"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Viaggio per Roma e dintorni
suddivisa in tre articoli
1) Il fronte della città
2) I campi di concentramento
3) I tuguri
pubblicati su Vie Nuove nel mese di maggio.
( © Trascrizione integrale da cartaceo, curata da Bruno Esposito )
Uno dei più miseri agglomerati della Roma di periferia, il Mandrione, un budello, che si snoda tra un massiccio muraglione e un tratto di strada ferrata. A ridosso del muraglione sorgono i tuguri, piccoli, fetidi, simili a tanti oscuri e malsani canili, la visione panoramica del villaggio di tuguri dell'Acquedotto Felice. Sotto il cielo annuvolato il desolato paesaggio acquista un rilievo anche più drammatico, nè certo allieta la presenza di due bambini e di un povero cane randagio in cerca di rifiuti.
I villaggi di tuguri si contano a decine, si acquattano tra gli squarci della città, si aggrappano ai muraglioni degli acquedotti, si stendono lungo gli argini di ferrovie e terrapieni. Queste tane d'uomini sono focolai di malattie, di miseria, spesso di violenza e di malavita, nei cui confronti l'unica misura che le autorità responsabili sono state capaci di adottare è quella della inutile repressione poliziesca : null'altro è stato mai fatto per risanare questa tragica piaga.
di Pier Paolo Pasolini
IL TETTO di De Sica, Le notti di Cabiria di Fellini, i vari prodotti minori del neorealismo: non c'è nessuno in Italia che non abbia almeno una immagine vaga di cosa siano i tuguri della periferia di Roma.
Ma siamo alle solite: la cultura italiana di questi dieci anni non è stata una cultura realmente realistica, se non forse nei generi specializzati, saggi e inchieste: tutti di fondo o d'ispirazione marxista. Soltanto indirettamente e mediatamente tale realismo è passato in prodotti artistici, films, romanzi o poesie.
E SUBENDO una interna mistificazione : cioè mescolandosi con residui culturali di altro genere, concomitanti, se non addirittura opposti. In De Sica un socialismo umanitario prefascista; in Visconti un formalismo, direbbe Gramsci, « cosmopolitico »; in Fellini un realismo , creaturale, o parareligioso.
Fatto sta che i tuguri inquadrati nei films italiani più o meno coraggiosi e di denuncia non sono mai i veri tuguri.
Credo del resto che nessuno scrittore o regista avrebbe il coraggio di andare fino in fondo nel rappresentare questa realtà: la sentirebbe cosi atroce, cosi inconcepibile, che gli sarebbe lecito sospettare trattarsi di un « particolarismo » di un fenomeno troppo speciale o marginale. Certi limiti di bassezza umana non si possono, pare, artisticamente toccare; certe deviazioni della psicologia coatta da un ambienti, sociale abbietto, non si possono, pare, rappresentare.
Il pubblico borghese non ci crederebbe; la critica farebbe della facile ironia, attribuendo magari crudeltà e vizi psicologici a chi si occupasse senza veli e senza ipocrisie di tali argomenti.
NON per nulla si tratta di «tuguri» cioè di abitazioni tipiche di popoli a uno stadio preistorico: gli etnologi sanno bene qual è il problema, in tal caso: la possibilità o no di concepire in uno stato razionale uno stato irrazionale, in modo che la rappresentazione di quest'ultimo non risulti gratuita e schematica.
Nel nostro caso non si tratta, naturalmente, di un rapporto storiapreistoria: ma il salto di livello culturale e sociale tra chi abita in una casa e chi abita in un tugurio è determinante. Se non tutto, gran parte, del comportamento psicologico e sociale di chi abita nel tugurio, cioè con almeno un piede nella preistoria rimane irriducibile.
Certo: per chi abita nei tuguri perchè costrettovi da necessità esterne, da circostanze passeggere, questo discorso non vale. Ma allora si tratta dei casi più penosi e terribili, perché è una vera e propria condanna cosciente. Ma per chi vi abita per nascita, per predestinazione (per lo più gente venuta dal Sud, da altri desolati villaggi della Calabria, della Lucania, degli Abruzzi), il discorso vale invece per intero. Sono una forma di sottoproletariato puro: ma assai complesso per la mescolanza di uno stato primitivo d'area depressa, con uno stato di semi-illegalità o di malavita tipicamente romana, e uno stato morale vagamente assorbito dal mondo in cui vivono storicamente, con le sue radio, i suoi giornali, ecc...
