"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Pasolini, Un padre nemico-amico: origini di un trauma familiare
Pasolini la quotidiana eresia
di Ferdinando Di Giammatteo
Lo scandalo Pasolini
Rosso e Nero
gennaio/aprile 1976
( © Trascrizione da cartaceo, curata da Bruno Esposito ).
Sommario:
Un padre nemico-amico: origini di un trauma familiare
Mio padre, difficile parlare di lui, era un uomo molto diverso da me e con cui ho avuto rapporti molto difficili. I tipici rapporti tra padre e figlio quando questi rapporti sono drammatici. Prima di tuttoinconsciamente, per ragioni che spiegherebbe Freud meglio di me; e anche per ragioni oggettive di carattere. Mio padre era un uomo un po' all'antica. Era ufficiale, pensava esattamente il contrario di quel che pensassi io allora. Ma Sono un po' ingiusto a dire questo. Questa differenza c'era, inconsciamente io ero profondamente nemico a lui, e lui profondamente nemico a ma, inconsciamente. Ma in realtà è stato poi lui che mi ha quasi spinto a scegliere la carriera che ho preso. E' il rapporto più drammatico che io abbia avuto nella mia vita.
Televisione della Svizzera Italiana, ottobre 1966
Il rapporto padre-figlio, tema centrale della psicoanalisi, ha segnato la psicologia di Pasolini nel modo che tutti sanno. Intrecciato a quello madre-figlio, che ne è insieme la matrice e l'effetto.
Sembra un caso da manuale, come Pasolini stesso ha sottolineato e come sempre hanno ripetuto i suoi critici. Si potrebbe dire che ogni cosa è risolta fin dal principio, esemplarmente, e forse è davvero cosi. Esiste anche una interpretazione sociologica, che l'autore espose con estrema (e forse un poco riduttiva) chiarezza, quando un intervistatore — Michel Maingois — gli fece notare che i rapporti fra padre e figlio sono difficili soprattutto nelle borghesia e che, perciò, il problema delle generazioni non può
prescindere dal problema delle classi.
Il rapporto padre-figlio è in genere assai più semplice nelle classi popolari.E', in effetti. sempre complesso ma nelle classi popolari accade sovente che il figlio riproduca il padre; e se col padre vi sono rapporti difficili, li ignora, li trascura, oppure li accetta Obiettivamente, in realtà tutta l'interpretazione freudiana si riferisce soprattutto alla piccola borghesia.
Zoom 1974
Vè dell'altro, però. V'è il modo in cui Pasolini ha definito pubblicamente il legame che lo unì a suo padre (e a sua madre): il modo non è stato sempre lo stesso, e non ogni volta che egli parlò di quell'ufficiale << un po' all'antica >> disse le stesse cose e rivelò gli stessi sentimenti. Esiste un documento di sei anni precedente l'intervista televisiva, nel quale la drammaticità del contrasto si appoggia a una serie di elementi biografici minuziosamente evocati. Si trova in uno dei colloqui che Elio Filippo Accrocca ebbe intorno al 1959 con numerosi scrittori italiani e che l'anno seguente pubblicò presso un editore veneziano (una parte delle dichiarazioni pasoliniane la riprodusse, senza citare la fonte, Corrado Stajano su Tempo del 3 febbraio 1965; altre parti subirono la medesima sorte, su giornali e riviste, talvolta presentate come interviste originali. Lo si rileva qui non solo per fornire una conferma dell'esattezza di quanto diceva Pasolini sul mondo nemico ma anche per illustrare uno degli aspetti meno visibili dell'azione dei mass media).
Apparteneva a un'antica famiglia di Ravenna, e aveva sperperato tutto il patrimonio. Passionale, sensuale, violento di carattere: ed era finito in Libia, senza un soldo. Cosi aveva cominciato la carriera militare, da cui sarebbe poi stato deformato e represso fino al conformismo più definitivo. Avevapuntato tutto su di me, sulla mia carriera letteraria, fin da quando ero piccolo, dato che ho scritto le prime poesie a sette anni; aveva intuito pover'uomo. ma non aveva previsto, con le soddisfazioni, le umiliazioni.[…] Vide uscire i miei libretti, segui i miei primi piccoli successi critici, mi vide laureato in lettere: e intanto mi capiva sempre meno. […] Nei primi mesi del '50 ero a Roma, con mia madre. […] Due anni di lavoro accanito, di pura lotta; e mio padre sempre là, in attesa, solo nella povera cucinetta, coi gomiti sul tavolo e la faccia contro i pugni, immobile, cattivo, dolorante; riempiva lo spazio del piccolo vano con la grandezza che hanno i corpi morti. […] Mio padre soffriva, ci faceva soffrire: odiava il mondo che aveva ridotto a due tre dati ossessivi e inconciliabili: era uno che batteva continuamente, disperatamente la testa contro un muro. La sua agonia vera durò molti mesi: respirava a fatica, con un continuo lamento. Era malato di fegato, e sapeva che era grave, che solo un dito di vino gli faceva male, e ne beveva almeno due litri al giorno. Non Si voleva curare, in nome della sua vita retorica. Non ci dava ascolto, a me e a mia madre, perché ci disprezzava. Una notte tomai a casa, appena in tempo per vederlo morire.
