Benvenuto/a nel mio blog

Benvenuto nel blog

Questo blog non ha alcuna finalità di "lucro".
Viene aggiornato di frequente e arricchito sempre di nuovi contenuti, anche se non in forma periodica.
Sono certo che navigando al suo interno potrai trovare ciò che cerchi.
Al momento sono presenti oltre 1500 post e molti altri ne verranno aggiunti.
Ti ringrazio per aver visitato il mio blog e di condividere con me la voglia di conoscere uno dei più grandi intellettuali del trascorso secolo.

sabato 31 maggio 2025

Pasolini - LO SPECCHIO INSISTENTE - Libertà, 8 giugno 1946, pag.3

"Le pagine corsare " 

dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro

Pasolini pittore - Narciso, 1947 © Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux Firenze



 Pasolini
LO SPECCHIO INSISTENTE

Libertà

8 giugno 1946

pag.3

( © Questa trascrizione da cartaceo, è stata curata da Bruno Esposito )

 

... Pietro udì alcune voci imprecise, e in mezzo a quelle riconobbe qualche parola nitida, così si riscosse. Vide con esattezza com’era vestito e pensò (quasi i suoi pensieri deragliassero, ed egli ne avesse una specie di ironica coscienza) che quelli erano i «suoi» vestiti, e che lo definivano, lo indicavano come l’unico che potesse indossarli; quindi risalì ad un pensiero assillante. La questione dei vestiti fu subito superata per la troppa abitudine a simili sensazioni; egli ne prese coscienza e così la risolse. Restò l’amarezza del pensiero fondamentale ancora una volta dimostratosi inafferrabile, e la convinzione che sarebbe venuto il momento in cui il troppo ripetersi di situazioni simili l’avrebbe reso incapace a rassegnarsi. Prima di uscire si guardò nello specchio (uno specchio alto e rettangolare) gettandosi un’occhiata distratta:

gli tornavano gli sconforti dell’adolescenza. Ma quello che vide nello specchio lo immerse in uno stato imprevisto e di un’assurdità così aperta che non fu più possibile ribellarsi. Al posto della sua immagine, con gli occhi scuri e i capelli folti, apparve nello specchio un orribile scimmione, col muso intelligente e grinzoso, il petto ricoperto da un vello arruffato. La bestia lo guardava fissamente, con uno sguardo penetrante, che, un poco alla volta, assumeva un’aria sempre più astuta e spudorata fino a divenire ilare, insistente, come quella degli ubriachi. Pareva volesse riuscire contagioso, quello sguardo, suscitando una ilarità cordiale e indiscutibile, e si attaccava con l’occhio all’occhio, viscidamente, storditamente. A che cosa alludesse, pareva dovesse riuscir cosa ovvia senza bisogno di