I tuguri sono covi di malattie, di violenza, di malavita, di prostituzione: parole che non suggeriscono se non astrattamente l'idea di una simile condizione umana.
A Roma i villaggi di tuguri si contano a decine. Si acquattano in prati e marane tra gli squarci della città, si stendono lungo argini di ferrovie e terrapieni, si aggrappano ai muraglioni degli acquedotti, per chilometri e chilometri.
Il Mandrione è uno di questi. In fondo alla via Casilina, poco prima del Quadraro, c'è un acquedotto, sotto i cui archi passa la strada. A sinistra c'è un resto di porta barocca, e una stupenda fontana. Si sale, e si entra in una specie di budello: da una parte l'enorme muraglione dell'acquedotto, dall'altra una ferrovia, tra argini fetidi e immondezzai.
Contro il muraglione sono costruiti i tuguri: nei primi ci abitano degli zingari, poi più giù, dietro un secondo arco, tra due strapiombi di ruderi, incassato, c'è il villaggio vero e proprio.
Non sono abitazioni umane, queste che si allineano sul fango: ma stabbi per animali, canili. Fatti di assi fradice, muriccioli scalcinati, bandoni, tela incerata. Per porta c'è spesso solo una vecchia tenda sudicia. Dalle finestrine alte un palmo, si vedono gli interni: due brandine, su cui dormono in cinque o sei, una seggiola, qualche barattolo. II fango entra anche in casa.
Anche di giorno, alle porte di quelle loro casupole, stanno le prostitute. Arriva, sobbalzando nel fango qualche motocicletta, qualche macchina con dei giovanotti. Le madri chiamano rabbiose le figlie al lavoro.
Si apre una porticina, una prostituta rovescia nella strada, tra i piedi dei ragazzini che giocano li davanti, l'acqua di una sua bacinella, e subito dopo esce il cliente. Delle vecchie urlano come cagne. Poi improvvisamente si mettono a ridere, vedendo uno storpio che si trascina per terra uscendo dalla sua tana, ch'è un tugurio scavato dentro il muraglione dell'acquedotto.
Un gruppo di adolescenti sogguarda in fondo, con aria tra ruffiana e minacciosa. Alcuni giocano sotto la ferrovia, tra due o tre cavalli, sulla sporcizia e i rifiuti: e sono cosi intenti alle carte, che per ore e ore non si accorgono di nulla intorno a loro.
A SEDICI anni cominciano, spesso, a fare gli sfruttatori di donne.
C'era un ragazzo che, a sedici anni, ne faceva lavorare due...
Ora, la repressione poliziesca del questore Marzano ha tolto un pò del « colore » a questi ambienti: ma è chiaro che la questione non si risolve in questo modo. E nessuno, forse in questo momento, la saprebbe o la potrebbe risolvere, coi metodi e gli strumenti ufficiali. Dare a queste prostitute, a questi sfruttatori, a questi « miserabili » un lavoro onesto e una casa, probabilmente, non risolverebbe ancora niente, perchè ormai la loro psicologia è al livello del patologico. Ricostruire questa psicologia col metodo della pietà religiosa, sarebbe, dopotutto, una soluzione: ma nessuno lo fa.
Ricordo che un giorno, passando per il Mandrione in macchina con due miei amici bolognesi, angosciati a quella vista, c'erano, davanti ai loro tuguri, a ruzzare sul fango lurido, dei ragazzini. dai due ai quattro o cinque anni. Erano vestiti con degli stracci: uno addirittura con una pelliccetta, trovata chissà dove, come un piccolo selvaggio. Correvano qua e là, senza le regole di un giuoco qualsiasi: si muovevano, si agitavano, come se fossero ciechi, in quei pochi metri quadrati dov'erano nati e dove erano sempre rimasti, senza conoscere altro del mondo se non la cassettina dove dormivano e i due palmi di melma dove giocavano. Vedendoci passare con la macchina, uno, un maschietto, ormai ben piantato malgrado i suoi due o tre anni di età, si mise la manina sporca contro la bocca, e, di sua iniziativa tutto allegro e affettuoso, ci mandò un bacetto...
La pura vitalità che è alla base di queste anime, vuol dire mescolanza di male allo stato puro e di bene allo stato puro: violenza e bontà, malvagità e innocenza, malgrado tutto. Qualcosa si può, dunque, e si deve pur fare.
Nessun commento:
Posta un commento