Processo alla Tappa di Zavoli
Il giovane Pasolini si muove in bicicletta per insegnare, in bicicletta fa politica, in bicicletta si innamora. La bici è una fedele compagna delle sue passioni, dei suoi stati d’animo, l’interruttore delle sue memorie, basta schiacciarlo, basta parlarne e va in onda in una moltitudine di ricordi”. Così Valerio Piccioni in Quando giocava Pasolini, Limina, 1996, in un capitolo dedicato interamente alla passione di
Pasolini per la bici, in particolare nella giovinezza friulana (si rilegga il romanzo Il sogno di una cosa) e nei primi tempi romani, prima che Fellini gli regalasse una 600 Fiat. La gita più “incredibile” risale al 1940: da Bologna a Venezia, poi per San Vito di Cadore, quindi a Casarsa. Un’ impresa. Riportata in esergo da Piccioni al capitolo ciclistico, ecco, nell’epistolario, il ricordo dello scrittore di una lunga gita friulana:
"Ad ogni modo una cosa bella da essere confusa con un sogno, l’ho avuta: il viaggio da San Vito a qui, in bicicletta (130 KM): esso appartiene a quel genere di avvenimenti che non possono essere raccontati senza l’aiuto della voce e dell’espressione. L’alba, le Dolomiti, il freddo, gli uomini coi visi gialli, le case e i sagrati estranei, l’accento estraneo, le cime e le valli nebbiose irragiate dall’aurora."
"Pasolini mangiava poco," scrive Piccioni, "non beveva alcolici, non fumava. Era un uomo sportivo nel vero senso della parola. L'abitudine al moto, alla corsa, era nata spontanea nella sua infanzia itinerante, rafforzata dalle successive, diverse gioventù: quella ludico-vacanziera del Friuli e quella liceale-universitaria di Bologna".
Nel 1969, durante una trasmissione del Processo alla tappa di Sergio Zavoli, Pasolini viene intervistato da Vittorio Adorni e qualche giorno successivo, L'intellettuale pubblica nella sua rubrica Il Caos (Tempo n. 23 a. XXXI, 7 giugno 1969) , un articolo con il titolo: Le vittorie di Merckx sono scandali.
Qui il video-intervista e sotto l'articolo.
In una mia rubrica del "Caos" ("Tempo", n. 1 del 1969), dicevo come, andando a vedere una partita di calcio, allo stadio di Torino (insieme a Mario Soldati), mi ero accorto che nulla, intorno a me, in uno stadio, durante una partita di serie A, era cambiato rispetto a venticinque anni fa, quando, dello stadio Comunale di Bologna, ero frequentatore assiduo. Lo sport quando ero ragazzo e lo sport oggi.
Che cosa non è cambiato e che cosa è cambiato? Non è cambiato nulla. É cambiato tutto. Questa contraddizione, gli atleti (i calciatori, i ciclisti) la vivono "nel loro corpo": per corpo intendo un "luogo", una "sede", e insieme lo strumento di una "tecnica" (il lettore curioso legga l'antropologo Mauss, con le sue note sulle "tecniche corporali": il libro è edito da Einaudi). Mi spiego: guardavo, al "Processo alla tappa", le presenze fisiche dei corridori: il commovente, adorabile, volgarmente intervistato (mi scusino i telecronisti sportivi, se mi sono amici), eppure trionfante, nella volgarità dell'intervista come Charlot sui pattini sull'orlo del precipizio: che non cade, no, non cade, "perché è innocente". E nell'innocenza c'è un idealismo che nessuno spirito riduttivo, sarcastico, goliardico, sadico, piccolo-borghese della televisione potrà mai nemmeno incrinare. Dancelli, accorato come un ragazzino, che vede le ingiustizie del mondo con chiarezza e umiltà, senza arrendersi ma senza per questo incattivirsi o rendersi prepotente. L'intelligente Taccone, che, forse perché viene dal Sud, a differenza di Dancelli, è costretto a portare più avanti la critica: non solo lotta, ma cerca di farsi cosciente dei termini reali di questa lotta (ho
usato, e non senza ragione, una terminologia da "Unità"). E non dimentico i tre gregari, naturalmente anonimi, interrogati a proposito di non so che problemi di rifornimento: la loro strabiliante rassegnazione alle crudeli e stupide regole del gioco; le loro modeste ambizioni (soprattutto quel ragazzino toscano, che viveva il sogno, appunto, come in sogno). Ora, io avevo accettato di partecipare al "Processo alla tappa", invitato dai suoi organizzatori, per una sola ragione: perché mi avevano detto che avrei discusso con Merckx del problema del rapporto tra "nazionalismo" e "sport", cui avevo accennato in una nota (sempre qui, nel "Caos", "Tempo" n. 19). Non so per quale ragione, senza preavvertimento se non all'ultimo istante, Merckx è stato sostituito con Adorni (l'unico viso piccolo-borghese, ancorché grazioso, tra tutti i simpatici visi popolari dei ciclisti: Adorni farà, questo è certo, più carriera come annunciatore della televisione che come ciclista). Così si è parlato del più e del meno, cioè del nulla.
Ma ho in compenso intuito, attraverso questa esperienza, ciò che è cambiato e ciò che non è cambiato nel "corpo" di un atleta, rispetto a venti-venticinque anni fa: si è radicalizzato in esso il conflitto tra realtà e irrealtà. La realtà è esistenziale, col suo bello e il suo brutto (nei corridori ciclisti - operai, contadini - prevale il bello, l'innocente, e se la coscienza di classe c'è come in Taccone, è priva di stupida aggressività): l'irreale è la cultura borghese di massa, coi suoi media. Ebbene, in Dancelli, in Taccone, figure umane in carne e ossa viene vissuto il conflitto tra questi due mondi: la loro simpatia umana è insopprimibile, a
tutt'oggi, eppure qualcosa tende con violenza a sopprimerla: e loro lo sentono. Lo sentono magari limitatamente alle ingiustizie "pratiche" quotidiane. Essi non osano dire la verità (della loro situazione pratica), ma l'alludono soltanto: se la dicessero farebbero una cosa sconveniente rispetto al "video" e ai loro datori di lavoro. Un atleta ha un solo modo per realizzare pienamente la propria libertà: lottare liberamente per vincere. Le vittorie sembrano invece regolate da una volontà repressiva, che umilia i corridori. Essi sono dunque fisicamente gli stessi che venti-venticinque anni fa, mentre il loro rapporto reale con noi ha subito irrimediabilmente un ulteriore processo di alienazione e falsificazione. Merckx è un grandissimo campione perché vince indipendentemente da tutto questo. Il corpo di Merckx è più forte del consumo che se ne fa. Le vittorie di Merckx sono scandali.
Pier Paolo Pasolini
“Il Caos” su «Tempo», n. 23 a. XXXI, 7 giugno 1969
“Il Caos” su «Tempo», n. 23 a. XXXI, 7 giugno 1969
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