"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
“L’usignolo della Chiesa Cattolica:
laboratorio poetico e spirituale di Pasolini”
Un canto fragile e inquieto:
la poesia come testimonianza e scandalo
La raccolta poetica L’usignolo della Chiesa Cattolica di Pier Paolo Pasolini si configura come un viaggio complesso e stratificato nel cuore della poesia italiana del Novecento. Pubblicata nel 1958 ma composta tra il 1943 e il 1949, l’opera si colloca in un momento cruciale della biografia e della formazione intellettuale dell’autore, segnando il passaggio dalla stagione friulana e dialettale a una nuova fase di ricerca espressiva in lingua italiana. La raccolta si distingue per la densità tematica e stilistica, affrontando con forza e originalità questioni di religione, identità, eros, politica e memoria. Essa si impone come un vero e proprio laboratorio poetico, in cui si sperimentano forme, registri e simboli che anticipano molte delle tensioni e delle contraddizioni destinate a attraversare l’intera produzione pasoliniana.
Pier Paolo Pasolini nasce a Bologna nel 1922, da madre friulana e padre romagnolo. La sua infanzia e adolescenza sono segnate da continui spostamenti, ma è soprattutto il legame con Casarsa della Delizia, paese natale della madre in Friuli, a esercitare un’influenza decisiva sulla sua formazione umana e poetica. A partire dal 1942, Pasolini si rifugia a Casarsa per sfuggire ai bombardamenti della guerra e, al tempo stesso, per ricercare una dimensione esistenziale e culturale più autentica, lontana dalle tensioni della grande città e dal clima oppressivo del regime fascista. In questo contesto, la sua voce poetica si affina e si radicalizza, trovando nel dialetto friulano e poi nella lingua italiana gli strumenti per dare forma a un universo lirico che intreccia intimità personale e coscienza storica.
Il Friuli diventa per Pasolini una sorta di “utero linguistico”, una terra-madre che custodisce la fonte originaria della sua ispirazione poetica e il luogo della memoria infantile. In questo contesto, il giovane autore non si limita alla scrittura, ma si dedica anche a un’intensa attività educativa e culturale: fonda una scuola privata per i ragazzi contadini di Versuta, promuove la rivista Stroligut di cà da l’aga e, nel 1945, dà vita all’Academiuta di lenga furlana, con l’intento di valorizzare il friulano come lingua della poesia.
Il periodo friulano, tuttavia, è segnato da eventi drammatici. Nel 1945 il fratello Guido viene ucciso durante l’eccidio di Porzûs, episodio che imprime una ferita indelebile nell’animo di Pasolini e alimenta il senso di perdita, lutto e crisi che attraversa molte delle sue liriche. Negli anni successivi, l’autore si avvicina al Partito Comunista Italiano, ma nel 1949 viene espulso a seguito di accuse di corruzione di minori e atti osceni: accuse infondate, che lo costringono però ad abbandonare il Friuli e a trasferirsi a Roma insieme alla madre.
Questi eventi biografici si riflettono con forza nella scrittura di Pasolini. In L’usignolo della Chiesa Cattolica egli elabora il lutto, la crisi dell’identità, il senso di colpa e la tensione tra desiderio di purezza e pulsioni trasgressive. La raccolta nasce dunque in un contesto di profondi cambiamenti storici — la guerra, la Resistenza, la ricostruzione — e di lacerazioni personali, che ne determinano la tonalità elegiaca, il senso di precarietà e la ricerca ostinata di un significato nel dolore.
La raccolta si presenta come un canzoniere unitario, ma articolato in sette sezioni che seguono un ordine cronologico e tematico:
I) L’usignolo della Chiesa Cattolica - 1943 - Poesie di ispirazione religiosa.
II) Il pianto della rosa - 1946 - Divisa in “La verginità” e “Il non credo”, riflessione sull’innocenza e la perdita della fede.
III) Lingua - 1947 - Ricerca di una nuova espressività.
IV) Paolo e Baruch - 1948-49 - Dialogo tra fede e ragione.
V) L’Italia - 1949 - Poemetto in sei capitoli.
VI) Tragiques - 1949 - Quattro poesie di tono tragico ed esistenziale.
