"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pasolini sul suo teatro
Interviste radiofoniche (1968-1972)
Estratti audio dalle trasmissioni radiofoniche
tratte da:
Intervista di Leoncillo Leoncilli a Pier Paolo Pasolini su Orgia
(RAI, 27 novembre 1968)
Pier Paolo Pasolini - Il teatro di Parola è un teatro che si basa esclusivamente sul testo, che esclude l’azione. Cioè, nel palcoscenico non ci saranno duelli, baci, salti, contorsioni e altre cose del genere. Ma tutto sarà semplicemente testo, un po’ come gli antichi greci, insomma, Lo schema teatrale è preso dalla tragedia greca, in cui tutto – appunto – è parola.Leoncillo Leoncilli - Un dramma in versi, il suo, con una trama che racconta di un matrimonio naufragato e del suicidio di due coniugi. Ma il significato interiore qual è?
Pier Paolo Pasolini - È prima di tutto la diversità. Cioè, che cosa è il diverso in una società che fa della normalità una specie di teologia. E poi, il senso della morte. Cioè, la morte può essere abitudine alla repressione, come dice Marcuse, e quindi può portare a una vita rassegnata da una parte, e peccaminosa dall’altra. Invece questa Orgia insegna in qualche modo a fare “buon uso della morte”.
Intervista di Giancarlo Barberis a Pier Paolo Pasolini e Laura Betti su Orgia
(RAI, 1 dicembre 1968).
Conduttrice - A Torino è andata in scena – se così si può dire –una nuova opera di Pier Paolo Pasolini, intitolata Orgia. Come sempre le esperienze del poeta e cineasta friulano [sic] sono destinate a provocare polemiche, discussioni, curiosità.
Conduttore - Comunque la fatica della ricerca di un linguaggio nuovo, di una nuova espressione scenica non possono lasciare indifferenti, poiché appartengono a quell’ansia di verità che costituisce il tormento, non sempre sterile, dell’attuale generazione.
Conduttrice - Giancarlo Barberis ha assistito all’insolito spettacolo, restandone – ci sembra – alquanto soggiogato. È uno spettacolo affidato alla suggestione della parola, ed è tempo – ci pare – che la parola riacquisti la sua magia. (Squillo di tromba dallo spettacolo)
Giancarlo Barberis - Questo non è un comune squillo di tromba. È uno di quelli che accompagnano e sottolineano Orgia, il primo esperimento teatrale di Pier Paolo Pasolini, il suo approccio insomma al genere, un approccio che non poteva passare inosservato. Ha scosso, a Torino, quello squillo, una borghesia tranquilla, trasportata di peso davanti a una tragedia spaventosa, presentata in modo inabituale e in un luogo insolito, un deposito d’arte. Ha scosso solo la borghesia, perché solo questa, per ora, è ammessa all’Orgia pasoliniana.
Pier Paolo Pasolini - Sì, per le prime due settimane Orgia è data soltanto agli abbonati. Dopodiché comincia il mio vero e proprio esperimento, sulla ricerca di luoghi, come quello che lei ha descritto, che non siano i luoghi tipici del rito teatrale, cioè i teatri, con le loro poltrone di velluto, e d’altra parte non siano nemmeno i luoghi di protesta contro il tipo di teatro accademico, cioè le cantine. I luoghi che io cercherò sono luoghi che si definiscono già, per loro natura, come luoghi di incontri culturali.
Laura Betti - Sì, sono luoghi, questi di cui parla Pier Paolo, in cui io spero proprio che possa succedere che si smentisca uno di quei cartelli che lui ha scritto, quello in cui dice “niente applausi”.
Giancarlo Barberis - Lei proprio questa sera si è già fatta la sua brava piccola contestazione perché alla fine dello spettacolo è uscita e ha detto: “Qualcuno ha applaudito, grazie”.
Laura Betti - Si capisce, si capisce.
Giancarlo Barberis - Appunto.
Laura Betti - Avevano applaudito, noi siamo arrivati in ritardo fuori, allora io sono uscita fuori e ho detto: “Qualcuno ha applaudito, quindi ri-applaudite”. Mi sono presa gli applausi e son tornata indietro. Cioè io contesto questo manifesto.
