"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Questo volume costituisce un tentativo di raccogliere le idee sul significato che la presenza dello scrittore e dell'autore cinematografico ha avuto nella cultura italiana dell'ultimo ventennio. Un capitolo è dedicato a Salò, opera postuma e << fuori legge >>, condannata a morte violenta: non come s'è detto, << testamento >> ma risultato esemplare di una rigorosa evoluzione ideologico-stilistica. qui ripercorsa per giustificare l'importanza di un cinema spudoratamente << eretico >>
Un altro traccia, sulla scorta delle opere, le coordinate di una singolare ideologia religiosa, figlia e vittima (e negazione) dell'universo borghese. Un terzo esamina (e rivaluta ) il controverso contributo di P. agli studi di semiologia cinematografica. indispensabile non solo per afferrare il senso di una
ideologia ma anche per valutare la posizione (e i limiti) di una pratica scientifica generale. L'ultimo propone, attraverso la minuziosa analisi dei testi, una coerente chiave di lettura di alcuni racconti pasoliniani (e, per non indebita estensione, dell'intera Opera letteraria). I quattro capitoli sono preceduti da una antologia ragionata degli • interventi pubblici di P... scelti fra le occasioni in cui la << presenza >> che qui stiamo esaminando si manifestò più scandalosa. immediata e indifesa: un modo semplice. e forse giusto, per introdurre il discorso sul poeta assassinato.
Pasolini - "Stare al mondo, in un mondo neocapitalista"
FERNALDO Dl GIAMMATTEO
PASOLINI LA QUOTIDIANA ERESIA
Lo scandalo Pasolini
Rosso e Nero
gennaio/aprile 1976
( © Trascrizione da cartaceo, curata da Bruno Esposito ).
Sommario:
Stare al mondo, in un mondo neocapitalista
Frammenti sparsi di una biografia, di una cultura e di una ideologia: interviste, dichiarazioni, invettive e polemiche .
C'è ancora molto Pasolini disperso in giornali, rivista, bollettini opuscoli, archivi radiofonici e televisivi, Bisognerà raccoglierlo, ordinarlo. Ci vorrà tempo. Non si sa che cosa ne verrà fuori. Si può provare ad anticipare il futuro. con una prima schematica ricognizione.
Intanto, supponiamo che quella enorme massa di interventi non classificati (cioè, non raccolti nei tre volumi di saggistica curati dall'autore: << Passione e ideologia >>, 1960; << Empirismo eretico >>,
1972; << Scritti corsari >>, 1975 ) poco aggiunga al già noto: qualche particolare marginale, qualche osservazione minore, qualche spunto per approfondire temi già studiati. Si tratterà, allora, di vedere il << colore >> di questo poco, di capire se il << colore >> conta qualcosa.
Ma Supponiamo anche, e invece, che quella massa possegga una sua autonomia. Non si conosce intellettuale italiano che abbia percorso la via della confessione pubblica con altrettanta continuità.
Mai, in effetti. il bisogno della << presenza >> si manifestò, e fu soddisfatto, in modo cosi totale e totalmente disinibito. Bisogno è parola ambigua. Si potrebbe anche dire dovere, o impegno, o
ossessione. Già sappiamo che l'opera di Pasolini (poesia, narrativa, cinema, teatro) non ha senso se la si isola dai documenti di quella << presenza >> che si catalogano come saggi e che si trovano nei
volumi citati. Ma dei documenti non raccolti, che dire? Delle interviste, degli articoli sparsi, delle dichiarazioni? Non è probabile che questo materiale non ancora ordinato, sovrapponendosi e integrandosi alla << saggistica >> già ordinata (dall'autore), finisca per assumere un suo compatto, globale e per certi versi nuovo significato? O, addirittura, che si organizzi in un vero e proprio genere letterario, che lo scrittore frequentò insieme agli altri, e con intensità particolare? Un genere parallelo allo sviluppo della sua poesia, di cui potrebbe costituire una sorta di riflesso speculare,
di controcanto (ora anticipazione, ora commento, ora contrapposizione, ora precisazione). Giacché se la poesia — come i critici hanno mostrato — è il luogo tipico del << privato >> (della confessione privata che si struttura in lingua e in genere), e vale come illuminazione <<formalizzata>> della biografia, il materiale degli interventi potrebbe essere considerato — una volta messo in sequenza e ripartito secondo criteri che lo stesso materiale suggerirà - come la testimonianza della confessione in pubblico. << formalizzata>> ma con una sua coerenza, una sua — appunto — compattezza.
