Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Pier Paolo Pasolini è morto.
L’orazione funebre pronunciata da Gianni Borgna
segretario della Federazione giovanile comunista di Roma
ai funerali del poeta a Campo de’ Fiori (5 novembre 1975)
Che fosse un uomo veramente buono, candido e aspro come lo abbiamo ancora davanti agli occhi, è invece giusto qui dirlo.
Un amico, un compagno, che sempre ha avuto poco e dato tanto, anche al di là delle sue stesse forze.
Un amico, un compagno che sempre ha saputo coniugare la cultura con la vita, e tendere allo sforzo massimo di usarla come arma di una passione civile.
Ha capito bene che non ci piacciono le voci irrisolte, le doppie verità, e tanto meno le finzioni; che noi preferiamo l’eresia alla norma, lo scontro dichiarato delle idee all’inerzia del pensiero.
Che anche noi esploriamo in cerca del mistero senza fermarci mai alla sola apparenza.
Con noi, giovani comunisti, aveva stabilito un dialogo ininterrotto: e come non ricordarlo, l’ultima volta, alle Giornate del Pincio?
Ci ha parlato della sua angoscia. Soffriva nel vedere la città con la quale aveva stabilito un rapporto pieno, fecondo, della quale aveva scritto usando aggettivi impossibili, mescolando degradazione e pietà, resa anonima, quasi nemica, da un potere che ha fatto scempio di ogni cultura, di ogni codice morale, di ogni sistema di valori.
Soffriva nell’assistere al genocidio della cultura contadina, di tutte le culture particolaristiche, all’affermarsi di una civiltà di massa. Temeva che da questo vuoto, da questo sradicamento, sarebbero nate o una violenza anonima o una disobbedienza coatta.
Ci ha detto, dichiarando il suo voto al Pci, che il compito dei comunisti consiste nel costruire di nuovo l’Italia dalle rovine, come nel ’45, e il compito degli intellettuali nell’esprimere una nuova obbedienza, nell’aderire a nuovi valori umanistici che sono propri delle classi oppresse.
Si è rivolto ai giovani, a quei giovani che hanno scelto ancora una volta la strada della cultura.
E noi gli abbiamo parlato della crisi profonda, politica ma soprattutto morale. E noi gli abbiamo parlato dell’intreccio che oggi è sempre più forte tra politica e vita, tra prospettiva politica e prospettiva esistenziale; dell’ansia spesso inconsapevole che c’è nei giovani alla ricerca di nuovi approdi, di nuove sintesi morali, che incidano in profondità nel costume, nelle psicologie diffuse, nei modelli di comportamento, nei rapporti interpersonali.
Allora anche lui ritrovava la forza per tentare di definire le linee di un progetto, per vivere ancora “il sogno di una cosa”.
Aveva detto che la rivoluzione non è più che un sentimento, altre volte, però, ne sentiva, fortissima, l’urgenza e l’esprimeva in modo oggettivo, lucidamente, o in forma ingenua, come nella storia di Alì dagli occhi azzurri, con le bandiere rosse che vanno verso l’ovest e il nord: per insegnare, come ha scritto, ai compagni operai la gioia della vita, per insegnare ai borghesi la gioia della libertà, per insegnare ai cristiani la gioia della morte.
Così, anche le belle bandiere degli anni Quaranta non erano più solo un ricordo, e si imponeva ancora la fatica della lotta che, in tutti i momenti decisivi, lo ha trovato dalla parte giusta, senza mai l’ombra della retorica o del gesto ostentato.
Per questo i fascisti lo hanno sempre odiato, come sempre hanno odiato la cultura, la vita, l’amicizia, la grazia. Ma per questo, lo hanno sempre anche temuto, hanno sempre sperato che la corda del suo canto si spezzasse.
Oggi questa corda si è spezzata.
Ma, come in una delle sue invettive, in un suo amaro scherzo shakespeariano, noi siamo qui a seppellire un corpo ma il suo spirito resta, sopravvive, insieme al suo ricordo.
Gianni Borgna
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