Questo rancore profondo, appena velato di pietà, non sarà mantenuto. Visto da una angolazione <<tradizionale>>, appare eccessivo e inumano. A Pasolini, invece, apparve sbagliato, e lo corresse. Senti il bisogno di modificare non il giudizio ma l'interpretazione dei, fatti, in quell'assiduo impegno di autoanalisi — privata e pubblica — che costituisce uno dei cardini della sua psicologia. Lo fece con Oswald Stack. un critico inglese che lo intervistò più volte. nel corso di due settimane nel 1968, seguendo lo sviluppo cronologico dell'opera letteraria e cinematografica.
Ho sempre pensato che Odiavo mio padre ma recentemente, mentre scrivevo uno degli ultimi drammi in versi (u Affabulazione che tratta dei rapporti tra un padre e un figlio, mi sono accorto che gran parte della mia vita erotica ed emotiva dipende sostanzialmente non dall'odio ma dall'amore per mio padre, un amore che avevo dentro di me all'età di un anno e mezzo, o forse a due o tre anni, non so: cosi almeno ho ricostruito le cose. Mio padre mori nel 1959, dopo esser tornato dalla prigionia nel Kenia. Dedicai a lui un libro di poesie che scrissi nel 1942, in dialetto friulano. Il friulano è il, dialetto di mia madre. Mio padre lo osteggiava, naturalmente. Sia ché era dell'Italia centrale e pensava perciò, in un certo modo razzisticamente, che tutto quanto veniva dalla periferia del paese e aveva qualche rapportocoi dialetti fosse cosa inferiore. Sia perché era fascista (il fascismo era ideologicamente ostile ai dialetti, una forma di vita reale che il regime voleva nascondere). Dedicare a lui questo volume di poesie fu un'autentica provocazione. […] Non Io odiavo, ero in conflitto con lui, in uno stato di continua, persino violenta, tensione. Per molte ragioni, la più importante delle quali era che mio padre era arrogante, egoista, egocentrico, tirannico, autoritario, ma anche, nello stesso tempo, straordinariamente ingenuo. Ufficiale dell'esercito, nazionalista, filofascista: ecco un'altra ragione, oggettiva e giustificata, dello scontro. Inoltre, i suoi rapporti con mia madre erano difficilissimi. Lo capisco solo ora, forse l'amava troppo e questo amore non era forse completamente corrisposto. E questo mi metteva in uno stato di violenta tensione, e io, come tutti i bambini, stavo dalla parte dl mia madre. […] Per molto tempo ho creduto che tutta la mia vita erotica ed emotiva nascesse da questo amore eccessivo, quasi mostruoso, per mia madre. Ora mi Sono reso conto che anche il rapporto con mio padre fu importantissimo.
Pasolini on Pasolini 1969
Nel '71, in un penetrante e affettuoso dialogo con Dacia Maraini, Pasolini precisa quel cenno alla prima infanzia. quando aveva dentro di sé l'amore per il padre, e sviluppa il tema amore-conflitto con alcune osservazioni biografiche nuove, e le vecchie riproponendo sotto una nuova luce.
Mio padre era un bellissimo uomo. Quando sono nato io aveva vent'otto anni. Era di statura non troppo alta, bruno. molto forte, gli occhi scuri e limpidi, i lineamenti marcati. Era violento, possessivo, tirannico. Prima dei 'tre anni me lo ricordo anche allegro. […] Nei primi anni della mia vita per me lui è stato più importante di mia madre. Era una presenza rassicurante, forte. Un vero padre affettuoso e protettivo. Poi, improvvisamente, quando avevo circa tre anni, scoppiato il conflitto. Da allora c'è sempre stata una tensione antagonistica, drammatica, tragica fra me e lui. […] A tre anni cambiato tutto. Quando mia madre stava per partorire [era incinta del fratello Guido]. ho cominciato a soffrire di bruciore agli occhi. Mio padre mi immobilizzava sul tavolo della cucina, mi apriva l'occhio con le dita e mi versava dentro il collirio. E' da quel momento "simbolico" che ho cominciato a non amare più mio padre.
Affiorano le coincidenze. segni premonitori. Pasolini non insiste, ammicca. Senza alcuna malizia qui (diversamente che altrove), con la sincerità che gli suggerisce la presenza amichevole dell'interlocutrice. Tutto — le figure dei genitori, i fatti dell'infanzia, i presentimenti, i << numeri magici >> — si è già saldato nell'inconscio. Le connessioni (implicite) di causa-effetto sono cosi perfette che sembrano inventate. Ma a questo livello, si sa, l'apparenza è realtà.
Mia madre era bellissima. Era piccola, fragile, aveva il collo bianco e i capelli castani. Nei primi anni della mia vita ho di lei un ricordo quasi invisibile. Poi salta fuori improvvisamente verso i tre anni e da allora tutta la mia vita e stata imperniata su di lei.
