• Sezione Lingua: include il saggio fondamentale Nuove questioni linguistiche, in cui Pasolini lancia la polemica sulla nascita dell’italiano nazionale e sulla fine delle lingue popolari, oltre a risposte agli interventi di Moravia, Calvino, Segre, Eco.
• Sezione Letteratura: affronta il discorso indiretto libero, la poetica dantesca, la crisi dell’avanguardia, la letteratura come strumento di regressione stilistica/politica.
• Sezione Cinema: accoglie i saggi teorici più noti di Pasolini sull’immagine, la “semiologia del cinema”, la “lingua scritta della realtà”, la polemica con Metz e Eco, la nozione di "cinema di poesia", gli interventi sulla “gag” e Chaplin e vari appunti operativi.
Segue una tabella teorica finale, dedicata alla semiologia del cinema, per certi versi provocatoria e visionaria.
Questa articolazione tematica fa di Empirismo eretico uno "spazio conteso" dove idee, polemiche e sviluppi si intrecciano in modo non sistematico, sollecitando la cooperazione del lettore e fornendo una mappa dei dibattiti più vivi della cultura italiana del secondo Novecento.
Nel lessico filosofico, l’empirismo designa la fede nell’esperienza come unica fonte di conoscenza. Pasolini adotta questa parola non in senso accademico, ma come dichiarazione di metodo: rifiuta i sistemi e le astrazioni, salda la teoria all’osservazione diretta e alla vita vissuta. Nei saggi pasoliniani, l’empirismo si manifesta nella pratica polemica, nella preferenza per la testimonianza concreta e nella costante attenzione ai processi di mutamento linguistico, culturale, antropologico dell’Italia degli anni Sessanta e Settanta. Qui risiede il “laboratorio eretico”: ogni problematica è sempre connessa a situazioni storiche reali – la scomparsa del mondo contadino, la crisi del dialetto, il dominio del "triangolo industriale" Milano-Torino – e la conoscenza scaturisce dalla tensione tra vecchio e nuovo, tra rappresentanza e esigenza di verità. Pasolini rifiuta sia il dogmatismo “scientifico” delle grammatiche che l’escapismo idealista: la sua è "un’eresia empirica" che si sostanzia nel conflitto e nell’incompiutezza, nell’aperta discussione, nella revisione continua delle proprie tesi in dialogo con critici e antagonisti. L’empirismo pasoliniano così incarna una militanza della conoscenza: l’autore non chiude mai il discorso, anzi lo lascia deliberatamente aperto e problematizzato affinché la realtà, come la lingua, non sia mai ridotta a un sistema morto.
Il termine “eresia” si carica di molteplici significati in Pasolini. In senso letterale e storico, l’eretico è colui che rompe, critica, contesta; rifiuta i dogmi e rischia l’esclusione. Per Pasolini, eresia significa costante tensione tra appartenenza e rifiuto, tra marxismo e anticomunismo burocratico, tra avanguardia e difesa delle radici popolari. Nella pratica intellettuale, questo si traduce in scelte scomode e anticonformiste: la polemica contro la borghesia e i poteri culturali, la difesa degli esclusi (contadini, sottoproletari, dialettofoni, omosessuali, minoranze), ma anche l’autonomia dalle ortodossie di partito o di scuola. Pasolini afferma che la verità nasce soltanto come rischio, parresia, testimonianza fuori coro, e rivendica l’eresia come imperativo della modernità: “per l’uomo moderno, l’eresia diventa una necessità”. Lo stile stesso dell’opera è “eretico”: polemico, dialogico, disordinato, provocatorio. La raccolta, per ammissione dell’autore, è “accanitamente sulle cose, ma disperatamente inattuale”. L’eresia insomma non è solo contenuto o scelta etica, ma un metodo conoscitivo, una postura identitaria, una forma di resistenza all’omologazione culturale e linguistica della società di massa.
