"Le pagine corsare "
dedicate a Pier Paolo Pasolini
Eretico e Corsaro
Fonte: Biblioteca nazionale centrale Roma |
"In morte del realismo"
Pasolini contro Cassola
Paese Sera
29 giugno 1960
Biblioteca nazionale centrale Roma
(Trascrizione curata da Bruno Esposito)
«Sono qui a seppellire il neorealismo italiano
non a farne l'elogio»
Fonte: Biblioteca nazionale centrale Roma |
- Alberto Arbasino, L’anonimo lombardo (Feltrinelli)
- Giovanni Arpino, La suora giovane (Einaudi)
- Laudamia Bonanni, L’imputata (Bompiani)
- Raffaello Brignetti, La riva di Charleston (Einaudi)
- Italo Calvino, Il cavaliere inesistente (Einaudi)
- Manlio Cancogni, Una parigina (Feltrinelli)
- Carlo Cassola, La ragazza di Bube (Einaudi)
- Laura Di Falco, Una donna disponibile (Salvatore Siascia)
- Ettore Lo Gatto, Puškin. Storia di un poeta e del suo eroe (Mursia)
- Claudia Patrizi, Stanotte cambia vento (Rizzoli)
- Mario Picchi, Roma di giorno (Lerici)
- Renzo Rosso, L’adescamento (Feltrinelli)
- Furio Sampoli, Lo specchio nero (Vallecchi)
- Sergio Saviane, Festa di laurea (Parenti)
- Vittorio Sermonti, Giorni travestiti da giorni (Feltrinelli)
Prima votazione Casa Bellonci, 19 giugno ( Prima dell'intervento di Pier Paolo Pasolini )
- Cassola 63
- Bonanni 46
- Calvino 38
- Arpino 23
- Di Falco 22
- Picchi 22
Seconda votazione Villa Giulia, 7 luglio ( Dopo dell'intervento di Pier Paolo Pasolini )
- Cassola 151
- Calvino 70
- Bonanni 38
- Arpino 27
- Picchi 24
- Di Falco 11
Premio: lire 1.000.000 ( Siamo nel 1960 e un milione era una bella cifra )
Fonte: Biblioteca nazionale centrale Roma |
Pasolini è il testimone, l'avvocato letterario di Italo Calvino in concorso con il suo " Il cavaliere inesistente", prende la parola ed in modo quasi inaspettato, attacca Cassola accusandolo di aver decretato la morte del Realismo. Pasolini non sarà l'unico, a questo suo intervento seguiranno anni di polemiche letterarie che nell'immediato vedranno Sanguineti, in occasione del convegno del Gruppo 63, alzare la polemica ed anche un politico come Togliatti, esprimersi negativamente:
Togliatti definì lo scrittore come “un diffamatore della Resistenza”.
Pasolini intervenne il 28 giugno alla presentazione dei finalisti del premio Strega 1960, con un attacco di una violenza letteraria inaudito, un intervento in versi che ironicamente definiva l'operazione effettuata da Cassola, "La morte del realismo". Prende la parola e invece di difende il lavoro di Calvino, estrae un fascicolo di versi dalla tasca e dice:
Sono qui a seppellire il neorealismo italiano non a farne l'elogio.
I versi che seguono sono quelli letti dal Poeta il 28 giugno del 1960:
Fonte: Biblioteca nazionale centrale Roma |
IN MORTE DEL REALISMO
(1960)
Friends, Romans, countrymen, lend me your ears!
Sono qui a seppellire il realismo italiano
non a farne l’elogio. Il male di uno stile
gli sopravvive, spesso, ma il bene resta,
spesso, sepolto insieme al suo ricordo.
E così sarà dello stile realistico.
L’eletto Cassola vivacemente attesta
ch’esso era ambizioso: se così fosse
sarebbe, questo, un gran demerito, ed equa
quindi, la sua fine. S’egli lo concede
– e Cassola è un rispettabile scrittore:
tutti i neo-puristi son rispettabili scrittori –
son venuto qui io a parlare della morte
del realismo italiano: il suo stile era misto,
difficile, volgare... Ma Cassola pensa
che esso era ambizioso: e, Cassola,
è un rispettabile scrittore... Diede, quello stile,
alla lingua un numero infinito di parole,
che di nuovi apporti di realtà riempirono
il vuoto senile dell’Erario: fu questa,
forse, nel realismo italiano, ambizione?
Esso esprimeva il dolore del proletario,
piangendo col suo pianto: io direi
ch’è ambizioso, al contrario,
chi si smorza e si umilia nel lirismo
della prosa interiore, del socialismo bianco...
Ma Cassola dice ch’esso era ambizioso:
e Cassola è un rispettabile scrittore.
Tutti sapete come quello stile
nato per esprimere il reale
si rifiutasse a ogni onore ufficiale:
era ambizione questa? Ma Cassola lo dice:
e certo Cassola è un rispettabile scrittore.
Ah, io non parlo per disapprovare
ciò che dice Cassola, ma per dire ciò ch’io so.
Tutti l’avete amato, quello stile, ai giorni
della speranza: e non senza motivo.
Che motivo ora v’impedisce di rimpiangerlo?
Ah, Ragione! perduta di nuovo negli oscuri
meandri dell’irrazionalità! Elusione,
riduzione, elezione stilistica: atti,
tutti, della resa davanti alla reazione!
Scusate... il mio cuore è là, dentro la bara,
con quello stile... Vorrei tacere, e basta.
Ancora ieri il discorso volgare
dello stile mimetico e oggettivo
– la grande ideologia del reale –
vi sbigottiva... E ora eccolo là,
per terra: e nessuno, ora, si sente
così indegno da dovergli rispetto.