E' da vedere. Per il momento si è compiuto un piccolo sondaggio, tenendo conto delle bibliografie sinora pubblicate (Ferretti, Petraglia, Anzoino. Stack, Gervais, ecc.) e di quella redatta nell'occasione del fascicolo (Grasso, Bertolina). Ci si è valsi inoltre di contributi e ricerche specifiche (in casa di Pasolini, con l'assistenza di Graziella Chiarcossi, da sempre curatrice dei manoscritti e degli
archivi dallo scrittore: nelle redazioni e negli archivi di <<La Fiera letteraria>>; <<L'Espresso>>; <<La Stampa>>; <<Paese Sera>>; presso l'istituto Gramsci e la biblioteca del CSC).
Per la scelta dei frammenti utili, si è proceduto attraverso successive esclusioni. Operazione quanto mai arbitraria e autoritaria, ma questo è un esperimento e sopporta bene anche la qualifica della faziosità (quando la faziosità nasca: come qui nasce, da un interesse che si fa sempre più vivo per l'esperienza culturale di Pasolini, e dal rispetto delle ragioni della sua ricerca: per esplorarle in tutte le direzioni possibili). Si è escluso (salvo che in qualche caso, quando fosse indispensabile per chiarire il discorso) tutto ciò che l'autore ebbe modo di riordinare e pubblicare nei volumi di saggistica. Questo nella presunzione di poter cogliere Pasolini nei momenti in cui si espresse con più limpida immediatezza.
<<sul vivo>>. Per scoprire di volta in volta la situazione in cui si coagulano i sentimenti e i pensieri che più tardi avrebbero preso forma. Nella nota introduttiva a <<Scritti corsari>>, Pasolini avvertì: <<La ricostruzione di questo libro è affidata al lettore. E' lui che deve rimettere insieme i frammenti di un'opera dispersa e incompleta. E' lui che deve ricongiungere passi lontani che si integrano>> Ecco, qui si cerca di <<scavalcare>> anche la dispersione ammessa esplicitamente - ma che nei volumi ha già trovato un suo ordine, sia pure imperfetto — e di fissare i frammenti allo stato puro, nel loro primitivo disordine.
Si è escluso, poi, il troppo divulgato. Sia per evitare la ripetizioni, sia per non interferire con il lavoro dei collaboratori del fascicolo, attenti di necessità alle citazioni. Si è escluso anche il materiale delle ultime polemiche ( i commenti al referendum sul divorzio, la <<indistinguibilità>> di fascisti e antifascisti, l'aborto, il processo ai DC ecc.), perché quello sembra essere un capitolo a parte, che
andrà trattato, per cosi dire, in blocco chiuso, e quando sarà passato abbastanza tempo da poterlo collocare nella prospettiva giusta (anche, e soprattutto, politica) L'irritazione di tanti mette in sospetto.
Balestrini parlò ( << Panorama >> agosto 1974) di << impressione penosa >>. In quegli interventi vide << là sopravvivenza del letterato vate, che sa tutto e interpreta tutto. In modo apodittico e repressivo: ho parlato io e basta. E dice, in sostanza, un cumulo di sciocchezze, un chiacchiericcio inutile >>. Chi ha dato scandalo, come Pasolini, ha diritto a un'altra forma di rispetto, oltre le consuete: il rinvio del giudizio.
Con tante esclusioni, che cosa resta? Alla fine, un'altra esclusione arriva: dopo molto scartare, il materiale è ancora troppo, e altro bisogna togliere se non si vuole debordare al di là del lecito.
Non importa. La natura dell'esperimento giustifica una ulteriore scelta, che ci avvicina a quel che andiamo cercando e che si potrebbe chiamare << eresia quotidiana >> di un intellettuale del mostro tempo. Sull'eresia Pasolini imperniò la propria opera, spiegandone con accanimento le origini soffrendone dolorosamente le conseguenze, estraendone la forza per esistere come poeta.
Le << grandi ragioni >> dell'eresia sono presenti nelle analisi dei collaboratori, e si ritrovano nell'ormai folta letteratura critica a disposizione di tutti. Mentre della << semplicità >> delle << ragioni quotidiane >> della pratica più immediata dell'operare, della << brutalità >> delle reazioni psicologiche e della stessa psicologia esibita senza il diaframma della riflessione, si conosce poco. E quel poco che si conosce, lo si conosce spesso attraverso le deformazioni del sentito dire, o del pettegolezzo.
<< Le interviste - confidò Pasolini una volta — sono un fatto misterioso. Certe volte compaiono risposte che non ho mai dato, altre volte sono completamente distorte >>. Rassegnato e ironico, non respingeva gli obblighi del successo ( la confessione è del 1972 ). Nell'ironia si percepisce una sfumatura di compiacimento. Che gli intervistatori siano stati non di rado maldestri, o volgarmente aggressivi o presuntuosamente ignoranti, è un fatto. Da quando si trovò al centro dell'interesse mondano, Pasolini fu vittima di una manipolazione che le regole, e la logica stessa, dei mass media resero spesso intollerabili. Ma lui tollerò sempre, Non poteva fare diversamente? Non poteva, per la prepotenza oggettiva ( << profanatrice >> e scandalistica) della comunicazione di massa, alla quale nessun uomo pubblico riesce a sottrarsi, se vuole sopravvivere.
