"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Nel 1958 Pier Paolo Pasolini conduce l’inchiesta sulle periferie di Roma dal titolo
Viaggio per Roma e dintorni
suddivisa in tre articoli
2) I campi di concentramento
pubblicati su Vie Nuove nel mese di maggio.
( © Trascrizione integrale da cartaceo, curata da Bruno Esposito )

OGNI CITTA' italiana, anche nel Nord, ha, alla periferia, dietro gli ultimi orti, i suoi piccoli campi di concentramento per « miserabili » : sono per Io più capannoni, casermette, baracche. Ma in nessuna citta italiana il fatto presenta aspetti cosi impressionanti, complessi, direi grandiosi, come a Roma. La « borgata » è un fenomeno tipicamente romano, in quanto Roma fu capitale dello Stato fascista. E' vero, continuano a sorgere anche oggi delle « borgate ». Ma, per così dire, sono borgate « libere » : ammassi di casette a uno o due piani, senza tetto, per anni e anni senza infissi, e senza intonaco, biancheggianti di calce in fondo alle campagne semi-abbandonate — lussureggianti o fangose — come villaggi beduini. Le strade sono per lo più piste di fango o polverone: come a Rebibbia, ad esempio: dove un certo Graziosi ha venduto il terreno a lotti, facendo firmare ai lottizzatori (operai che si sarebbero poi costruiti da sè la casa) dei compromessi in cui essi accettavano di comprare col lotto anche la sede stradale, con l'assicurazione del tempestivo intervento comunale per la costruzione della strada. Alcuni lottizzatori accettarono, altri no, all'insaputa gli uni degli altri: sicchè la sede stradale, frazionata, è rimasta tale e quale: l'intera borgata ha per strade sentieri polverosi o rigagnoli, secondo le stagioni.
Di borgate come questa formicola tutta la campagna romana, circa alla altezza dell'accordo anulare.
Sono borgate di gente povera, ma in genere, onesta e lavoratrice; assai spesso sono immigrati, o dal vicino Lazio o dalle regioni centrali, che hanno portato nel caos della capitale e nel piccolo caos della loro borgata un costume di serietà e di dignità rurale d'antica provincia.
Le vere e proprie borgate, però, sono altre, e sono caratterizzate dal fatto di essere « ufficiali »: costruite cioè dal Comune, si direbbe a bella posta, per concentrarvi i poveri, gli indesiderabili. Questa, almeno, è la loro origine, non solo cronologica, ma anche ideale.
Le prime « borgate » furono costruite dai fascisti in seguito agli sventramenti: sventramenti che non obbedivano solo a un ideale estetizzante-dannunziano, evidentemente: ma erano — in seconda istanza, ma, in realtà, in sostanza — operazioni di polizia. Forti contingenti di sottoproletariato romano, formicolante al centro, negli antichi quartieri sventrati, furono deportati in mezzo alla campagna, in quartieri isolati, costruiti non a caso come caserme o prigioni.
E' nato in quel periodo lo « stile » della borgata: il fondo, naturalmente, è di tipo classicheggiante e imperiale: ma ciò che è tipico è il ripetersi ossessivo di uno stesso motivo architettonico: una stessa casa è ripetuta in fila cinque, dieci, venti volte: lo stesso gruppo di case, si ripete anch'esso cinque, dieci, venti volte uguale. I cortili interni sono tutti identici: lividi, arsi cortiletti di prigioni, con file di sostegni di cemento per i bucati che sembrano file di forche, col lavatoio e col gabinetto che serve all'intero lotto.
Un pò alla volta la città si è avvicinata a queste borgate che prima della guerra erano perdute nella campagna, le ha inghiottite; le sta inghiottendo: ma esse vi persistono, stilisticamente e psicologicamente, come «isole». Ai primi «miserabili » dal fascismo, si sono aggiunte famiglie di sfrattati, e poi di sfollati. I cassinesi vi sono giunti a branchi.
Naturalmente durante il periodo fascista, la guerra, e il dopoguerra, la delinquenza e la malavita vi hanno fiorito. Il « gobbo del Quarticciolo» è passato ormai alla leggenda. Con l'impiego di migliaia e migliaia di disoccupati nell'edilizia e con la immissione degli immigrati il livello civile e morale è un pò cresciuto. Ciononostante continua certo a restare tra i più bassi della nazione.
SIAMO ritornati in questi giorni alla borgata Gordiani: la stanno distruggendo. Là dove si stendevano le file di casette, atrocemente tristi, sporche, disumane -— ora c'è una distesa di breccia rossiccia: dietro vi biancheggia, allucinante, il fronte di Centocelle.
Gruppi di casette sono ancora in piedi, sopravvissute, e destinate presto a scomparire. Presto l'altopiano dei Gordiani sarà tutto spianato, e, della borgata, si perderà il ricordo.
La maggior parte degli abitanti di queste casette sono stati trasferiti, dopo un decennio di lotte e di speranza, alla Villa Gordiani e alla Villa Lancelloti, sulla Prenestina, non lontano dall'antica borgata.
Ci siamo andati. Nulla, in realtà, è cambiato. Anzichè le misere casette a un piano, con davanti il misero cortiletto, ci sono ora questi palazzoni nuovi di zecca, appena costruiti tra distese di sterri, prati abbandonati e immondezzai. Ma qual è il criterio stilistico, sociologico e umano di queste nuove abitazioni? Lo stesso. Siamo sempre alla nozione di campo di concentramento. Fra due o tre anni queste pareti saranno scrostate, questi cortiletti lerci: le stanze non basteranno più, come del resto non bastano nemmeno ora. Non c'è stato ricambio sociale, mescolanza, libertà: la stessa gente è stata trasferita in massa da un campo vecchio a uno nuovo.
Le « borgate» democristiane sono identiche a quelle fasciste, perchè è identico il rapporto che si istituisce tra Stato e « poveri »: rapporto autoritario e paternalistico, profondamente inumano nella sua mistificazione religiosa.
Per avere un'idea di quanto stiamo dicendo, andate oltre Centocelle, e, se potete valicare il caos delle strade in costruzione, degli spiazzi melmosi e dei cantieri, che stanno sorgendo sgangheratamente. come in un quartiere cinese, in fondo al Prenestino, scendete al Quarticciolo. E' inutile che vi entriate: lo spettacolo è ben noto. Basta che vi fermiate alle porte.
Come il fronte di un penitenziario si profilerà davanti a voi la prima fila di lotti: alti, contrariamente al solito, tre o quattro piani, di un indefinibile color liquerizia o rosa antico, sinistro. Un'infinità di finestre e finestroni e di altri ornamenti di un tipico Novecento imperiale, si dispongono lungo questo tetro strapiombo non senza pretesa di grandiosità.
Davanti c'è una strada, brulicante di miseria e di canti, percorsa da un vecchio autobus, spigoloso, e, lungo questa strada, scorre una marana, con le rive incrostate di fango e immondizia e le acque nere.
Al di qua della marana ci sono i lotti nuovi, costruiti in questi ultimi due o tre anni.
L'architettura è identica a quella della vecchia borgata: la pianta è quella del campo romano, a strade perpendicolari: lungo queste strade si dispongono i palazzoni, in file identiche, identici tra loro. Solo che invece di essere orizzontali son diagonali. allineando spigoli anzichè facciate, per essere meglio esposti al sole — quasi che a Roma ci fosse penuria di sole: invece di avere un'aria classicheggiante e grandiosa hanno un'aria romantica e civettuola. La differenza tra la borgata fascista e la borgata democristiana è tutta qui.
Pier Paolo Pasolini
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Curatore, Bruno Esposito
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