"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Pasolini - Non siamo complici
Vie nuove
numero 42
del 18 ottobre 1962
pag. 35
Caro Pasolini, ricomincia la stagione editoriale e, come negli anni scorsi, avremo nelle principali città italiane una serie di manifestazioni per la presentazione delle nuove opere letterarie. È di prammatica ormai che a queste riunioni siano presenti i maggiori protagonisti della nostra letteratura contemporanea: Moravia, ad esempio, Calvino, Bassani, Soldati ed anche lei, caro Pasolini. Tutti scrittori con interessi e temperamenti diversi, a volte opposti. E tuttavia, tranne casi eccezionali (ricordo soltanto la sua polemica con Cassola) un nuovo romanzo di Calvino sarà presentato e accolto entusiasticamente da Moravia, da Bassani e da Soldati; un nuovo libro di Soldati sarà osannato da Calvino, da Moravia e da Bassani, e via così invertendo l’ordine dei fattori ma sempre con lo stesso risultato. Com’è possibile questo? Non ha anche lei il sospetto, come l’ho io, che tutto ciò accada sotto gli auspici della industria culturale?
Antonio Delle Cese – Albano Laziale
In Italia ci sono degli archetipi – dolorosi, umilianti archetipi – a cui ci si riferisce per spiegarsi ogni fenomeno della nostra vita associata.
Come in ogni paese a carattere arcaico e depresso – tale è, economicamente, metà Italia, e, moralmente, l’altra metà – l’archetipo fondamentale è il «nucleo familiare». La famiglia come clan, come rifugio, come tana, come protezione dal caos e dal diluvio come grembo materno, come terapia ai traumi di una vita che è ancora quella della foresta.
Perciò tutti i fenomeni italiani vengono mentalmente e inconsciamente comparati a questa sua istituzione arcaica, contadina e provinciale. Anche i fenomeni della vita culturale. Tutti coloro che sono fuori da questa vita – perché giovani, o perché abitanti in piccoli centri periferici o in città di provincia, o, infine, perché falliti – la vedono come una famiglia, un clan, una «cricca» (così usano dire non senza volgarità): ed è questa la bella abitudine dei giornali e dei rotocalchi scandalistici (la cui critica letteraria è affidata a dei falliti, appunto).
Ora, le «cricche» (arrossisco a scrivere questa parola), con gli aiuti fraterni, gli appoggi paterni per l’arrampicata sociale, i covi materni per le maldicenze e la distribuzione di premi, ci sono, certo, in Italia, ma a basso livello: a livello periferico e provinciale.
I letterati che lei nomina nella sua lettera sono i più «europei» della letteratura italiana, quelli a più alto livello. Le assicuro che nulla di ciò che lei sospetta avviene. Se lei infatti studia con maggiore cura, direi filologica, le «presentazioni editoriali», talvolta reciproche, vedrà che esse corrispondono sempre a intime affinità elettive o ideologiche tra presentato e presentatore. Non succederà mai che lei riscontri in un esame filologico una presentazione che si configuri, in malafede, come uno strappo al connettivo culturale, morale o ideologico che lega i due autori.
L’industria culturale è un fenomeno che comincia, certo, a essere tipico anche qui in Italia, nel fervore neo-capitalistico. Ma posso dirle che noi autori, almeno fino a oggi, non ne siamo complici (se non con qualche intervista in più ai giornali o alla radio, o qualche fotografia un po’ divistica…). La colpa è – SEMPRE! – da parte dei datori di lavoro, non dei lavoratori! Noi che lavoriamo, a romanzi, a saggi, a poesie, siamo sfruttati dagli editori né più né meno che gli operai dai padroni delle fabbriche. E non ci presteremo mai a fare i crumiri!
Pier Paolo Pasolini
©Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare |
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