Quindi, non voleva. Un eretico non predica nel deserto. Meno che mai un eretico come lui, che aveva una segreta nostalgia dell'ordine, del dogma, Occorre aggiungere che in queste circostanze ( nelle circostanze in cui qui lo si cercherà ) egli era indifeso e vulnerabile come un verme. Se altrove — fuori dell'occasione dell'intervista e della dichiarazione a caldo — poteva << organizzarsi >> (organizzare la stesura di un testo), e perciò difendersi, qui non poteva far nulla: non poteva (di nuovo, non voleva) essere che il se stesso più umile, più << quotidiano >>. Circondato da (reali o supposti; più spesso reali) nemici. Rispondendo alla domanda di un lettore di Vie Nuove». nel '62, disse, per giustificare la sua scarsa vena in un dibattito: << Quella Sera a Modena ero molto stanco e perciò teso e irritabile, e perciò scoperto. E poi eravate tutti amici: e io, da ragazzo, quando giocavo a pallone, giocavo bene solo nelle partite esterne, "fuori casa" davanti al pubblico ostile>>.
Stare al mondo, in un mondo neocapitalista
Avvezzo a sopportare le banalità (e le atrocità) del vivere sociale, Pasolini accettava i giochi più banali dei suoi interlocutori. A Massimo Fini che gli ricordava come i suoi avversari lo accusassero di eccessivo individualismo e di narcisismo, rispondeva:
E va bene sono un narciso. Come era narciso Proust e come probabilmente era narciso Gesù Cristo. Il narcisismo è un dato clinico cui non si sfugge e che riguarda tutti gli artisti in genere. Credo che siano molto rari i casi in cui non si può parlare di narcisismo per uno scrittore. Guardi Petrarca, tanto per dirne una, guardi Tolstoi, guardi Proust, Il narcisismo e l'individualismo sono dati da cui non si può prescindere. Forse in me tutto questo è stato esasperato dall'aver vissuto dieci, quindici anni in uno stato di persecuzione completa, totale. di isolamento infamante. Dal mio primo processo nel '55 fino all'ultimo per I racconti di Canterbury (per inciso è proprio durante il processo per Canterbury che mi è venuta l'idea per il mio prossimo film su San Paolo visto come il primo traditore di Cristo. Capirà. mi son visto li, sul banco degli imputati, per colpa di un arcivescovo, di Napoli, una cosa totalmente assurda, e allora mi è venuta una furia, ma una furia„.).
Il film su San Paolo, molte volte e in vari modi annunciato, non l'avrebbe fatto. Ma qui è interessante il gruppo di identificazioni <<narcisistiche>> Petrarca, Tolstoi, Proust. Gesù Cristo.
E su Gesù si sofferma, introducendo la connotazione secondaria della vittima (tradita da Paolo). La vittima, la persecuzione.
Ho sofferto in modo atroce, pur se non l'ho dato molto a vedere, anche perché della mia sofferenza probabilmente non importava niente a nessuno.Si, sono stati dieci anni tremendi. Ora mi sono un pò rafforzato, anche se fondamentalmente sono ancora un isolato. Ma adesso un isolamento che mi sono scelto, per fortuna. Adesso se volessi... basterebbe appena un pò saperci fare, qualche invito a cena e diventerei anch'io come... come il Petrarca glorificato, beatificato e con l'alloro eterno in testa.
L'Espresso 1974
La condizione di vittima si era tradotta in un atteggiamento di sfida (e di rifiuto delle regole della convivenza borghese). Tredici anni prima, nel mezzo degli anni tremendi rispondeva a .un
lettore di <<Vie Nuove>>, nella rubrica che tenne irregolarmente dar n. 22 (28 maggio 1950) al n. 42 (18 ottobre 1962):
Non rinuncerò mai a nulla per la reputazione. Io spero che coloro che mi sono amici, o personali, o in quanto lettori. o come compagni di lotta (e nei cui occhi, lo so, cala un'ombra ogni volta che la mia reputazione è in gioco: un'ombra che mi dà un dolore terribile) siano cosi critici, cosi rigorosi, cosi puri, da non lasciarsi intaccare dal contagio scandalistico: se cosi fosse, gli sconfitti sarebbero loro: se solo cedessero per un attimo e dessero un minimo valore alla campagna dei nemici, essi farebbero il gioco dei nemici.
Era il tempo in cui lo incriminarono, su denuncia di un mitomane, per una inesistente rapina a mano armata in un bar del Circeo.