Giancarlo Barberis - La contestataria è Laura Betti, principale strumento di Orgia, assecondata da Luigi Mezzanotte e da Nelide Giammarco. Nessuno dei tre è ‘attore’ della tragedia pasoliniana, che è in versi. È solo ‘strumento’ in mano al poeta. Come ha reagito il pubblico torinese?
Pier Paolo Pasolini - Mah, sono le reazioni che io mi aspettavo, cioè di incomprensione, in realtà, del testo. Perché io, come lei sa, cerco altri destinatari, cioè non cerco il pubblico che generalmente va a teatro. Ma cerco degli spettatori che siano più che altro dei lettori di poesie. Siccome i lettori di poesia sono pochissimi, cerco in realtà pochi destinatari.
Giancarlo Barberis - Pasolini respinge, insomma, la comunicazione con la massa.
Pier Paolo Pasolini - Come autore cinematografico ho fatto delle esperienze. Ho cominciato pensando che un’opera cinematografica dovesse essere quello che si dice ‘popolare’, ‘nazional-popolare’, in una sfera culturale gramsciana. Pian piano ho perso questa illusione. Siamo entrati in una nuova fase del capitalismo, il neocapitalismo, in cui la cultura è una cultura di massa. Che io voglia o che io non voglia. Il cinema, per sua natura, implica milioni di spettatori. Ora, la media del modo di recepire di questi milioni di spettatori un mio film fa sì che il mio film si trasformi completamente, diventi un’altra cosa. Ora ho capito che invece il teatro, per sua natura, non potrà mai essere un medium di massa.
Giancarlo Barberis - E a questo punto entra un’altra forma di teatro, che è quella che lei è venuto a proporre a Torino, ed è il teatro di poesia pura.
Pier Paolo Pasolini - Quello che io chiamo teatro di Parola è uno dei tanti generi teatrali in cui il teatro si sta articolando. Cioè, non si può più parlare di ‘teatro’, come si diceva fino a qualche anno fa, perché ormai c’è un teatro accademico, ufficiale ecc ecc, c’è un altro teatro d’avanguardia, gestuale, fatto di pura presenza fisica, e adesso c’è anche, timidamente, questo teatro di Parola, fondato tutto sulla parola…
Giancarlo Barberis - Rischia di esporsi forse all’accusa, che del resto le è stata formulata, di antidemocraticità.
Pier Paolo Pasolini - Mi pare che l’aristocraticità della mia operazione sia solo apparente, perché in realtà io, cercando questi piccoli pubblici, questo rapporto diretto con le persone, instauro un rapporto profondamente democratico. Il mio è un decentramento, praticamente, e ogni decentramento è democratico.
Intervista a Pier Paolo Pasolini sul teatro
(RAI, 13 giugno 1972)
Giornalista - Il regicidio [Affabulazione] è una delle sei commedie scritte da Pasolini. Pasolini, vediamo innanzitutto il significato di questo suo testo.
Pier Paolo Pasolini - È una cosa, guardi, che è impossibile da riassumere in poche parole in un’intervista di questo genere. Insomma, è un rapporto drammatico, ambiguo, complesso, tra un padre e un figlio. L’amore di un padre per un figlio.
Giornalista - Vorremmo chiederle che tipo di teatro è il suo, che discorso teatrale intende fare.
Pier Paolo Pasolini - Il mio è un teatro strettamente culturale. In realtà andrebbe letto in una stanza piccola, di fronte a una quarantina, a una cinquantina di persone. Questa è la vera destinazione del mio teatro. Ad ogni modo, certi criteri del mio teatro sono rigorosi, sono appunto quello che le ho detto: un teatro di cultura, fatto per poche persone, fatto per essere letto a voce alta, forse, ma non per essere rappresentato in quel rito sociale che è il teatro per la borghesia. Il mio teatro non è scritto in dialetto. È scritto in italiano letterario puro, e allora questo italiano letterario puro non ha un equivalente orale.
Giornalista - Passiamo per un momento alla sua attività di regista e di autore cinematografico. In questo momento sta preparando qualcosa?
Pier Paolo Pasolini - In questo momento sto finendo il missaggio e la stampa dei Canterbury Tales, I racconti di Canterbury. E sto già preparando Le mille e una notte. Qui, proprio mentre lei mi sta facendo questa intervista, c’è il costumista che deve fare i costumi delle Mille e una notte.
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