VII) La scoperta di Marx - 1948-49 - Poemetto di chiusura, apertura alla dimensione storica e politica.
La struttura della raccolta riflette il percorso interiore di Pasolini, dalla nostalgia per la purezza originaria alla crisi della fede, fino alla scoperta della storia e dell’impegno politico. Ogni sezione rappresenta una tappa di questo itinerario, in cui la poesia si fa strumento di autoanalisi, confessione e ricerca di senso.
Nelle edizioni successive, in particolare nell’edizione critica curata da Walter Siti per i “Meridiani” Mondadori (2003), sono state aggiunte appendici con poesie disperse e inedite, sia in friulano che in italiano, che arricchiscono ulteriormente il quadro della produzione pasoliniana di questi anni. La presenza di varianti, redazioni diverse e materiali preparatori conservati negli archivi testimonia la natura “aperta” e sperimentale della raccolta, che si configura come un laboratorio poetico in continua evoluzione.
Il tema religioso occupa un posto centrale in L’usignolo della Chiesa Cattolica. Pasolini si misura con il cristianesimo paesano del Friuli, vissuto come universo di riti, simboli e credenze popolari, ma anche come spazio di tensione tra l’aspirazione alla purezza e le pulsioni trasgressive. La religione, per lui, non è mai soltanto dogma o istituzione: diventa dimensione esistenziale e poetica, intreccio di nostalgia, colpa, desiderio e ribellione.
Nelle poesie della prima sezione, la figura di Cristo appare spesso in termini corporei ed erotici. Nel componimento La Crocifissione, ad esempio, il corpo di Cristo è descritto con tratti androgini e sensuali: «il tuo corpo / di giovinetta / è crocifisso / da due stranieri». Il sacro si trasforma così in occasione di scandalo e trasgressione, luogo di esposizione del desiderio, in una tensione costante tra carne e cielo, tra bisogno di redenzione e attrazione per l’eresia.
La Madonna, nei testi mariani come L’Annunciazione e Litania, è figura ambivalente: innocenza e trasgressione, purezza e desiderio. Pasolini la mette al centro di una dialettica feroce, specchio del conflitto tra ansia di purezza e attrazione per il peccato.
L’eros percorre l’intera raccolta come forza ambivalente: colpa e vitalità, scandalo e autenticità. In Bestemmia e L’illecito Pasolini mette in scena la propria omosessualità, il senso di colpa e la volontà di scandalizzare, ma anche la ricerca di una felicità “paradisiaca e immorale”. Sangue, corpo, nudità, luce e ombra diventano segni di un desiderio insopprimibile, che resiste anche nei momenti di crisi e di lutto.
Pasolini non cerca la pacificazione: cerca lo scontro. Il sacro e l’eros, intrecciati, diventano la sua lingua poetica. Non c’è redenzione senza scandalo, non c’è purezza senza peccato.
Il sacro è carne. L’eresia è verità. La poesia è rivolta.
Politica e la Scoperta del Marxismo
La dimensione politica si impone con particolare intensità nella parte conclusiva della raccolta, soprattutto nella sezione La scoperta di Marx. In queste pagine Pasolini prende coscienza della fine di un’epoca e avverte la necessità di abbandonare la dimensione extratemporale della poesia per entrare nella storia, accogliendo le istanze della lotta di classe e dell’impegno razionale. La poesia non può più limitarsi a essere rifugio o mito: deve diventare strumento di coscienza e di intervento.
Il poemetto La scoperta di Marx segna una svolta decisiva. La figura di Marx, evocata attraverso una citazione di Gor’kij, si trasforma in emblema di una nuova maturità storica, di una razionalità adulta che si oppone alla nostalgia per il mondo arcaico e materno di Casarsa. È il passaggio dall’infanzia poetica alla responsabilità politica, dalla memoria individuale alla coscienza collettiva.
Eppure, come osservano molti critici, questa tensione non si risolve mai del tutto. La poesia di Pasolini rimane attraversata dal conflitto tra dimensione privata e collettiva, tra memoria e storia. L’adesione alla razionalità marxista non cancella il dubbio, né spegne la contraddizione: al contrario, la rende più viva, più drammatica. È proprio in questa dialettica irrisolta che si colloca la forza del testo, capace di mostrare come l’impegno politico non elimini la nostalgia, ma la trasformi in coscienza critica.
