La recessione
di Pier Paolo Pasolini
di Pier Paolo Pasolini
La poesia La recessione di Pasolini nella sua versione originale, pubblicata in "La nuova gioventù" che è la è seconda forma de "La meglio gioventù" (Einaudi, 1974), è' una poesia in friulano, poi tradotta in italiano dallo stesso Pasolini e adattata a testo musicale.
La canzone La recessione, cantata da Alice su testo di Pier Paolo Pasolini e musicata da Mino De Martino, è contenuta nel suo album "Mezzogiorno sulle Alpi" (1992).
La recessione è contenuta anche nel CD "Luna di giorno", Micocci Dischitalia Editori, 1995 nel quale sono compresi 13 testi di Pier Paolo Pasolini, oltre al Lamento per la morte di Pasolini, di Giovanna Marini e Una storia sbagliata, di Fabrizio De Andrè.
La recessione
(testo per la canzone da P.P. Pasolini)
Vedremo calzoni coi rattoppi;
rossi tramonti su borghi vuoti di macchine
pieni di povera gente
che sarà tornata da Torino o dalla Germania.
I vecchi saranno padroni dei loro muretti
come poltrone di senatori;
e i bambini sapranno che la minestra è poca,
e cosa significa un pezzo di pane.
E la sera sarà più nera della fine del mondo,
e di notte sentiremo solo i grilli o i tuoni;
e forse qualche giovane
tra quei pochi tornati al nido
tirerà fuori un mandolino.
L'aria saprà di stracci bagnati.
Tutto sarà lontano.
Treni e corriere passeranno ogni tanto
come in un sogno.
Le città grandi come mondi
saranno piene di gente che va a piedi,
con i vestiti grigi e dentro agli occhi una domanda
che non è di soldi ma è solo d'amore,
soltanto d'amore.
Le piccole fabbriche
sul più bello di un prato verde
della curva di un fiume
dal cuore di un vecchio bosco di querce
crolleranno un poco per sera,
muretto per muretto,
lamiera per lamiera.
E gli antichi palazzi
saranno come montagne di pietra
soli e chiusi come erano una volta.
E la sera sarà più nera della fine del mondo,
e di notte sentiremo i grilli e i tuoni
e forse qualche giovane
tra quei pochi tornati al nido
tirerà fuori un mandolino.
L'aria saprà di stracci bagnati.
Tutto sarà lontano.
Treni e corriere passeranno ogni tanto
come in un sogno.
I banditi avranno i visi di una volta
coi capelli corti sul collo
e gli occhi di loro madre,
pieni del nero delle notti di luna
e saranno armati solo di un coltello.
Lo zoccolo del cavallo toccherà la terra,
leggero come una farfalla,
e ricorderà ciò che è stato,
in silenzio, il mondo
e ciò che sarà.
La recessione (poesia in friulano di P.P. Pasolini)
I jodarìn borghèssis cui tacòns;
tramòns ros su borcsvuèis di motòurs
e plens de zòvinsstrassòns
tornàas da Turin o li Germàniis.
I vecius a saràn paròns dai so murès
coma di poltronis di senatòurs;
i frus a savaràn che la minestra a è pucia,
e se c'ha val un toc di pan.
La sera a sarà nera coma la fin dal mond,
di not si sentiràn doma che i gris
o i tons; e forsi, forsi, qualchi zòvin
- un dai pus zòvins bons turnàas al nit -
a tirarà fours un mandulìn. L'aria
a savarà di stras bagnàs. Dut
a sarà lontàn. Trenos e corieris
a passaràn di tant in tant coma ta un siun.
Li sitàs grandis coma monds
a saràn plenis di zent ch'a vas a piè
cui vistìs gris, e drenti tai vuj
'na domanda, 'na domanda ch'a è,
magari , di un puc di bès, di un pàssul plasèir,
ma invessi a è doma di amòur. I antics palàs
a saràn coma montaglia di piera
soj e sieràs, coma ch'a erin ièir.
Li pìssulis fabrichis tal pì bièl
di un prt verd ta la curva
di un flun, tal còur di un veciu
bosc di roris, a si sdrumaràn.
un puc par sera, murèt par murèt
lamiera par lamiera. I bandìs
(i zòvin tornàs a ciasa dal mond
cussì divièrs da coma ch'a èrin partìs)
a varàn li musis di 'na volta,
cui ciaviej curs e i vuj di so mari
plens dal neri da li nos di luna -
e a saràn armàs doma che di un curtìa.
Il sòcul dal ciavàl al tociarà
la ciera, lizèir coma 'na pavèa,
e al recuardarà se ch'al è stat,
in silensiu, il mond e chel ch’al sarà.
Ma basta con questo film neorealistico.
Abbiamo abiurato da ciò che esso rappresenta.
Rifarne esperienza val la pena solo
se si lotterà per un mondo davvero comunista.
La recessione (traduzione in italiano di P.P. Pasolini)
Vedremo calzoni coi rattoppi; tramonti rossi su borghi vuoti di motori e pieni di giovani straccioni tornati da Torino o dalla Germania.
I vecchi saranno padroni dei loro muretti come di poltrone di senatori; i bambini sapranno che la minestra è poca, e quanto vale un pezzo di pane.
La sera sarà nera come la fine del mondo, di notte si sentiranno solo i grilli o i tuoni; e forse, forse, qualche giovane (uno dei pochi giovani buoni tornati al nido)
tirerà fuori un mandolino. L’aria saprà di stracci bagnati. Tutto sarà lontano. Treni e corriere passeranno di tanto in tanto come in un sonno.
Le città grandi come mondi saranno piene di gente che va a piedi, coi vestiti grigi e dentro gli occhi una domanda, una domanda che è,
magari, di un po’ di soldi, di un piccolo aiuto, e invece è solo di amore. Gli antichi palazzi saranno come montagne di pietra, soli e chiusi, com’erano una volta.
Le piccole fabbriche sul più bello di un prato verde, nella curva di un fiume, nel cuore di un vecchio bosco di querce, crolleranno
un poco per sera, muretto per muretto, lamiera per lamiera. I banditi (i giovani tornati a casa dal mondo così diversi da come erano partiti)
avranno i visi di una volta, coi capelli corti e gli occhi di loro madre, pieni del nero delle notti di luna - e saranno armati solo di un coltello.
Lo zoccolo del cavallo toccherà la terra, leggero come una farfalla, e ricorderà ciò che è stato, in silenzio, il mondo e ciò che sarà.
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