Un anno e mezzo dopo sarebbe stato trascinato in tribunale (vilipendio della religione) per La ricotta, terzo episodio di ROGoPaG, e condannato a quattro mesi con la condizionale. Ne parlò, fra gli altri, con Sennuccio Benelli.
Mi tormentano. Mi stuzzicano. Mi levano libertà di movimento. Sono due mesi che ho in progetto di partire per Israele, dove devo individuare i luoghi del mio prossimo film che si ispira al Vangelo, e non posso partire, non mi lasciano partire, perché su di me pende ancora un giudizio per l'ultimo film che ho fatto, La ricotta. E' una persecuzione continua. Non posso scrivere un libro, girare un film, muovermi per strada, senza che mi si prenda di mira. Non c'è nulla di più esasperante. Questa persecuzione mi limita, mi mette in uno stato di agitazione continua che leva la pace necessaria per lavorare. Le difficoltà mi pungolano, mi stimolano. Ma preferirei vivere e lavorare in pace.
Il Punto, luglio 1963
Le prime ribellioni al meccanismo perverso della comunicazione di massa risalgono all'epoca (1959) in cui gli fu negato il Premio Viareggio per una vita violenta. Intervistato da Gianni Rocca, in occasione del premio Crotone, assegnatogli lo stesso anno, disse:
Non voglio essere un caso letterario. Non voglio essere ridotto a un fatto di pura attualità, di superficialità giornalistica. So benissimo che se questo viene tentato a ragion veduta. Si portano in primo piano, della mia opera, solo gli aspetti secondari come quelli del linguaggio, della crudezza che c'è nella mia verità.
Il Punto, novembre 1959
Gli toccherà di meditare ancora più amaramente sul successo quando una giornalista scrisse su un rotocalco molto diffuso in una lunga intervista, quanto di più offensivo si potesse scrivere nei suoi confronti.
Devo questo alla parte pubblica della mia vita: a quel tanto di me che non m'appartiene, e che è divenuto come una maschera da Nuovo Teatro dell'Arte; un mostro che deve essere quello che il pubblico vuole che sia. [...l II successo è, per una vita morale e sentimentale, qualcosa di orrendo, e basta. Molti, troppi giornalisti hanno finito col rappresentare. un po' alla volta, questo mondo nemico che vuole che i suoi personaggi siano come lui crede che siano. E, un po' alla volta, ho finito col provare, verso di loro, una specie di rancore, di risentimento oscuro, di patologica irritazione.
La ribellione si sdoppia. Ondeggia fra il tono indignato (e addolorato) della denuncia del mondo nemico, che riduce a mostri i suoi personaggi, e un tentativo ingenuo di difesa, che sembra invocare una sorta di solidarietà corporativa fra gli autori. Una via di uscita politica, praticabile forse dagli altri, non certo da Pasolini. Che, nello sforzo di analizzare la situazione, traccia un quadro assai più influenzato dalla << passione >> che dal rigore scientifico.
L'industria culturale è un fenomeno che comincia, certo, a essere tipico anche qui in Italia, nel fervore neocapitalistico. Ma posso dire che noi autori, almeno fino ad oggi, non ne siamo complici (se non con qualche intervista in più ai giornali o alla radio, o qualche fotografia un po' divistica...). La colpa — SENIPRE! — da parte dei datori di lavoro, non dei lavoratori! Noi che lavoriamo, a romanzi, a saggi, a poesie, siamo sfruttati dagli editori né più né meno che gli operai dai padroni delle fabbriche.
Il discorso si allargherà, perderà questa tendenza alla ipersemplificazione. Non perderà mai la tensione morale che lo sostiene. Pasolini sarà, paradossalmente, tanto più obiettivo e acuto quanto più sarà coinvolto, in proprio e a fondo, nei problemi affrontati. Sicché il fuoco non può non tornare a fissarsi nel luogo sul quale si era concentrato — doverosamente anche sé, in apparenza, banalmente — all'inizio. Se il mondo neocapitalista è l'ambiente, nulla se ne può dire, nulla se ne può conoscere, fuori dell'esperienza personale dell'uomo che lo subisce. All'autoanalisi di apertura, sbrigativa ma sintomatica, va affiancata questa, che Pasolini svolse in un colloquio con Ferdinando Camon.
Sono essenzialmente un introvertito, io. Io tendo a forme dl nevrosi, di ipersensibilità, a complessi di inferiorità, che sono tutte forme di introversione. Alcune forme esibizionistiche si sono evidentemente in me, ma in quel profondo che non implica responsabilità, fanno parte dei miei traumi, della mia psicologia patologica, e io non li domino. Può darsi che l'estroversione sia una rivincita su certe mie esigenze inconsce, che nella vita pratica io non registro e quindi non riconosco più mie, ma che in realtà ci sono.
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