"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
«Ah, miei piedi nudi...»
Tratto da teorema libro, Garzanti 1968
Ah, miei piedi nudi, che camminate
sopra la sabbia del deserto!
Miei piedi nudi, che mi portate
là dove c'è un' unica presenza
e dove non c'è nulla che mi ripari da nessuno sguardo!
Miei piedi nudi
che avete deciso un cammino
che io adesso seguo come in una visione
avuta dai padri che hanno costruito,
nel '20, la mia villa di Milano, e dai giovani
architetti che l'hanno completata nel '6o!
Come già per il popolo d'Israele o l'apostolo Paolo,
il deserto mi si presenta come ciò
che, della realtà, è solo indispensabile.
O, meglio ancora, come la realtà
di tutto spogliata fuori che della sua essenza
così come se la rappresenta chi vive, e, qualche volta,
la pensa, pur senza essere un filosofo.
Non c'è infatti, qui intorno, niente
oltre a ciò che è necessario:
la terra, il cielo e il corpo di un uomo.
Per quanto folle, abissale o etereo
sia l'orizzonte oscuro, la sua linea è UNA:
e qualunque suo punto è uguale a un altro punto.
Il deserto oscuro che sembra sfolgorare
tanta è la sua durezza zuccherina,
e la Cavità del cielo, immedicabilmente azzurra,
mutano sempre ma sono sempre uguali.
Bene. E cosa dire di me?
Di me, che sono dove ero, e ero dove sono,
automa di una persona reale
mandato nel deserto a camminare per essa?
IO SONO PIENO DI UNA DOMANDA A CUI NON SO RISPONDERE.
Triste risultato, se questo deserto io l'ho scelto
Triste risultato, se questo deserto io l'ho scelto
come il luogo vero e reale della mia vita!
Colui che cercava per le strade di Milano
è lo stesso che cerca ora per le strade del deserto?
É vero: il simbolo della realtà
ha qualcosa che la realtà non ha:
esso ne rappresenta ogni significato,
eppure vi aggiunge per la stessa sua
natura rappresentativa un significato nuovo.
Ma - non certo come per il popolo d'Israele o l'apostolo
questo significato nuovo, mi resta indecifrabile. [Paolo –
Nel profondo silenzio dell'evocazione sacra,
mi chiedo allora se, per andare nel deserto,
non bisogni avere avuto una vita
già predestinata al deserto; e se, dunque,
già predestinata al deserto; e se, dunque,
vivendo nei giorni della storia - così meno bella,
pura ed essenziale della sua rappresentazione –
non bisogni aver saputo rispondere
alle sue infinite e inutili domande
per poter rispondere, ora,
a questa del deserto, unica e assoluta.
Misera, prosaica conclusione,
- laica per imposizione di una cultura di gente oppressa –
di una vicenda cominciata per portare a Dio!
di una vicenda cominciata per portare a Dio!
Ma cosa prevarrà? L'aridità mondana
della ragione o la religione, spregevole
fecondità di chi vive lasciato indietro dalla storia?
Dunque, il mio viso è dolce e rassegnato
quando cammino lentamente –
affannato e grondante di sudore,
quando corro –
pieno di uno spavento sacro,
quando guardo intorno questa unicità senza fine –
infantilmente preoccupato,
quando osservo, sotto i miei piedi nudi,
la sabbia su cui scivolo o mi arrampico.
Proprio, appunto, come nella vita, come a Milano.
Ma perché, improvvisamente, mi fermo?
Perché guardo fisso davanti a me, come vedessi qualcosa?
Mentre non c'è nulla di nuovo oltre l'orizzonte oscuro,
che si disegna infinitamente diverso e uguale,
contro il cielo azzurro di questo luogo
immaginato dalla mia povera cultura?
Perché, fuori dalla mia volontà,
la mia faccia mi si contrae, le vene
del collo mi si gonfiano,
gli occhi mi si empiono di una luce infuocata?
E perché l'urlo, che, dopo qualche istante,
mi esce furente dalla gola,
non aggiunge nulla all'ambiguità che finora
ha dominato questo mio andare nel deserto?
È impossibile dire che razza di urlo
sia il mio: è vero che è terribile
- tanto da sfigurarmi i lineamenti
rendendoli simili alle fauci di una bestia –
ma è anche, in qualche modo, gioioso,
tanto da ridurmi come un bambino.
È un urlo fatto per invocare l'attenzione di qualcuno
o il suo aiuto; ma anche, forse, per bestemmiarlo.
È un urlo che vuoi far sapere,
in questo luogo disabitato, che io esisto,
oppure, che non soltanto esisto,
ma che so. È un urlo
in cui in fondo all'ansia
si sente qualche vile accento di speranza;
oppure un urlo di certezza, assolutamente assurda,
dentro a cui risuona, pura, la disperazione.
Ad ogni modo questo è certo: che qualunque cosa
questo mio urlo voglia significare,
esso è destinato a durare oltre ogni possibile fine.
Ho ripreso in mano questo libro...
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