"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Nel 1958 Pier Paolo Pasolini conduce l’inchiesta sulle periferie di Roma dal titolo
Viaggio per Roma e dintorni
suddivisa in tre articoli
1) Il fronte della città
2) I campi di concentramento
3) I tuguri
pubblicati su Vie Nuove nel mese di maggio.
Le abitazioni di Roma si dividono in tre categorie:
1) abitazioni vere e proprie;
2) baracche, grotte e cantine;
3) alloggi collettivi (casermaggi, scuole):
cosi afferma il censimento del 1951. Sono 11.000 i romani che vivono in « alloggi di seconda categoria »: grotte e cantine, baracche e tuguri e capanne, fatti di legno, di lamiera, di sassi e di cartone, costruiti a ridosso delle vecchie borgate, a fianco dei medi quartieri o tra le arcate ed i ruderi di mura romane. Le stesse « borgate » costruite venticinque anni fa per gli abitanti delle zone demolite per far posto alte mostruose costruzioni imperiali, sono ormai un vero agglomerato di malattie di squallore di miseria. I bambini vi sono condannati alla ignoranza ed alta malattia: a Pietralata soltanto 90 bambini sui 117 in età scolastica frequentano le elementari e solo 14 su 94 1'asilo. Su 583 persone, 131 pari al 22,47% sono ammalate.
Il fronte della città
Cos'è Roma ?
Qual è Roma ?
Dove finisce e dove comincia Roma?
Roma sicuramente è la più bella città d'Italia — se non del mondo. Ma è anche la più brutta, la più accogliente, la più drammatica, la più ricca, la più miserabile. Il cinema ha molto aiutato a farla conoscere, anche a chi non ci vive. Ma bisogna stare attenti: il gusto neorealistico che ha presieduto ai film su Roma è troppo imbevuto di bozzettismo, di particolarismo dialettale, di ottimismo umanitario, di crepuscolarismo: tutte cose che non potranno mai dare, col loro tono medio, grigio o roseo, l'atmosfera di questa città che è cosi drammaticamente contraddittoria. Le contraddizioni di Roma sono difficili a superarsi perchè sono contraddizioni di genere esistenziale: più che termini di una contraddizione, la ricchezza e la miseria, la felicità e l'orrore di Roma, son parti di un magma, di un caos.
Per lo straniero e il visitatore Roma è la città contenuta entro le vecchie mura rinascimentali: il resto è vaga e anonima periferia, che non vale la pena di vedere.
Dentro le mura, si tratta di una stupenda città italiana che anzichè avere tradizioni solo classiche, o medievali, o comunali, o rinascimentali, o barocche, le ha tutte insieme. Sezionata, Roma presenterebbe una quantità straordinaria di strati: e questa è la sua bellezza. Aggiungi il sole, l'aria tenera, l'allegria della vita all'aperto — che non è mai idilliaca, ma ha sempre un fondo drammatico, e quindi non può stancare mai, è sempre viva, emozionante... E aggiungi che la piccola e grossa borghesia non hanno, all'esterno, ruolo importante nel centro della città: che è ancora caratterizzato solo dal popolo, come nelle città meridionali o borboniche, con tutte le fittizie gioie del vitalismo e del paganesimo servile.
La Roma ignota al turista, ignorata dal benpensante, inesistente sulle piante, è una città immensa.
Qualche barlume, anche il turista idiota e il benpensante che si benda gli occhi, di questa città sproporzionata e affondata in mille, grandiosi comparti stagni, lo può avere se appena guardi fuori dal finestrino del treno o del pullman che lo trasporta. Allora, davanti al suo occhio che non vede, voleranno di qua e di là frammenti di villaggi di tuguri, distese di casette da città beduina, frane sgangherate di palazzoni e cinema sfarzosi, ex casali incastrati tra grattacieli, dighe di pareti altissime e vicoletti fangosi, vuoti improvvisi in cui ricompaiono sterri e prati con qualche gregge sparso intorno, e, in fondo — nella campagna bruciata o fangosa, tutta collinette, montarozzi, affossamenti, vecchie cave, altipiani, fogne, ruderi, scarichi, marane e immondezzai — il fronte della città.
Ora è una striscia abbacinante di case che serpeggia sul contorto orizzonte. Ora una catasta colorata, grandiosa come un'apparizione', sull'imprevedibile costone di un'altura. Ora una enorme parete grigia che "incombe tra viadotti e cavalcavia come uno strapiombo.
