L'Europeo numero 52 del 26 dicembre 1974 |
L’ANTIFASCISMO COME GENERE DI CONSUMO
Massimo Fini intervista Pier Paolo Pasolini
«L’Europeo», 26 dicembre 1974
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Tratto da:
Massimo Fini
Il giornalismo fatto in pezzi
Marsilio
( Anche in Scritti corsari, con il titolo "Fascista")
Pier Paolo Pasolini, da Poveri ma fascisti, «Il Messaggero», 17 ottobre 1974
Mai come in questi anni in Italia si è sentita risuonare la parola «antifascista», insieme ai suoi due corollari «laico» e «democratico». Non c’è persona oggi in Italia (a parte i fascisti dichiarati) che non si proclami tutta insieme «laica, democratica e antifascista». Eppure mai come in questi anni la Repubblica è stata, al di là di certe apparenze permissive, percorsa da sindromi di intolleranza, di corporativismo, di antidemocrazia: di fascismo, infine, se fascismo significa anche la prepotenza del potere…
Il fatto è che essere genericamente antifascista oggi in Italia non costa nulla, anzi spesso e volentieri paga. Ecco perché il termine è diventato ambiguo, si è consumato al punto da non voler dire quasi più nulla. Del resto è già abbastanza straordinario che a trent’anni dalla Resistenza e dalla caduta del regime si ragioni ancora in termini di fascismo e antifascismo. Questo vuol dire solo due cose: o che siamo rimasti perfettamente immobili e che trent’anni sono passati invano, o che dietro un certo antifascismo di maniera (che nulla ha a che vedere con l’antifascismo reale pagato di persona) si nascondono sotto mentite spoglie i vizi di ieri, le intolleranze, il conformismo, il servilismo di fronte al potere. Un «antifascismo» oltretutto pericoloso perché rischia con il suo conformismo e la sua intolleranza di fare dei fascisti reali dei martiri ingiustificati, e rischia di fare apparire quasi dalla parte della ragione chi ha indiscutibilmente torto.
Da questi dubbi nasce la nostra inchiesta. Un’inchiesta, come si vede, delicata (l’accusa che ci verrà immediatamente rivolta, lo sappiamo, è di “fare il gioco delle destre”). Per questo abbiamo chiamato a rispondere a questi dubbi e a queste domande uomini della cui reale, antica e provata fede antifascista non è lecito dubitare.
PASOLINI: «Esiste oggi una forma di antifascismo archeologico che è poi un buon pretesto per prendersi una patente di antifascismo reale. Si tratta di un antifascismo facile facile che ha per oggetto ed obiettivo un fascismo arcaico che non esiste più e che non esisterà mai più. Partiamo dal recente film di Naldini: Fascista. Ebbene quel film, che si è posto il problema del rapporto fra un capo e la folla, ha dimostrato che sia quel capo, Mussolini, che quella folla sono due personaggi assolutamente archeologici. Un capo come quello oggi è assolutamente inconcepibile non solo per la nullità e per l’irrazionalità di quello che dice, per il nulla logico che sta dietro quello che dice, ma anche perché non troverebbe assolutamente spazio e credibilità nel mondo moderno. Basterebbe la televisione per vanificarlo, per ucciderlo politicamente. Le tecniche di quel capo andavano bene su di un palco, in un comizio, di fronte alle folle “oceaniche”, non funzionerebbero assolutamente su uno schermo a “22 pollici”… Ecco perché buona parte dell’antifascismo di oggi, o almeno di quello che viene chiamato antifascismo, o è ingenuo e stupido o è pretestuoso e in malafede: perché dà battaglia o finge di dar battaglia ad un fenomeno morto e sepolto, archeologico appunto, che non può più far paura a nessuno. È insomma un antifascismo di tutto comodo e di tutto riposo…
Io credo, io credo profondamente che il vero fascismo sia quello che i sociologi hanno troppo bonariamente chiamato la “società dei consumi”. Una definizione che sembra innocua, puramente indicativa. E invece no. Se uno osserva bene la realtà, e soprattutto se uno sa leggere intorno negli oggetti, nel paesaggio, nell’urbanistica e, soprattutto, negli uomini, vede che i risultati di questa bonaria e grassoccia società dei consumi sono i risultati di una dittatura, di un fascismo bello e buono. Nel film di Naldini noi abbiamo visto i giovani inquadrati, in divisa. Ma se noi guardiamo i giovani di oggi, anch’essi sono inquadrati, in divisa. Con una differenza però. Allora i giovani, nel momento stesso in cui si toglievano la divisa e riprendevano la strada verso i loro paesi e i loro campi, ritornavano gli italiani di cento, di cinquant’anni addietro, come prima del fascismo.
Il fascismo in realtà li aveva resi dei pagliacci, li aveva repressi, e forse in parte anche convinti, ma non li aveva toccati sul serio nel fondo dell’anima, nel loro modo di essere. Questo nuovo fascismo, questa società dei consumi, invece, ha profondamente trasformato i giovani, li ha toccati nell’intimo, ha dato loro altri sentimenti, altri modi di pensare, di vivere, altri modelli culturali. Non si tratta più, come all’epoca mussoliniana, di una irregimentazione superficiale, scenografica, ma di una irregimentazione reale che ha rubato e cambiato la loro anima. Il che significa, in definitiva, che questa “civiltà dei consumi” è una civiltà dittatoriale. Insomma se la parola “fascismo” significa la prepotenza del potere, la “società dei consumi” ha bene realizzato il fascismo…
Secondo me, la vera intolleranza è quella della società dei consumi, della permissività fatta cadere dall’alto, voluta dall’alto, che è la vera, la peggiore, la più subdola, fredda e spietata forma di intolleranza. Perché è intolleranza mascherata da tolleranza. Perché non è vera. Perché è revocabile ogni qualvolta il potere ne senta il bisogno. Perché è il vero fascismo da cui viene poi l’antifascismo di maniera: inutile, ipocrita, sostanzialmente gradito al regime.
Se vogliamo fare dell’antifascismo sul serio noi non dobbiamo pronunciare nei confronti dei fascisti dei giudizi intellettuali o moralistici ma dei giudizi storici e politici. Non sono dei peccatori: sono dei nemici. Dei nemici di cui si deve tener conto, della cui cultura si deve tener conto. In questo senso gli intellettuali italiani di sinistra hanno delle gravissime colpe. Perché hanno sempre giudicato con sufficienza, con boria, con stupida superficialità la cultura di destra. Hanno sempre preferito ignorare la cultura di destra, chiudere gli occhi, basti pensare al caso clamoroso di Nietzsche. Le tesi di destra non vanno respinte a priori. Vanno giudicate. Perché, per quanto possa sembrare strano, i fascisti hanno un pensiero, una filosofia, una cultura. Che è una grande cultura che partecipa strettamente della cultura democratica e antifascista: perché il pensiero di Gentile è l’altra faccia di Croce. Perché la filosofia di Gentile la ritroviamo in Hegel. Ci si vergogna a dover spiegare ancora queste cose. Infine l’antifascismo, anche il più vero, anche quello vissuto e pagato sul campo non significa mancanza di misericordia. E voglio concludere col distico che Paul Éluard, poeta comunista, dedicò alle ragazze rapate a zero perché erano state con i nazisti: “A quel tempo per non punire i colpevoli si rapavano delle ragazze”».
Pier Paolo Pasolini
Questa inchiesta comprendeva anche un colloquio con Franco Fortini. Nell’intervista a Pasolini ho tolto le mie domande per rendere più sciolto il suo discorso piuttosto complesso.
Massimo Fini
@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare |
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