Il tema dell’identità, dell’infanzia e della memoria attraversa l’intera raccolta come uno dei suoi fili conduttori. Pasolini guarda al passato con uno sguardo duplice: da un lato la nostalgia per un’età dell’innocenza ormai perduta, dall’altro la consapevolezza della crisi e della frattura che segna il presente. La madre, la terra friulana, i compagni d’infanzia e i paesaggi della giovinezza diventano simboli di un mondo arcaico e intatto, irrecuperabile nella realtà ma ancora vivo nella memoria e nel desiderio.
Nel componimento Lingua, il poeta affronta direttamente la propria crisi esistenziale e linguistica. Non cerca di superarla, ma di accettarla come parte integrante della sua identità:
«amo la mia pazzia di acqua e assenzio, / amo il mio giallo viso di ragazzo [...]».
Qui la confessione personale si intreccia con la riflessione poetica, trasformando il dramma individuale in materia di scrittura.
La memoria diventa così un luogo di resistenza contro la corruzione del tempo e della storia. Non è semplice rifugio nostalgico, ma spazio critico, dove dolore e consapevolezza si fondono, rivelando la diversità del poeta e la sua irriducibile distanza dal mondo omologato. In questo intreccio di ricordo e crisi si colloca la forza della raccolta: la capacità di trasformare la perdita in coscienza, e la nostalgia in linguaggio poetico.
Dal punto di vista metrico, L’usignolo della Chiesa Cattolica si distingue per una notevole varietà di forme. La prima sezione è segnata da sequenze litanianti di quinari, che evocano il ritmo della preghiera e della ritualità popolare. A queste si affiancano componimenti in endecasillabi — il celebre “endecasillabo d’avorio” — insieme a settenari, novenari, poemetti in terzine e versi liberi. Tale pluralità non è casuale: riflette la ricerca di una voce poetica capace di dare forma alla complessità dell’esperienza, di tradurre la crisi dell’identità e di rendere visibile la tensione costante tra tradizione e innovazione.
La struttura ritmico-sintattica si presenta spesso con un andamento prosastico, vicino al registro narrativo, che alterna momenti di scorrimento discorsivo a improvvise accensioni liriche e a pause di meditazione sospesa. Questo equilibrio dinamico consente alla poesia di muoversi tra diversi registri: dall’elegiaco alla preghiera, dalla confessione alla denuncia, fino alla meditazione filosofica.
In tal modo, la raccolta si configura come un laboratorio di forme e di voci, dove la metrica diventa strumento di esplorazione interiore e di espressione critica. La varietà dei versi non è soltanto un esercizio tecnico, ma un modo per incarnare la pluralità dei sentimenti e delle contraddizioni che attraversano l’opera: nostalgia e ribellione, sacro e profano, lirismo e razionalità.
Il simbolismo costituisce una delle cifre stilistiche più rilevanti di L’usignolo della Chiesa Cattolica. Le immagini della luce e dell’ombra, dell’alba e della notte, del sangue, del corpo, della croce, della madre, della vergine, del fiore e dell’usignolo ricorrono con insistenza in molte poesie, assumendo di volta in volta significati diversi e spesso ambigui. Questa costellazione di simboli non si limita a ornare il testo, ma diventa il tessuto stesso della sua espressività, capace di tradurre in immagini la tensione interiore del poeta.
L’alba, ad esempio, si configura come emblema di speranza e di rinnovamento, ma al tempo stesso segna la fine dell’innocenza, il passaggio irreversibile dall’età arcaica alla coscienza adulta. Il sangue, con la sua densità semantica, è insieme segno di passione, sacrificio e colpa, mentre il corpo — soprattutto quello di Cristo e della madre — diventa luogo di esposizione e di desiderio, ma anche di scandalo, in cui si intrecciano sacralità e trasgressione.