Non è facile dare un pò d'ordine a questo caos. Ma dei tipi, delle zone, si possono distinguere, magari per gradazione di livello di vita. C'è intanto una periferia generica, ch'è detta residenziale, dove la bruttezza può essere, malgrado il sole, solo estetica. Ma quella di tipo più popolare acquista già aspetti disumani, violenti, inaccessibili, difficilmente interpretabili.
La raggera delle vie consolari — l'Appia. la Prenestina, la Tuscolana, la Casilina. l'Aurelia ecc. — forma intorno alla città vera e propria — con le sue complicate ma tradizionali agglomerazioni umane, coi suoi inestricabili ma storici nodi di « livelli di culture » — un'altra città, che non si sa bene se sia centrifuga o centripeta, se crei del nuovo o se si ammassi intorno al vecchio per assimilarsi ad esso, come l'enorme accampamento di un esercito di assedianti.
Per ora pare sia nata a caso, si sia ingigantita senza senso, viva di una esistenza nè propria nè marginale. C'è un certo momento, in chi osserva questo fenomeno della città che cresce di anno in anno, di mese in mese, di giorno in giorno, che pare non esserci altro mezzo di conoscenza che l'occhio. Lo spettacolo visivo è cosi assillante, grandioso, senza soluzione di continuità, che pare di poter risolvere tutto, intuitivamente, in una serie ininterrotta di osservazioni: di inquadrature, verrebbe voglia di dire, da una infinità di primi piani particolarissimi, a un'infinità di panoramiche sconfinate.
Lo spettacolo per l'occhio è inesauribile, dunque: da Monte Mario a Monteverde, da San Paolo all'Appio, dal Prenestino a Monte Sacro, l'esplosione edilizia non ha limite.
Come è estremamente difficile descrivere le forme di questo fronte della città che avanza, perchè bisognerebbe ripetersi mille volte ed essere mille volte diversi, cosi è difficile definire la gente che vi abita.
Roma, si sa, formicola ancora di sottoproletariato (Trastevere, Borgo Panigo, Campo dei Fiori ecc. ecc.): e, quindi, di anarchia, e malavita. Le prime fabbriche e fabbrichette romane cominciano ora ad allinearsi sulla Tiburtina. L'unica industria viva — almeno fino a qualche anno fa — la cinematografia, è l'industria-campione del mondo del lavoro romano: una industria che non implica necessariamente coscienza di classe, in chi vi lavora, ma tende a perpetuarvi lo stato psicologico di passività servile, di conformismo ecc... che è tipico della città di tradizione democratica cosi recente (e importata).
La vita — in questi quartieri sconfinati, cosi diversi e accidentati — si riduce poi a forme elementari e monotone.
Questo dell'uomo ridotto cosi a un rapporto periferia residenziale-centro lavorativo, e coatto a un ripetersi senza fine degli atti del suo interno sistema di vita, è un problema estremamente vivo, che tuttavia riguarda ancora più il futuro che il confuso farsi presente.
Per chi cerchi di guardare dietro il fronte della città, il problema immediato è ancora un altro, ed è molto semplice. Malgrado l'eruzione edilizia la difficoltà di avere una casa resta uguale. I centodiecimila vani costruiti l'anno scorso lasciano le cose come stavano. E, di più, va aggiunta la tragedia della disoccupazione degli edili.
All'interno, dunque, il fronte della città ha due facce: quella di chi costruisce e quella di chi abita.
Coloro che costruiscono sono pochi, e in che cosa consista la loro operazione, dopo lo scandalo dell'Immobiliare e le continue denunce della stampa libera, è ben noto a tutti. Coloro che abitano sono una quantità enorme, e, benché magari fieri dei loro nuovi appartamentini al settimo piano di uno dei cento palazzoni che si accalcano su un'altura, dormono ancora in quattro o cinque per camera. L'agio su cui fa leva l'influenza ideologica della classe al potere, dando inizio all'epoca della televisione e dei flippers, e su cui si sta impiantando quella specie di americanismo cui accennavamo, è in realtà ancora disordine, miseria. precarietà: e tanto più gravi, appunto, perchè si presentano sotto forma di agio, di meno peggio — mentre tutto, invece, sarebbe ancora da incominciare.
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