"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Nuova poesia in forma di rosa
Fossi vissuta
quieta come una bestia,
ma avessi consegnata quella lettera
che m'era stata affidata!
B. Brecht: Santa Giovanna dei Macelli
Cosa fate?
Io scrivo di nuovo
una poesia in forma di rosa (3
settembre 1963), buoni dispersi d'Eridania!
Tutti emigrati, come rondini, che lasciano le piazze vuote. Quindi si pone
il problema del nostro silenzio. Da Bagutta Ferrata ha uno
strano sorriso distratto, di matto che guarda altro matto,
solo perché non esce più da alcuni anni il Magone
cantato in combutta a Bologna, per amore,
per puro amore, ecc. ecc. L'Italia
va benissimo senza di noi,
ma noi, cosa facciamo
nel mondo nero?
Nel secondo
petalo odoroso si contempla
LEONETTI... che urlando ara vos prec
da versi al Verri (mentre Verre in Lombardia...)
(Ravenna... Cesena... Grandi speranze con Einaudi, e, dal confino,
quasi piccolo Mossadeq, cova un sogno, in cui De Gaulle è Re, una cerchia
d'Esse Esse stilcritiche gli gnomi, e il Nulla noi, i suoi più cari amici ecc...
Conclude il sogno: bene. Rimette i peccati ai peccatori, bene.
Da redattore rifatto formica, riprende i rapidi per Milano,
per Roma, Einaudi, Garzanti, Romano che dice addio
alla Televisione, e apre un futuro di Collane...)
Ma la formica laboriosa ha il buco
dove se ne sta sola, e canta
come la cicala. Questa la
sua vita, ma è vita
sua, nera.
Nel terzo
petalo odoroso si contempla
ROVERSI, come un monaco di clausura
diventato pazzo, che cerca una clausura nella
clausura, per rifare di nuovo il cammino già fatto,
senza notizie biografiche, cicala nel sole della tomba,
a trasformare livore in malinconia - comunque
quella è la sua vita, e della sua vita
i suoi versi sono testimoni
che hanno senso in contesti
di dolore
nero.
Nel quarto
petalo odoroso si contempla
FORTINI, ammutolito dal verificarsi
delle sue profezie, gettato nel magma dall'ordine
morale preveduto da lui, ma non così, non cosi...
E formica-cicala anche lui leggerà forse nuovi testi per nuove
profezie, per nuove ragioni di dannazione, e non mi stupirei se Mao
cantato da ignoti gessi nei cessi di Porta Romana,
trovasse ospitalità in un cuore così non romano,
e l'Ermetismo si trapiantasse a Pechino
in un prodotto per oggi puramente
supposto in cuore
a tanto nero.
In uno
dei più interni
petali, poi, si contempla
MORAVIA, che va a cercare in certi
litorali di Sicilia - con geranei supremi
divorati dalla storia, da rossi fatti arancione,
a riempire di quell'unica scolorita violenza un'intera regione -
l'incertezza funeraria e ellenistica ch'egli caccia dalla sua vita,
ma di cui non può far senza, e s'interessa come un ragazzo strano
davanti ai paesaggi degli archeologi tedeschi morti anche loro:
e non vuole, non vuole operare la congiunzione
tra il suo spirito e il suo sgomento, ci
lascia soli a dibatterci in questi
spregevoli problemi letterari
vecchi come il cucco, mentre
egli costruisce la sua vita
perfetta come di chi sa,
sempre, essere fuori
dal nero.
Quanto a me
ho lasciato il mio posto
di soldato non assoldato, di non voluto
volontario: il cinema, i viaggi, la vergogna...
Lo sapevo, lo sapevo già nel sogno: ma svegliandomi
mi son trovato ai margini. Altri protagonisti sono entrati,
non volontari essi!, e, partite le rondini, son loro a calcare ora
il palcoscenico. L'Èva cacciata si lamenta sul riso dell'Eve Nove; ma
ciò cosa conta? Il vero dolore è capire una realtà: questo mio essere
di nuovo nel '63 ciò che fui nel '43 - ragazzo piangente, apprendista
volenteroso: coi capelli che cadono, e si fanno grigi! L'espulsione
da sé del mondo, di me, suo corpo estraneo, è avvenuta nei modi
storici del neocapitalismo: ogni uomo ha un'epoca sola
nella vita, e si scrosta con i suoi problemi.
Non sono autorizzato a sapere la nuova
Italia che è nata come se dieci anni
fossero un anno solo: lei già
nel '64, io nel '54 con tutti
i marxisti come me, compromessi
nelle passioni
dei vecchi
corsi.
Che
io, del Nuovo
Corso della Storia
- di cui non so nulla - come
un non addetto ai lavori, un
ritardatario lasciato fuori per sempre -
una sola cosa comprendo: che sta per morire
l'idea dell'uomo che compare nei grandi mattini
dell'Italia, o dell'India, assorto a un suo piccolo lavoro,
con un piccolo bue, o un cavallo innamorato di lui, a un piccolo
recinto, in un piccolo campo, perso nell'infinità di un greto o una valle,
a seminare, o arare, o cogliere nel brolo vicino alla casa
o alla capanna, i piccoli pomi rossi della stagione
tra il verde delle foglie fatto ormai ruggine,
in pace... L'idea dell'uomo... che in Friuli...
o ai Tropici... vecchio o ragazzo, obbedisce
a chi gli dice di rifare gli stessi gesti
nell'infinita prigione di grano o d'ulivi,
sotto il sole impuro, o divinamente vergine,
a ripetere a uno a uno gli atti del padre,
anzi, a ricreare il padre in terra,
in silenzio, o con un riso di timido
scetticismo o rinuncia a chi lo tenti,
perché nel suo cuore non c'è posto
per altro sentimento
che la Religione.
Piansi
a quell'immagine
che in anticipo sui secoli
vedevo scomparire dal nostro mondo,
ma non conoscendo i termini usati nella cerchia
eletta di quel mondo per esprimerne l'addio, adoperai
cursus del Vecchio Testamento, calchi neo-novecenteschi, e profetai
profetai una Nuova Preistoria - non meglio identificata - dove
una Classe diveniva Razza al tremendo humour di un Papa,
con Rivoluzioni in forma di croce, al comando
di Accattoni e Ali dagli Occhi Azzurri -
fino a questi imbarazzanti calligrammes
del mio « vile piagnisteo »
piccolo-borghese.
Così
sfogliai una vana rosa,
la rosa privata del terrore
e della sessualità, proprio negli anni
in cui mi si richiedeva d'essere il partigiano
che non confessa né piange.
@Eretico e Corsaro - Le Pagine Corsare |
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