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venerdì 5 dicembre 2025

Edipo scherza solo nelle pause nel nuovo film di Pasolini - Vie nuove, numero 27, 6 luglio 1967, pag. 58-59-60

"Le pagine corsare " 

dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

Edipo scherza solo nelle pause
nel nuovo film di Pasolini

Vie nuove

numero 27

6 luglio 1967

pag. 58-59-60

( © Questa trascrizione da cartaceo, è stata curata da Bruno Esposito )


Un corridoio stretto, pareti rosso mattone, maestose anche se grezze, sul pavimento un binario che curva per un breve tratto. Con passo meccanico un uomo giovane, con un grande abito di lana nero, lo percorre ed « è quasi un'amnesia che lo guida », fino a scomparire in una bassa porta.

L'uomo in nero è Edipo e dietro quella porta scoprirà Giocasta che si è tolta la vita impiccandosi. A seguirlo sui binari è Pier Paolo Pasolini con la sua troupe, che gli fa ripetere la scena, preludio alla tragica scoperta, almeno cinque volte. E Franco Citti-Edipo ripete, cupo dopo la parola « motore », in vena di scherzare durante le pause laboriose della troupe che si agita fra le stanze e i giardini della reggia di Tebe ricostruita nello studio n. 4 della De Laurentiis sulla via Pontina.

Quando rivedrò questa scena sullo schermo, introdotta in un film che si chiama Edipo, il figlio della fortuna, vedrò tutt'altra cosa: vedrò Edipo andare verso il fondo del suo abisso, ma visto da Pasolini, che lo ha isolato dal superfluo che lo circondava e che invece, ora, mi è apparso sullo stesso piano del resto. E' un po' come frugare sullo scrittoio dell'autore, sbirciare qua e là fra i suoi appunti, scoprire versi accantonati, in questo caso i familiari volti dei suoi consueti attori, riconoscibili sotto i costumi estrosi e variopinti, e « abbioccati » addosso alle pareti, proprio dove la scenografia finisce e cominciano i muri anonimi di un capannone cinematografico. E' il solito strano rito del « si gira », quello tanto bene rappresentato da Pasolini stesso in La Ricotta, composto di quegli attimi in cui la sceneggiatura si trasforma in film. Sono i momenti in cui la sceneggiatura trionfa per poi morire subito dopo, dimenticata e inutile di fronte al film finito.

Comunque descrivere Edipo, il figlio della fortuna, film che Pasolini finisce di girare in questi giorni dopo aver completato gli « esterni » in Marocco, significa parlare della sceneggiatura, colta mentre cessa di esistere.

Il più importante intervento pasoliniano sulla tragedia di Edipo consiste nell'aver ideato un prologo e un epilogo, il primo, che si svolge negli anni Trenta, vede la nascita di Edipo, a Sacile, «...Come in un rapido documentario lo spettatore assisterà ai primi atti di quella vita, ai primi vagiti, ai primi sguardi alla luce (quel sole di provincia che entra tra le persiane, attraverso le tende di tela grezza, con ricami di Idria) », fino alla notte in cui assisterà, o sospetterà il « lungo e tranquillo » amore dei suoi genitori. L'epilogo, ai nostri giorni, ci farà assistere al girovagare disperato di Edipo cieco, accompagnato dal ragazzo-nunzio, per le piazze d'una Italia agiata e indifferente, fino a ritrovare Sacile, la casa dov'è nato, dove per la prima volta « gli occhi di Edipo distinsero e riconobbero la madre », quasi nella vita non  avesse mai cercato altro. E al centro del film, drammatica, rusticana e poetica, la storia di Edipo: la giovinezza a Corinto coi genitori adottivi, Merope e Polibo, il viaggio verso il tempio di Apollo, l'uccisione del padre vero, Laio, l'arrivo a Tebe, la sconfitta della sfinge, il matrimonio con sua madre Giocasta, la peste, le rivelazioni sulla sua nascita, la morte di Giocasta.

Che vuol dire una sceneggiatura come questa nella carriera di Pasolini? Difficile rispondere, e forse ingiusto; conviene limitarsi a qualche osservazione più o meno lecita. Il fatto che più mi colpisce nel testo è la capacità che ha il dramma di Edipo, il privatissimo dramma di Edipo, d'essere pubblico, d'essere straziante e straziato e giudicato. Pubblico in quanto inevitabilmente sottoposto al parere altrui, purtroppo talvolta giusto, a sguardi dove « l'orrore, la ripugnanza, l'odio, l'ironia, prevalgono, ormai, sulla pietà ». Il dramma m'appare quello di un uomo perseguitato dalla fatalità, « Dio! Che cosa vuoi fare di me! », e d'esserne via via più cosciente, e viverlo allo scoperto, sapendone con terribile lucidità tutti gli sviluppi. Varranno queste osservazioni per il film? Non si può affermare. E non solo per i cambiamenti apportati - già Citti dice, mentre assisto alle riprese, una battuta che nello scenario non è prevista -, ma perché il copione che leggo, per sua natura è scritto in visione di un'altra cosa, rimanda se stesso ed ogni giudizio su se stesso.

Per ora uno degli « aiuti » di Pasolini, Biette, mi confida che il materiale girato è « sublime », fa pensare talvolta a Mizoguchi, talvolta a Murnau - è un redattore dei Cahiers du cinéma che parla a uno di Cinema & film, il linguaggio è quasi cifrato -, e ciò vuol dire che il film talvolta è lirico, talvolta è fantasticamente « malato », comunque vuol dire che c'è da aspettarsi moltissimo.

Per interpretare Edipo, Pasolini ha richiamato Franco Citti - che così è al suo terzo film con questo regista e al settimo della sua carriera -, scandalizzando un poco, ma dando così una delle « chiavi » più sicure per capire questo Edipo violento, rozzo, forte, torvo, che pensa come un poeta di un altro poeta « ... Poeta! Tu, poeta, col tuo incarico di cogliere il dolore degli altri e di esprimerlo come se fosse lo stesso dolore, a esprimersi... Il destino continua oltre ciò che il destino riserva. Io ascolto ciò che è al di là del mio destino ».

Giocasta, la moglie-madre è Silvana Mangano, esile, bianca, chiusa. Tiresia, il profeta cieco è il direttore del Living Theatre, Julian Back e Creonte è un altro attore di teatro, Carmelo Bene. Per Merope, la madre adottiva, Pasolini ha scelto Alida Valli che trova così, dopo Hitchcock (Il caso Paradine), Visconti (Senso), Franju (Occhi senza volto) e Chabrol (Ophelia), il quinto grande nome della sua lunga carriera.

A non aver paura « d'avvicinare quell'uomo ridotto così male, con quelle piaghe così fresche e sanguinanti » è Ninetto Davoli, cioè il ragazzo-nunzio, e per il piccolo ruolo di un sacerdote che chiede aiuto ad Edipo per salvare Tebe dalla peste, Pasolini ha riservato un ruolo a se stesso, un « costernato suddito » che implora.

Maurizio Ponzi


Curatore, Bruno Esposito

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