A livello retorico, l’uso ricorrente dell’ossimoro e della sineciosi (l’unione di opposti) rivela la volontà di esprimere la dialettica irrisolta che attraversa l’opera: purezza e peccato, innocenza e trasgressione, memoria e storia. Queste figure non sono semplici artifici stilistici, ma strumenti attraverso cui Pasolini mette in scena la contraddizione come principio generativo della sua poesia.
In tal modo, il simbolismo diventa non solo un tratto estetico, ma un dispositivo critico: esso consente di rappresentare la complessità dell’esperienza poetica e di dare forma alla tensione tra sacro e profano, tra nostalgia e coscienza storica, tra desiderio e colpa.
Gianfranco Contini, “Al limite della poesia dialettale” (1943), che sottolinea la modernizzazione della poesia dialettale operata da Pasolini e la sua capacità di coniugare antico e nuovo.
Franco Fortini, “Attraverso Pasolini” (2022), che analizza la tensione tra espressione assoluta e manierismo, tra autenticità e sperimentazione formale.
Guido Santato, “Pier Paolo Pasolini. L’opera poetica, narrativa, cinematografica, teatrale e saggistica” (2012), che offre una lettura complessiva della produzione pasoliniana, mettendo in luce la centralità della crisi linguistica e della ricerca di senso.
Walter Siti, curatore dell’edizione critica delle poesie di Pasolini per i “Meridiani” Mondadori, che evidenzia la continuità tra la stagione friulana e la produzione in lingua italiana.
Giordano e Naldini, “Pasolini. Le lettere” (2021), che documentano il processo di composizione, le difficoltà editoriali e il rapporto di Pasolini con i critici e gli amici.
Giovanni Avogadri, “L’Usignolo della Chiesa Cattolica di P.P. Pasolini e il fascino del Puer Aeternus” (2013), che interpreta la raccolta alla luce dell’archetipo del fanciullo eterno e della dialettica tra innocenza e colpa.
Luigi Bianco, “Corpus Pueri. Note su L’usignolo della Chiesa Cattolica di Pier Paolo Pasolini” (2025), che analizza la raccolta come tappa fondamentale nel percorso di distacco dal mito friulano dell’infanzia.
“Vedrei con molto piacere pubblicato l’Usignolo, se non altro perché sgombrasse dai cassetti della mia scrivania e dei miei ricordi.”
L’usignolo della Chiesa Cattolica si colloca come una tappa decisiva nella formazione poetica di Pasolini, non solo per la novità della scelta linguistica — il friulano come lingua della purezza e dell’innocenza — ma anche per la radicalità dei temi affrontati. In queste liriche si intrecciano la tensione religiosa e la dimensione erotica, la nostalgia per un mondo arcaico e la percezione dolorosa della modernità, la ricerca di un senso collettivo e la confessione intima. La raccolta diventa così un luogo di sperimentazione, dove il poeta mette alla prova registri diversi, dal canto elegiaco alla invettiva, dal simbolo sacro alla rappresentazione carnale.
Il valore dell’opera risiede anche nel suo carattere di “cerniera”: essa segna il passaggio dalla stagione giovanile e dialettale, legata a Casarsa e alla comunità friulana, verso una poesia più consapevole e civile, che si aprirà negli anni successivi all’impegno storico e politico. Non a caso, le varianti e le redazioni multiple testimoniano un processo creativo inquieto, che riflette la precarietà esistenziale e la continua tensione tra fede e dubbio, tra desiderio e colpa.
La ricezione critica ha confermato la centralità del testo: studiosi come Gianfranco Contini hanno sottolineato la scelta etica del dialetto, mentre Walter Siti ha evidenziato la natura sperimentale e aperta della raccolta. Le lettere e gli scritti autobiografici di Pasolini, inoltre, rivelano la dimensione personale e dolorosa di questa scrittura, che nasce da un bisogno di liberazione e di testimonianza.
In definitiva, L’usignolo della Chiesa Cattolica non è soltanto un esordio poetico, ma un laboratorio di contraddizioni e di verità: un canto fragile e inquieto che, pur radicato nella giovinezza, anticipa le grandi questioni della produzione pasoliniana — la crisi dell’identità, il rapporto tra sacro e profano, la necessità di dare voce agli ultimi.
Bruno Esposito


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