"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Al processo per querela
Pasolini nega di aver voluto offendere i frati
L'Unità
mercoledi 24 gennaio
1973
(Trascrizione dal cartaceo, curata da Bruno Esposito)
L'Unità, mercoledi 24 gennaio 1973
Al Tribunale di Benevento è cominciato lunedi un nuovo processo contro il film I racconti di Canterbury di Pier Paolo Pasolini, in seguito alla denuncia presentata da un religioso, padre Antonio Gambale, che ha ravvisato in un episodio del film una offesa all'onore, al decoro, alla reputazione degli ordini religiosi francescani, oltre che alla religione dello Stato.
Dopo alcune eccezioni della parte civile e della difesa, è stato interrogato il produttore Alberto Grimaldi, che ha contestato i capi d'accusa. Non e stato interrogato il regista, assente per indisposizione. Il tribunale ha quindi disposto la proiezione del film; il processo e stato rinviato per la discussione al 3 febbraio.
Pasolini ha fatto diffondere una dichiarazione in proposito:
«Io non ho mai avuto alcuna ragione per offendere i frati o polemizzare con loro — egli dice. Anzi, se c'è una categoria di persone per cui ho una forma di simpatia e di tenerezza sono proprio i frati. Lo dico anche adesso che uno di loro ha voluto querelarmi in nome dell' "onore" del "decoro" e della "reputazione" della categoria: che sono concetti non religiosi, ma piccolo-borghesi. La mia simpatia e la mia tenerezza per i frati sono sempre state determinate dal fatto che i frati mi appaiono come sostanzialmente fuori — per le loro stesse regole — dal mondo piccolo-borghese e clericale. Fuori dal mondo del potere, insomma. Se fosse dipeso da me, semmai, avrei collocato nell'Inferno, che non e "pasoliniano" ma "chauceriano", dei preti o dei porporati: sempre scherzosamente, si capisce. Ma io, in questo episodio più ancora che negli altri, ho voluto restare fedele al testo di Chaucer: e infatti vi sono restato fedele fino alla lettera, fino a ridurre il mio testo quasi al rango dell'Illustrazione.
«Cosa che accade meno nel resto del film, il quale, essendo "opera di autore", si ispira a Chaucer, ma non l'illustra". Tutto ciò che riguarda i frati — afferma il regista — il loro andare alla questua avidamente, la loro punizione infernale, e preso alla lettera dal testo di Chaucer, ossia da un testo che e per il mondo anglo-sassone (ossia, in pratica, per tutto il mondo, eccettuata la provincia culturale italiana) uno dei testi più alti di ogni letteratura. Chaucer e per gli anglosassoni ciò che per noi Dante. E' noto e universalmente pacifico, dunque, il carattere di tale testo: il suo senso profondamente moralistico e religioso, e insieme la sua assoluta liberta laica.
Chaucer ha preso di mira i frati, cosa che era quasi stereotipa ai suoi tempi. Ma i suoi lazzi contro di loro — cosi come nel mio film — restano sostanzialmente innocui e puramente comici. Anche se e chiaro che probabilmente Chaucer aveva le sue buone ragioni per insistere in una simile polemica contro l'avidità fratesca. Dunque, la espulsione dall'"ano del demonio" dei frati e una trovata chauceriana. che io ho riprodotto sullo schermo assolutamente alla lettera. E non posso considerate che prodotto di oscurantismo e addirittura di ignoranza l'offendersi per questo. Quanto al fatto che io abbia poi nel resto del film rappresentato il frate come "un traviato che si diletta e si compiace nell'esaltazione della sessualità e della pornografia più sfacciata ed invereconda", ciò non e prodotto di oscurantismo o di ignoranza, ma di vera e propria malafede.
«Secondo me — prosegue Pasolini nella sua dichiarazione — qui ci sarebbero gli estremi per una querela per calunnia da parte mia (se io volessi mettermi al livello dell'accusatore): infatti mai nemmeno per un solo istante, nel resto del film, vengono rappresentati dei frati in qualsiasi forma di rapporto o atteggiamento erotico (c'è solo un frate — sempre rappresentato comicamente — che appare per un attimo, in una distribuzione di minestra ai poveri. e basta). Probabilmente la persona che mi ha querelato non ha visto nemmeno il film, perchè altrimenti non si sarebbe lasciata andare ad accuse cosi offensivamente e brutalmente infondate. II canto gregoriano a cui si accenna alla fine della querela e stato scelto da me casualmente, come un testo arcaico che doveva sostituire quello di cui parla Chaucer, accennandone il primo verso: Angelas ad Virginem.
« Non ho potuto ritrovare il canto citato da Chaucer, che forse e andato perduto, e non e ricostruibile filologicamente. Il testo gregoriano che ho scelto (perchè già usato nel Decameron) — continua il regista — mi sembra appartenere a una liturgia de! passato, non più in uso: infatti, non l'ho mai sentito cantare in nessuna chiesa ed in nessuna occasione religiosa moderna. L'ho usato come avrei usato in una situazione analoga il testo di un poeta delle origini. Quanto alle parole della strofa cantata dagli scolari in due occasioni, è il querelante stesso — probabilmente l'unico in tutta Italia ad averle decifrate, trattandosi di un latino impervio — che me ne ha suggerito la possibile ambiguità. Da parte mia trovo la cosa, a posteriori, abbastanza divertente.
«Quanto al querelante — conclude Pasolini — sarà forse il caso di ripetergli ancora una volta: Omnia munda mundis.
@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare |
Nessun commento:
Posta un commento