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sabato 22 febbraio 2025

Pier Paolo Pasolini, Il coraggio di vivere - Vie nuove numero 20, del 17 maggio 1962

 "Le pagine corsare " 

dedicate a Pier Paolo Pasolini

Eretico e Corsaro



Pier Paolo Pasolini
Il coraggio di vivere

Vie nuove 

numero 20

17 maggio 1962

pag.25

Caro Pasolini, ti scrivo perché mi sono fatta comunista, specifici fatti e una certa sofferenza interiore mi hanno fatto scivolare sull’unica risorsa di vita che mi rimaneva. 

Ti scrivo però soprattutto, per confidare a te, che hai così profondamente capito l’infelicità dei giovani, come poche ore fa io abbia superata l’idea di voler morire: e non è la prima volta. Non so dirti altro della mia vita, all’infuori delle mie poesie. Che valgano o no, sono la mia arma migliore. 

Ho ventidue anni. Mi chiamo Cosetta D. E., vivo a Bologna.

Avrei bisogno, sento fortemente il bisogno di studiare, per salvarmi, ma tutti mi sono contro: 1) perché sono una donna; 2) perché non ho mezzi, sono anzi molto povera. 

Come potrò salvarmi dal cadere all’asservimento di uno dei tanti che mi gironzolano intorno, vuoti di ideali, senza la speranza di una umanità migliore, di una società costruita diversamente? Uomini che affogano: fiumane di pettegolezzi, malvagità nidificata, soprusi morali, e sfruttamento, sempre e in ogni campo. 

Dove prendere il coraggio di vivere? O di partire, per cercare un avvenire migliore? Mi puoi aiutare?

Cosetta

Ricevo quasi tutti i giorni una lettera, almeno, sostanzialmente simile alla tua. Altre volte, questi tuoi stessi argomenti, mi vengono detti a viva voce da giovani che vengono a trovarmi. Con necessaria crudeltà, io non posso occuparmi di tutti, alle volte nemmeno per un momento, per il breve tempo che occorre a dire una parola di incoraggiamento. Non ho la possibilità materiale di farlo. Ma tutte queste parole di incoraggiamento non dette, finiscono col formare un fondiglio doloroso nella mia anima, una specie di cancrena, fatta di rimorso e di furia contro le strutture di questa nostra esistenza. Lavoro, lavoro come un pazzo, sono nel cuore del mio lavoro. Quando non lavoro, quasi sempre sono occupato a risolvere problemi miei così gravi che non ho la forza di occuparmi di quelli degli altri. È difficile che un malato possa curare altri malati. Nonostante questo so che il bene non fatto è bene non fatto, e basta. Non ci sono mai giustificazioni. Il mio moralismo di settentrionale protestante è spietato. Le mie omissioni sono uno spasimo. E, attraverso te, chiedo scusa ai cento, ai mille altri come te, che chiedono inutilmente il mio aiuto.

Però sia ben chiaro: non intendo rendermi complice di quella parte di colpa che è in te. Il mio incoraggiamento a vivere e a fare, può essere solidale, non ipocrita. E non è detto che per essere solidali non si possa essere anche sinceri e severi. Tu ti lamenti di «qualcosa»: questo «qualcosa» è la tua vita, sei te stessa. La tua è una forma di angoscia tipica, e quindi, in parte, lecita. Ne soffriamo un po’ tutti. Ma dimmi: 

1) Sei la sola a essere donna?, 

2) Sei la sola a non avere mezzi, a essere povera? 

Non mi pare che essere donna ed essere povera, possano essere degli alibi, per la tua coscienza, per poter ristagnare nella tua angoscia. Sono degli «handicap», che condividi con milioni e milioni di altre persone. Essi sono gravi solo quando non sono coscienti, non sono oggettivati dalla coscienza. Tu questa oggettivazione l’hai compiuta. Sai qual è l’origine della tua angoscia, della tua impotenza. Adesso sta a te lottare contro queste due cause del tuo male. Dalla lettera che mi scrivi deduco una sicura limpidità d’intelligenza: inoltre scrivi dei versi (questi versi sono brutti, te lo dico subito, ma non ha importanza), il che significa che hai la possibilità di sfogarti, di esprimerti, di affermarti, di sperare.

Infine, ti «sei fatta comunista»: il che significa che la tua intelligenza e la tua sensibilità, possono trovare una «forma» ideologica, possono diventare cultura, modo di vedere il mondo, di giudicarlo, di capirlo, di aggredirlo. A questo livello le proprie vicissitudini private possono passare in second’ordine (anche se continuino a far soffrire atrocemente), e, il coraggio di vivere non si mette più in discussione.

Pier Paolo Pasolini


©Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare


Curatore, Bruno Esposito

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