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domenica 7 dicembre 2025

Risposta di Salinari e replica di Pasolini - Vie nuove, 16 novembre 1961, numero 45, 16 novembre 1961, pag. 37

"Le pagine corsare " 

dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

Pasolini a Casa Stella Assassino (Sulla rivista Ferrara del 1985, n. 6)




Risposta di Salinari e replica di Pasolini

Vie nuove

16 novembre 1961

numero 45

16 novembre 1961

pag. 37

( © Questa trascrizione da cartaceo, è stata curata da Bruno Esposito )


Qui L'art. del 9 novembre 1961: Una polemica su politica e poesia


Caro Pasolini, già nel passato (nell’indimenticabile 1956, se non sbaglio) avemmo occasione di polemizzare piuttosto aspramente e io ebbi modo di farti osservare che hai un brutto carattere, stizzoso «come quello di un ragazzino». Non ripeterò, oggi, quell’affermazione perché sei cresciuto molto, non solo in anni, ma di bravura e di fama: rimane però il fatto che sei permaloso. Non si giustifica altrimenti la tua risposta del numero scorso a Giordano Siviero, che, in realtà, è una risposta alle cose che ho recentemente scritto nei tuoi riguardi. 

Esaminiamo, oggettivamente, i problemi che stavano sul tappeto. C’era la questione del rapporto, in uno scrittore, fra ideologia e poesia. Ebbene, dopo una lunga esemplificazione, tu arrivi esattamente alle stesse conclusioni cui arrivavo io in un paio di periodi: che, cioè, l’ideologia «razionale oggettiva» (uso le tue parole per intenderci meglio, non perché siano precise) che uno scrittore esplicitamente professa è solo un elemento del complicato processo dialettico che porta a quella conoscenza della realtà che è propria della poesia. Solo che non hai il coraggio (che avevano invece Marx ed Engels) di arrivare fino in fondo e riconoscere che, nel corso di quel processo, l’ideologia «razionale e oggettiva» può (non deve) essere contraddetta e che, di conseguenza, uno scrittore che professa un’ideologia reazionaria può arrivare a un risultato poetico elevatissimo, e perciò progressivo. 

Ancora, c’era il giudizio sul tuo ultimo libro come libro attestante una crisi: e tu lo riconosci. Parlavo di una crisi di sviluppo («una rottura che dovrebbe preludere a un nuovo equilibrio su un piano più alto»); lo confermi. Indicavo come termini della dinamica di quella crisi i due poli del popolo come spontaneità e del popolo come consapevolezza. Senza volerlo mi dai ragione quando scrivi: «L’ideologia politica è proiettata verso il futuro, l’ideologia estetica (dato essenziale nell’operazione di uno scrittore) contiene il passato. Uno scontro, e insieme una fusione». 

C’era, infine, il problema della resa poetica del tuo libro, vale a dire quale momento di quella fusione presentasse la coerenza stilistica e la capacità conoscitiva del reale che chiamiamo poesia. 

E io lo individuavo nell’incontro «con le manifestazioni anarchiche del popolo (anarchiche non tanto nel significato politico, quanto in quello del comportamento umano), allegria, fervore, spensieratezza, sesso, spavalderia» e con il «loro ambiente naturale, la periferia della città o i vicoli bui e sporchi degli antichi quartieri, con i loro protagonisti, prostitute, magnacci, disoccupati, giovani malandrini, ubriachi». Ho sbagliato? Può darsi. Ma tu stesso giudichi «quel tanto di anarchico, di umanitarismo ecc.» come «elementi irrazionali senza i quali è difficile concepire, in questo esatto periodo storico, un’azione poetica». 

C’era infine il giudizio sulla tua posizione politica e quell’«almeno finora» che ti ha «dolorosamente» offeso. Qui, però, c’è un equivoco da chiarire. Quando scrivevo: «Ora, Pasolini con i suoi libri, a modo suo, almeno finora ha cercato di condurre questa battaglia», non intendevo affatto insinuare il sospetto che tu possa in un futuro più o meno prossimo cambiare fronte di combattimento. Volevo invece polemizzare con quanti, sia di destra che di sinistra, infastiditi dal tuo successo (e sono molti come tu sai benissimo) tendono a spostare il giudizio su elementi spuri: cioè sui dati della tua biografia di cui si sono impadroniti ampiamente rotocalchi, fotografi, cineoperatori e cronisti mondani. Tu stesso, proprio su «Vie nuove», hai dovuto rispondere a una lettera che ti poneva problemi di questo genere: e hai fatto benissimo. Io intendevo ribadire che fino a oggi i dati obiettivi su cui fondare un giudizio sono le tue posizioni politiche e la tua opera di scrittore: non altri. Se quell’«almeno finora» presta il fianco ad equivoci valga questa mia affermazione come chiarimento.