nessun’altra spiegazione se non quell’occhiata ripugnante che aveva l’aria di rallegrarsi. Il naso enorme si dilatava dietro a quel riso untuoso, e il mento bestiale ne era tutto contraffatto. Il resto dell’immagine era ugualmente orribile, ma nel tempo stesso, quasi gioviale: il grosso torace peloso, la pancia laida, le cosce pesanti che lo sostenevano con la solidità nervosa di un lottatore. Vinta con enorme rapidità la sorpresa, e superata la circostanza come una cosa inesorabile, ormai più allarmato che atterrito, Pietro fu protetto dall’idea violenta di inventare un mezzo perché i parenti e i vicini non si accorgessero di quella immagine accusatrice. Andò a prendere uno straccio, lo inzuppò d’acqua e sapone, e corse a pulire lo specchio. Dietro al suo braccio delirante e al pugno che solcava in tutte le direzioni la superficie lucente, egli scorgeva il mostro imperturbato, e quando esausto smise di strofinare lo vide ancora più nitido contro uno sfondo immenso, che rideva fissamente, scoprendo con aria cameratesca i denti luridi. Preso dalla disperazione Pietro afferrò lo specchio con le due mani e lo scagliò sul pavimento dove subito lo vide infranto in mille pezzi. Allora uscì dalla camera, pieno di sentimenti confusi, come quando da fanciullo suo padre lo sgridava. Ma lo specchio non poteva restare lì sul pavimento: quindi bisognava tornare indietro, e scoparne i cocci nell’angolo delle spazzature. Riaprì la porta, e, riabituatosi alla semioscurità della camera, vide lo specchio intatto, al suo posto, e, dentro, lo scimmione che lo scrutava sempre più a fondo, gongolando intimamente e, ora, quasi strizzandogli l’occhio. Pareva che l’amico avesse aggiunto quest’ultimo segreto a tutti gli altri infiniti che conosceva sulla vita del giovane, e, pur rendendosi conto del suo inferiore stato di bestia, ne sorrideva maliziosamente con quei suoi occhi impudenti. Così Pietro cercò di liberarsene in un modo meno
volgare dei precedenti: bisognava far presto. Assunse a sua volta un’espressione ironica, come di chi, avendo superato il fatto straordinario, possa ormai considerarlo più maturamente ed oggettivamente. Di fronte alla totale accusa che esprimevano gli occhi dell’orango, egli assunse un atteggiamento interrogativo e leggermente risentito, come se sottintendesse questa parola: «Ebbene?» Ma il bestione non si lasciò affatto sorprendere: egli aveva davanti a sé non mezz’ora, ma l’eternità e poteva benissimo persistere nella sua repellente espressione, sicuro della finale riuscita. I suoi occhi ammiccavano anzi più intensamente e la bocca gli si era distesa in un ghigno beato. Pietro sentì che lottare in quel modo era come inveire contro un uragano, un monte. Prese lo specchio, lo avvolse con dei giornali ed uscì. Quando fu fuori dell’abitato, camminò ancora in mezzo ai campi per qualche chilometro, finché arrivò sulle sponde di una roggia. Il luogo era deserto; spaccò lo specchio, parte dei cocci li buttò nella corrente, parte ebbe l’idea di conficcarli nel fango e nelle zolle. Quindi fece ritorno, ma con l’animo straziato dai presentimenti, con la coscienza di aver commesso qualcosa di irreparabile, di eccessivo: un gesto contro natura che lo collocava irrimediabilmente fuori del comune stato umano. (Il meriggio era ormai tardo; le voci dei contadini, pigre e attonite, come lievi lamenti, rompevano la solitudine. Le ombre trasparenti, le luci calme del piano s’ispessivano vedute contro le sagome dei monti dai crinali azzurrini.) Pietro varcò la porta di casa sua con un peso fortissimo nel cuore, e quando aprì l’uscio della cam
era vide lo specchio al suo solito posto. Il bestione, dentro, vi gongolava con l’orrida bocca spalancata in un riso sazio e immobile; gli occhi fissi su Pietro avevano portato la loro espressione insinuante a una tensione allucinata; una laida, sozza, grassa sfacciataggine gli gonfiava le vene del collo e delle tempie, gli tirava in alto le sopracciglia, gli dilatava gli occhi. Un rossore impuro si era diffuso in quel muso di crapulone nauseante ed ingenuo. Il parossismo dell’omertà che egli, giustificatamente, era venuto a stabilire con la vita segreta del giovane, era divenuto una enfiagione dei labbri e delle palpebre che tuttavia mantenevano la loro bestiale, selvatica indifferenza. Pietro si sedette, e col capo stretto tra i pugni rimase a guardare l’immagine. «Non tu», diceva quasi piangendo, «non tu orribile, innocente bestione, non tu devi scomparire... Chi ti ha mandato qui, in questo specchio dove dalla mia infanzia mi sono guardato, incerto, mille volte, sa della tua naturalezza invincibile. No non sei tu che devi sparire, tu che non vuoi vedere null’altro in me, se non ciò di cui ridi, e che infatti dio mio, è tutto quello in cui veramente io consisto.» Ma un senso sgradevole della propria voce e dell’inevitabile retorica in cui era scivolato parlando forte, lo arrestò a mezzo di quello sfogo; e il malessere non fece che aumentare. Prese la sciarpa e uscì. Le ore passavano ed era prossima la notte; sua madre e sua sorella meravigliate del ritardo stavano sedute lavorando in silenzio. Spesso guardavano fuori della finestra per vedere se mai ritornasse. Ma Pietro non si decideva mai a rincasare. Esse erano tormentate da quel lieve ritardo, che ben presto divenne angoscioso, insostenibile. Sentivano dentro di sé, senza dirsi nulla, uno stordimento, un orgasmo come dopo una faticosa corsa, che sfiorava il cervello con repentini e fuggevoli vuoti. Il disagio assumeva già forme di rassegnazione, di naturali ritorni alla calma, suggerita da un egoismo ormai pronto. Del resto che qualcosa di vero ci fosse in quei presentimenti, era il tonfo tranquillo di una pompa nel cortile a suggerirlo, erano le nuvole bianche, erano le foglioline che, alla brezza della sera, si muovevano indifferenti. Lì, nella stanza, l’atmosfera era assolutamente diversa: nella penombra giallastra, si vedeva brillare lo specchio vuoto.


PIER PAOLO PASOLINI 



@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare


Curatore, Bruno Esposito

Grazie per aver visitato il mio blog

Nessun commento:

Posta un commento