Se io tentassi di farvi indignare,
signori, farei un torto a Cassola
e agli altri neo-puristi, che, si sa,
sono tutti rispettabili scrittori.
No, io non voglio fargli torto: meglio,
allora, far torto a questo ucciso, a me,
a voi, piuttosto che spiacere
a tutti questi rispettabili scrittori.
Ma ho qui qualche appunto sopra quello stile:
consideratelo pure un testamento.
Se voi lo conosceste – e lo voleste
finalmente capire – vi buttereste tutti
a baciare questo morto, piaga dopo piaga,
a bagnare i fazzoletti nel suo sangue!
Ma temo a dirvene il valore riposto:
non è bene, forse, che sappiate
quanto quello stile vi esprimesse!
Voi non siete legno, voi non siete pietre:
voi siete uomini: e da uomini,
capendo finalmente cosa era,
cosa voleva essere il Realismo
sia pur babelico o mimetico,
potreste indignarvi, potreste volere
la rivoluzione... Meglio non sappiate
che quello stile voleva darvi alla storia:
perché, se lo sapeste, incendiereste
il vostro Stato e la vostra Chiesa...
Ah, forse non dovevo cedere, e parlarvene!
È un torto ch’io faccio ai rispettabili scrittori
che con articoli, conferenze, inchieste
hanno finito col restaurare la lingua
e ottenere quello che volevano:
ridurla al grigiore dello Stato.
Ma se volete raccogliervi, qui, intorno
a questa salma, io oserei descriverla,
ai vostri occhi che non hanno veduto...
E, se avete lacrime, spandetele!
Voi conoscete tutti quale fu la forma
di quella grande, sebbene ancora incerta,
ideologia. Ricordo i primi giorni
del suo uso, ancora nella luce
della Resistenza. Il fascismo era vinto,
pareva vinto il Capitale. Ecco, invece,
qui lo strappo, in questa forma, del pugnale
di Tomasi, ecco la rabbiosa sdrucitura
dei neosperimentali, ecco il colpo
tagliente di Cassola – ch’era amico.
Quando egli estrasse la punta sacrilega,
guardate come il sangue la seguì,
quasi per verificare ch’era lui, Cassola,
a colpire così, senza vergogna...
Perché Cassola, lo sapete, è socialista:
ha agito dentro il cuore dell’idea
realista; e il suo è il colpo più brutale.
A quella ingratitudine, più che alla ferita,
il Realismo chinò il capo, arreso.
E, involuta negli stanchi stilemi,
la grande ipotesi vacillò, esaurita.
Ah, cittadini, che caduta fu quella!
Io, e voi, e tutti noi, siamo caduti:
e la reazione stilistica ora livella
ogni cosa... Impallidite (o sogno) adesso:
vi sentite, nella coscienza, il peso
della correità: non siete privi, certo,
di grazia, anche se borghesi, o coi borghesi...
Così, anime sensibili, tremate:
e avete visto solo le ferite della forma:
guardate qui, lui, il Realismo – il corpo
ideologico – ferito fino dentro
il cuore, il suo grande cuore strutturale.
Cari amici, dolci amici... non voglio
spingervi contro l’ideologia ufficiale:
coloro che ne servono la restaurazione
nello stile, sono rispettabili scrittori.
Non so che privati rancori li sospingano
a questa azione... So che sono a modo,
e rispettabili: e avranno certamente
una risposta, per voi, che li giustifichi.
Io non sono venuto, cari amici,
con la pretesa di rapirvi il cuore.
Non sono oratore, come, pare, Cassola:
ma sono – tutti lo sanno – compromesso,
per passione, con quello stile massacrato:
e lo sa bene chi mi ha dato modo,
pubblicamente, di parlar di lui...
Io non sono toscano, e non riscaldo
con la parola il sangue di chi ascolta:
io parlo come so: e vi mostro le parole
straziate dell’Ideologia realista
– povere, povere bocche ammutolite! –
lasciando che loro parlino per me:
ma se io fossi Cassola, e Cassola Pasolini,
qui ci sarebbe ora un Pasolini
capace a trascinarvi con la sua parola,
e di commuovere anche le pietre,
di questa Roma che il Papa si è ripresa,
contro uno Stato ch’è pura ipocrisia.
Eppure benché pugnalato a tradimento
e ormai defunto, l’impuro Realismo
– sigillato col sangue partigiano
e la passione dei marxisti –
lascia a ciascuno, individualmente,
«settantacinque lire» di rinnovato
senso della storia: sono poche, nulla,
in confronto ai milioni della metastoria
e del capitale: ma qualcosa sono.
Vi lascia inoltre il Pasticciaccio di Gadda,
stupenda prefigurazione d’ogni
creante mimetismo: vi lascia insieme
le diagnosi buone e spietate di Moravia,
la dolcezza sociologica di Levi,
la storia d’oro di Bassani, le creature
dell’Isola di Arturo, qualche giovane
che spera in un futuro non servile,
e una piccola Officina bolognese...
E vi lascia Calvino. La sua prosa
piuttosto francese che toscana,
il suo estro più volterriano che
strapaesano: la sua semplicità
non grigia, la sua misura non tediosa,
la sua chiarezza non presuntuosa.
Il suo splendido amore per il mondo
lievitato e contorto dalla favola.
I neo-puristi, i socialisti bianchi
– benvisti in Vaticano – non potranno
mai più privarvi di tale eredità.
Le opere e gli atti che il Realismo vi lascia
gli sopravvivono. Tale è la sua forza...
Ma voglia il Cielo che questo mio non sia
che un amaro scherzo shakespeariano...
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