Tuttavia la presunta offesa non giustifica il processo alle intenzioni (questo sì veramente settario!) che fai nei riguardi della mia critica, non giustifica il fatto che tu non usi nei miei riguardi quel metodo che giustamente pretendi venga usato nei tuoi: di valutare obiettivamente quello che ho scritto. E non giustifica quell’insinuare che io non abbia voluto rispondere a critiche rivolte al PCI (perché poi, se ne valeva la pena?) e quel riferimento al XX e al XXI Congresso del PCUS – avvenimenti che impegnano la coscienza di milioni e milioni di uomini – come espediente polemico, quasi ricatto morale, in queste nostre piccole scaramucce. Insomma, una risposta irritata e non sufficientemente ragionata. Effetto, voglio sperare, di un carattere permaloso. Con immutata amicizia. 

Carlo Salinari


Rivediamo i «problemi sul tappeto».

Ideologia del poeta. Son contento che tu veda che siamo d’accordo: tu laconico, io prolisso, diremmo la stessa cosa. Benissimo! A me importa che tu mi dia atto che la faccenda è «complessa», e che, comunque, l’ideologia di un poeta non è solo la sua ideologia politica (sicché se la sua ideologia politica può presentare dei punti deboli, la sua ideologia tout court può essere ferrea). M’importa, dico, per quel che mi riguarda, nella nostra polemica. Il mio «populismo» (errore strettamente politico) non dovrebbe essere chiamato a spiegare le lacune politiche del mio libro, dunque… o, per lo meno, con meno meccanicità… E così l’anarchismo ecc.

La crisi raccontata nel mio libro di versi. No, non è quella che tu dici (tra popolo come coscienza e popolo come spontaneità: questa era tipica dell’altro mio libro, Le ceneri di Gramsci, e può essere considerata la mia malattia cronica). La religione del mio tempo esprime la crisi degli anni Sessanta… La sirena neo-capitalistica da una parte, la desistenza rivoluzionaria dall’altra: e il vuoto, il terribile vuoto esistenziale che ne consegue. Quando l’azione politica si attenua, o si fa incerta, allora si prova o la voglia dell’evasione, del sogno («Africa, unica mia alternativa») o un’insorgenza moralistica (la mia irritazione contro certa ipocrisia delle sinistre: per cui si tende ad attenuare, classicisticamente la realtà: si chiama «errore del passato», eufemisticamente, la tragedia staliniana ecc.). È l’aver evitato il discorso su questi punti che ti rimprovero…

La resa poetica del mio libro. Non dovrei giudicare io. Ma i punti migliori de La religione non sono certo quelli che tu indichi. I lettori più ingenui (lo testimoniano, per es. molte lettere di lettori di «Vie nuove») l’hanno capito. Hai sbagliato, hai sbagliato, caro Salinari. Non c’è un punto rilevante del libro che descriva il mondo sottoproletario, sordido e vivace, di cui tu parli: portando acqua, senza volerlo, al mulino dei diffamatori della stampa fascista e borghese. Guarda caso, i punti migliori del libro La religione del mio tempo, I parte, Una luce, Un ragazzo, La rabbia, Il glicine, sono tutte poesie che descrivono o il Friuli, o i quartieri borghesi di Roma, dove si possono fisicamente e visivamente collocare drammi totalmente interiori, che non hanno nulla a che fare con quel realismo «creaturale» (Auerbach) di cui tu parli, insistendo a fare di me una figura cara allo «Specchio».

Provo grande piacere alla tua precisazione all’«almeno finora». Ti ringrazio anzi di cuore, se la tua intenzione era di difendermi contro i «giudizi spuri». Tu sai benissimo che la mia vita mondana non esiste, è una totale invenzione della stampa di destra. Lavoro tutto il giorno, e quando non lavoro sto solo. I miei amici sono pochi. D’altra parte, so che il potere della stampa è immenso. Anche la persona più in buona fede, vedendo una mia fotografia che mi mostra in via Veneto, tende a pensare che io sia sempre lì. Non gli balena neanche il pensiero che io sia passato di lì per caso, a comprare un giornale straniero (cosa che capita, qualche volta). Son convinto che tu stesso – dato che purtroppo ci vediamo poco – hai su di me qualche idea mitica! Per esempio, quando mi chiami «permaloso». Sei matto? Può darsi piuttosto che sia un po’ angosciato, e quindi tenda a drammatizzare le cose. (Ma possibile che nessuno possa mettersi almeno per un attimo nei panni di un altro? Mettiti un po’ nei miei panni, e cerca di capire esistenzialisticamente l’esperienza di uno che viene sistematicamente, regolarmente, atrocemente mistificato: tu, i pezzi della stampa borghese contro di me, li vedi casualmente, a tratti, e magari ti divertono… Ma un’altra cosa è leggere ogni giorno, ogni ora una notizia falsa che ti riguarda, una malignità feroce, una spudorata trasformazione di dati, un disprezzo collettivizzato, fatto luogo comune…). Ma non voglio lamentarmi. Permettetemi però, tu e gli altri amici, di arrabbiarmi almeno, qualche volta.

Pier Paolo Pasolini

Curatore, Bruno Esposito

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