Uno dei contributi più rivoluzionari di Empirismo eretico è contenuto nel saggio Nuove questioni linguistiche. Qui Pasolini lancia l’allarme per il “genocidio” dei dialetti e delle culture popolari, denunciando come la TV, la scuola e la borghesia industriale stiano imponendo una koiné standardizzata e alienante, che coincide con l’italiano della borghesia del Nord, il cosiddetto “italiano tecnologico”. La riflessione pasoliniana attinge a Gramsci: la lingua è il “museo dei fossili” della storia culturale, la lotta per l’egemonia si gioca anche sulle lingue e i loro usi. Pasolini individua nei dialetti il deposito di identità, visioni del mondo, saperi arcaici che la modernità sta dissolvendo. La perdita coincide, per lui, con l’omologazione all’italiano borghese, promossa da scuola, tv e consumo di massa. Lo scontro sulla lingua coinvolge scrittori e linguisti di primo piano: Moravia, Calvino, De Mauro, Segre, Corti, Arbasino, Sciascia ecc. Oltre che un tema tecnico, la questione linguistica è, per Pasolini, eminentemente politica: la società italiana, omogeneizzata dal neocapitalismo, produce un nuovo sistema dei valori, e la “comunicazione” sostituisce “l’espressione”. Nel panorama letterario, Pasolini si schiera contro la neoavanguardia e la letteratura “iperscritta”, difendendo la funzione civile del dialetto come strumento di critica dell’ideologia e di pluralizzazione della realtà. La letteratura deve restare in “equilibrio tra mondi diversi”: nazionale e popolare, colto e subalterno, città e campagna, dialetto e italiano, in un incessante tentativo di tenere aperta l’alterità. I suoi interventi generano reazioni accese, spesso negative, tra i linguisti. Si rimprovera a Pasolini eccesso di visionarietà e “approssimazione”. Tuttavia, molti riconoscono la sua acuta previsione del ruolo della TV e dei media nell’omologare la lingua e le culture, una profezia sempre più attuale con la scomparsa dei dialettofoni puri negli ultimi decenni.
La riflessione pasoliniana sul discorso indiretto libero costituisce una delle innovazioni più profonde della sua ricerca letteraria. Nell’omonimo saggio e negli interventi successivi (molti nati dalla disputa con Cesare Segre), Pasolini afferma che il libero indiretto non è solo tecnica narrativa ma opzione sociolinguistica e politica. Nel romanzo borghese, sostiene, il discorso indiretto libero tende a ridurre tutte le voci al punto di vista dominante dell’autore. Pasolini, invece, teorizza la valorizzazione delle differenze linguistiche in letteratura come strumento di resistenza all’unificazione ideologica, distinguendo tra discorso indiretto libero classico (mistificante, unificante) e soggettiva del libero indiretto (molteplice, polifonica, stilistica e sociale). La qualità davvero rivoluzionaria della narrativa moderna consiste, per lui, nella capacità di far emergere, attraverso le scelte linguistiche, la pluralità dei mondi, delle classi sociali, delle identità. Inoltre, questa stessa dialettica tra oggettivazione e soggettivazione diventa la base della corrispondente riflessione sulla “soggettiva libera indiretta” nel cinema di poesia.
Un nucleo fondamentale di Empirismo eretico è rappresentato dai saggi dedicati alla poetica e alla semiologia del cinema, in particolare “Il cinema di poesia”, “La sceneggiatura come struttura che vuole essere altra struttura”, “La lingua scritta della realtà” e interventi sulla “gag” e sull’im-segno. Nel confronto con le teorie strutturaliste e semiotiche, Pasolini propone una visione originale: il cinema non è né lingua compiuta (come ipotizzato da Saussure o Jakobson), né sistema chiuso di segni; è invece lingua scritta della realtà – la realtà stessa che parla, non tradotta da codici astratti ma attraverso la sua presenza fisica, “pre-grammaticale”, immediata. Christian Metz contesta la possibilità di una “doppia articolazione” della lingua filmica, ritenendo che il cinema non sia strutturabile in unità minime (i “cinèmi”) come la lingua. Eco rimprovera a Pasolini un eccesso di referenzialismo. Pasolini ribatte ammettendo la presenza di codici percepiti, ma insistendo che il cinema, più di ogni altro linguaggio, mantiene uno scarto di senso irriducibile: ogni immagine è un neologismo, un evento irripetibile, una porzione di reale. Emblematico è il concetto di "cinema di poesia". Qui Pasolini sviluppa la corrispondenza fra libero indiretto letterario e soggettiva libera indiretta al cinema: nel film, la macchina da presa può assumere contemporaneamente la visione del personaggio e quella dell’autore, producendo una dimensione stilistica e critica unica. Questa riflessione è stata ripresa e valorizzata da Gilles Deleuze, che la assume nella sua analitica della “visione cinematografica” come passaggio decisivo dal monologo interiore al discorso indiretto libero, dalla omogeneità della narrazione borghese alla eterogeneità del cinema moderno. Nel cinema pasoliniano, dunque, la realtà coincide con il linguaggio: "noi il cinema lo facciamo vivendo" – l’azione è già scrittura, la regia è gesto poetico che tenta di resistere alla consumabilità dei prodotti culturali di massa attraverso difficoltà, asprezza, provocazione continua.
