"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Biblioteca Gino Bianco |
La pittura «dialettale»
Come fenomeno generale, la poesia in dialetto è fenomeno della provincia: e, s'intende, provincia non in senso semplicemente giurisdizionale, se vi si possono includere una data Roma e un dato Milano, che contemporaneamente, nei loro ambienti non tradizionalistici e dialettali, sono, se mai, provincia europea. Il che
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Non del popolo che, nelle aree depresse, meridione o montagna, continua ad avere la sua poesia, popolare, o, come meglio si esprime il Menéndez Pidal, tradizionale; mentre nelle zone industriali o in città, per quanto almeno riguarda la poesia, vive ancora del tutto nel dominio ideologico borghese. Intendiamo dire quella piccola borghesia post-risorgimentale, che ha albeggiato con una certa speranza di splendore tra la fine dell'Ottocento e il principio del Novecento, ed è finita nazionalistica o cattolica: e intorno a cui si sentono, da interessate parti politiche, le più diverse interpretazioni, dall'accusa di sordidezza reazionaria, all'esaltazione del benpensare e del senso del risparmio ... Ad ogni modo, misura migliore della sua cultura e della sua morale, crediamo di non poter indicare che nei suoi prodotti estetici.
Per vedere, intanto che cosa sia, e di che mentalità sia frutto, la poesia in dialetto «borghese», nei confronti della poesia in dialetto «popolare», il lettore può servirsi dei testi che dell'una e dell'altra si
possono, sia pure non agevolmente, reperire: specimen del confronto potrebbero essere, per es., le Marche, con una raccolta «media» di poesia popolare (A. Gianandrea: Canti popolari marchigiani, Roma-Torino-Firenze 1875, a cui si possono aggiungere i Canti popolari di Valdolmo di Sassoferrato a cura di G. Vitaletti, Catania 1940) e una raccolta altrettanto «media» di poesia dialettale (G. Crocioni, La poesia dialettale marchigiana, Fabriano 1934) che il mondo popolare riduce moralmente a documento della propria coazione su esso, del benpensare conservatore, e stilisticamente lo rappresenta attraverso la facile e ipocrita tecnica del puro cromatismo.
I «macchiaioli» sono esattamente, in una geografia come questa che abbiamo delineata, gli equivalenti di quei dialettali: dialettali essi stessi, in rapporto alla lingua che, in quel periodo, non poteva esser altra che la lingua dell'Impressionismo. Ma dialettali «toscani», ossia non eccessivamente decentrati - nei casi migliori e più rigorosi - da quella lingua di cui erano parlanti ritardatari e periferici: ossia provinciali; e a dare il corrispettivo pittorico della poesia di Fucini e dei fuciniani, non si potrebbe certo trovare una tecnica più pertinente della loro. Radici «regionali» diverse ha la pittura napoletana della stessa epoca: ma anch'essa sta in rapporto con una «lingua» centrale, che potrebb'essere quella del verismo, fino a un certo momento, quella del decadentismo dannunziano (sempre con sensuali legami al folclore, Le novelle della Pescara», La figlia di Iorio, che riproduce quasi letteralmente dei versi di una Passione popolare abruzzese), in seguito. Si mettano in rapporto Gemito e Ferdinando Russo: si vedrà come essi stilisticamente coincidano là dove il verismo giunge alla minuzia fotografica, ma, appunto nell'eccesso di fedeltà agli oggetti - grondanti, contemporaneamente, di colore locale - va al di là del proprio limite sensoriale ed empirico.
La coincidenza - ed è naturale - continua a verificarsi nel Novecento: in cui si dà un numero assai notevole di pittori, anche non cattivi, che operano ai margini della pittura centrale Milano-Firenze-Roma: appunto, nella «regione»; il che implica una diversità non solo di contenuto, ma anche, crocianamente, di tono. Prendiamo come esemplare Semeghini, che pure è ravvicinatissimo al «centro», e senza dubbio «contemporaneo», benché il Veneto ch'egli rappresenta sia dialettale, appunto, non solo per i contenuti oggettivi di figure e paesaggi, ma per il tono (diciamo, di un post-impressionismo crepuscolare) con cui è rappresentato. Potrebbe essere, insomma, l'equivalente del dialettale triestino Virgilio Giotti: anch'egli di formazione «centrale» ( «Solaria») eppure periferico fino appunto al dialetto; fino quindi alla elaborazione dei motivi della coeva poesia in lingua in un tono non più perfettamente coevo. Il lettore potrà continuare da sé la sinossi, fino alla Roma di Gentilini e Dell'Arco, o alla Milano degli Espressionisti e di Tessa: a prender atto di un dato (dei cui prodotti estetici, in un giudizio di valore, si può dubitare; e noi, allievi di Longhi, siamo tra quelli che ne dubitano), che costituisce uno dei momenti oggettivamente e quantitativamente più importanti della nostra cultura.
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