— Ma tu allora — chiede Dacia Maraini — giocavi con gli altri bambini o facevi una vita solitaria?
Avevo solo tre anni! Ricordo che stavo in mezzo a dei ragazzi che giocavano nella piazza davanti casa. Ero attratto dalle loro gambe, anzi precisamente dall'incavo dei loro ginocchi. E' la prima parte del corpo che mi ha colpito come corpo. Uno dei ragazzetti mi attraeva e non sapevo perché. Questo sentimento di affetto l'avevo chiamato Teta-velata. Qualche anno fa Contini mi ha fatto osservare come in greco Tetis voglia dire sesso (sia maschile che femminile) e come Teta-velata sia un "reminder" del tipo che si usa nei linguaggi arcaici. Questo stesso sentimento di Teta-velata lo provavo per il seno di mia madre.
Ancora, i rapporti fra il padre e la madre (procediamo più liberamente dell'intervista, per sviluppare in modo più chiaro l'analisi del trauma familiare).
Mio padre e mia madre non andavano d'accordo per niente. Tutta la mia vita è stata influenzata dalle scenate che mio padre faceva a mia madre. Quelle scenate hanno fatto nascere in me il desiderio di morire. Mio padre era innamorato pazzo di mia madre ma in modo sbagliato, passionale, possessivo. La cosa odiosa poi era che lui trasferiva la sua passione non corrisposta in piccole osservazioni tipo il bicchiere fuori posto, l'asciugamano non lavato, il cibo troppo salato eccetera. [E lei] reagiva lamentandosi dolcemente.
— Ma di che cosa la rimproverava tuo padre?
Le rimproverava di avere la testa nelle nuvole. Ma non era vero. Il fatto è che lui era fascista e lei no. Fra di loro non parlavano mai di politica, ma mio padre sapeva che mia madre pensava di Mussolini che era una "culatta" , cioè "chiappe grosse" , come lo chiamava gaddaniamante mia nonna. Stare nelle nuvole par lui voleva dire essere anticonformista, in contrasto con le leggi dello Stato, dissidio con l'opinione dei potenti.
L'origine inconscia dell'antifascismo pasoliniano trova una conferma sin troppo scoperta. Il contatto con il lavoro e la vita dei braccianti friulani, la guerra, la morte del fratello Guido ucciso in montagna dagli Slavi
(<<Le avventure zingaresche di costoro contro di noi — scrisse Pasolini nel 1946 su <<La Fiera letteraria>> — non sono di data recente; risalgono al cuore della guerra partigiana. Lo sa il mio povero fratello, lo sanno i suoi comandanti De Gregori e Valente, lo sanno i suoi quattordici compagni, tutti trucidati sui monti del cividalese, per la sola colpa di aver combattuto con giovanile, commovente coraggio contro l'invasore tedesco >>),
la lettura di Gramsci nel dopoguerra porranno l'antifascismo su basi razionali. E il padre resterà il nemico odiato-amato che incarnerà il sentimento del passato da rinnegare.
Era orgoglioso delle sue Origini nobiliari. Era orgoglioso soprattutto di un fratello che si chiamava Pier Paolo che scriveva poesie. Questo fratello è morto a venti anni, in mare. affogato mi pare.
— E' per quello che ti hanno chiamato Pier Paolo?
Si. E la cosa strana è che mio padre, per amore di questo suo fratello morto ragazzo, ha appoggiato la mia aspirazione quasi perfino contro se stesso. Io fino ai sedici anni volevo fare l'ufficiale di marina. Lui invece diceva che dovevo fare lettere, poi naturalmente i suoi incoraggiamenti si sono ritorti contro di lui.
— Perché ritorti?
perché lui attribuiva alla poesia un carattere ufficiale. Non pensava che potesse essere eversiva, scandalosa. Lui pensava a Carducci , a D'Annunzio.
Sul piano razionale, il padre si trasforma nel tiranno, nel potere. Il problema personale diviene — esplicitamente in due film: Edipo re (1967) e Porcile (1969); implicitamente in tutti gli scritti <<un fatto generale, politico (lo saggistici e negli interventi — ricordò Pasolini nell'intervista con Michel Meingois), che non riguarda più il mio rapporto privato con mio padre>>.
I miei rapporti drammatici avvengono con tutto ciò che è paterno. Mettiamo, con lo Stato, o con il sentimento medio della vita che hanno gli uomini, on la società, ecc. Con persone singole un rapporto cosi drammatico come con mio padre non l'ho più avuto. Anche perché l'ho sfuggito. Non per paura, per esperienza. Perché è un rapporto assolutamente infecondo. E' fecondo se questo rapporto è — poniamo — con lo Stato, che rappresenta il padre, e questo allora obbliga il figlio a essere una specie di contestazione vivente: ed è fonte di poesia, di pensieri, di ideologia, di vita insomma. Ma con le persone singole che si pongono con me in un rapporto paterno, vedo che la cosa sarebbe completamente assurda. Non l'accetto.
Televisione della Svizzera Italiana. ottobre 1968
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