In tutte le sezioni di Empirismo eretico si percepisce con forza il tema del ruolo dell’intellettuale come testimone scomodo e eretico. Pasolini rifiuta la figura dell’esperto al servizio delle istituzioni e si identifica nell’intellettuale parresiasta, che espone la verità anche quando essa può provocare isolamento, marginalizzazione o rischi personali (come accadrà tragicamente alla sua vicenda personale). La “funzione conoscitiva” della polemica e della provocazione non è solo strumento di analisi, ma atto politico ed etico. Il passaggio dagli "intellettuali tradizionali" agli "intellettuali organici" (gramsciani) viene declinato da Pasolini in chiave personale: l’alveo della tradizione marxista rimane sullo sfondo, ma la lotta è sempre condotta dal margine, da una posizione eretica che non riconosce padroni né dogmi. In questo quadro, la celebre poesia “Il PCI ai giovani!!” e la successiva "Apologia" costituiscono atti parresiastici, nei quali Pasolini rifiuta sia la cooptazione ideologica che la violenza di gruppo, difende i valori originari, si schiera accanto agli ultimi, anche a costo di scandalizzare e dividere.
Uno dei caratteri più evidenti di Empirismo eretico è la sua dimensione agonistica: quasi ogni saggio nasce da una polemica, da una replica, da una disputa con colleghi, scrittori o linguisti. Le principali controversie riguardano:
• Sulla questione della lingua italiana, Pasolini viene attaccato da molti, in particolare per l’uso della terminologia e il presunto visionarismo. Moravia accetta alcune tesi, ma le considera eccessive, Eco ribatte dalla prospettiva semiotica, Calvino critica la posizione troppo pessimista sull’omologazione linguistica e sottolinea la specificità italiana di ogni processo di modernizzazione linguistica.
• Sulle tesi relative al discorso indiretto libero, Segre accusa Pasolini di sociologismo eccessivo; ma Pasolini non solo resiste all'attacco, bensì estremizza la valenza sociologica del suo argomentare, specialmente in riferimento ai suoi romanzi come Teorema.
• Sul cinema le polemiche con i padri della semiotica e della linguistica del cinema (da Metz a Eco a Garroni) non si risolvono mai in una posizione definitiva; Pasolini tiene aperta la questione, rivendicando la sua posizione come quella di un autore che sperimenta “girando” e non solo teorizzando.
Gli esiti furono spesso feroci, le ostilità durevoli, ma la ricezione critica immediata di Empirismo eretico fu comunque amplissima: le dispute con Segre, Eco, Metz animarono la discussione su linguistica, semiotica, critica letteraria per tutto il decennio. Se la reazione dei linguisti fu spesso negativa, gli scrittori e i lettori riconobbero a Pasolini la capacità di anticipare le dinamiche di omologazione culturale e di mutamento antropologico che avrebbero caratterizzato la società italiana dagli anni Settanta in poi.
Dalla fine degli anni Settanta agli ultimi anni, la fortuna di Empirismo eretico non ha mai conosciuto flessioni. Dopo la morte di Pasolini, la critica (da Fortini a Siti, da D’Achille a Desogus, da Zanzotto a Bazzocchi) ha continuato a valorizzare la funzione profetica delle sue intuizioni e la portata innovativa delle sue posizioni sul cinema, sulla lingua e sulle trasformazioni della società italiana.
A mezzo secolo dalla pubblicazione, Empirismo eretico continua a stimolare il dibattito. Le sue tesi sulla società dei consumi, sulla perdita delle culture locali, sulla crisi dell’intellettuale, sull’omologazione linguistica e sulla crisi del pensiero critico sono ancora oggetto di discussione nell’accademia e nell’opinione pubblica. La raccolta viene letta non solo come documento storico della crisi della modernità italiana, ma come repertorio di strumenti critici ancora validi per leggere la nostra società digitale, la nuova omologazione attraverso i social e la crisi dell’autorità della parola, il nuovo rapporto tra immagini e narrazione. Nell’attuale contesto, in cui la produzione di senso rischia di essere monopolizzata dagli algoritmi e il consumo di cultura minaccia ogni differenziazione, la voce di Pasolini risuona come una delle poche capaci di fornire ancora antidoti alla perdita di alterità e autenticità.
Empirismo eretico si impone come un laboratorio teorico e stilistico che sfida le categorie consolidate: mette in crisi il confine tra teoria e pratica, tra saggio e testimonianza, tra critica e poetica. È un libro che invita non alla sintesi ma alla coabitazione dei conflitti, all’apertura di questioni, al coraggio di restare eretici rispetto ai sistemi chiusi, ai linguaggi standardizzati, all’omologazione che uccide la realtà viva delle culture e delle lingue. Se oggi la figura di Pasolini rimane controversa e divisiva, è proprio perché ci obbliga, ad ogni lettura, a ridefinire noi stessi – intellettuali, scrittori, cittadini – nei termini non del consenso ma del rischio, del conflitto, dell’eresia. In questo senso, Empirismo eretico conserva una vitalità e una capacità di “disturbo” che lo rendono un punto di riferimento imprescindibile per chiunque voglia intendere la letteratura, il cinema e la critica come atti civili e come laboratori di verità scomode.
Bruno Esposito
Curatore, Bruno Esposito
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